Diocesi di Trivento (CB), SOS al papa

di
Umberto Berardo
Alcuni giorni fa gli organi d’informazione hanno reso pubblica la notizia della nomina da parte di papa Francesco di Mons. Claudio Palumbo, attuale titolare della diocesi di Trivento (CB), a vescovo della sede di Termoli-Larino. A Mons. Palumbo, con il quale ho lavorato sempre in piena sinergia, va il mio personale ringraziamento per il prezioso lavoro svolto da noi. Contestualmente al suo nuovo incarico sarebbe stato utile e opportuno che ci fosse stata anche la nomina del nuovo vescovo di Trivento. Così non è stato e allora tra i fedeli corre il sospetto che, come avvenuto anche altrove, la nostra diocesi possa diventare vacante non solo momentaneamente aggregandola o smembrando le sue parrocchie nelle sedi vescovili limitrofe. Il problema non è nuovo perché già in passato clero e laici si sono dovuti impegnare non poco per evitare simili soluzioni. Non mancano neppure voci vaghe ed estemporanee su possibili nomi di successori dell’attuale vescovo. Da parte della diocesi c’è un comunicato a firma del vicario generale in cui, dopo gli auguri a Mons. Palumbo per il nuovo incarico, si auspica “anche per la nostra Diocesi, grazie ad una non tardiva provvisione del suo Vescovo titolare, garanzia di sopravvivenza e costruttivo impegno nel momento storico, già di per sé tanto delicato e problematico, denso di dolorose conseguenze dovute allo spopolamento, al covid ed alla disaffezione generalizzata, che viviamo nel nostro entroterra”. Apprensione c’è anche in una nota di tutti i sindaci dei Comuni della diocesi pubblicata mercoledì 11 dicembre nella quale essi ringraziano il vescovo Palumbo per il suo servizio pastorale, ma si dicono preoccupati “per il vuoto che lascia nella Diocesi” e auspicano “che essa possa avere al più presto una nuova guida per continuare a dare speranza a un territorio già ampiamente penalizzato a causa del fenomeno dello spopolamento” È intanto difficile comprendere le logiche di movimenti o di nuove nomine di prelati, ma una comunità ecclesiale non può essere posta così all’improvviso di fronte allo spostamento del proprio vescovo con cui sta facendo da anni un cammino di fede o rimanere sospesa sul proprio futuro dopo i due mesi di amministrazione temporanea. Chi legge le mie riflessioni credo conosca il mio modo di concepire la Chiesa che ho tra l’altro espresso con estrema chiarezza recentemente in un mio editoriale pubblicato nello scorso giugno proprio su Primo Piano Molise dal titolo “La Parola, la liturgia e le strutture della Chiesa”. Stiamo vivendo il Sinodo voluto da papa Francesco e nei lavori delle commissioni sinodali diocesane si fa sempre più strada l’idea di una ridefinizione strutturale della Chiesa che restituisca centralità al popolo di Dio e dove la sinodalità non sia solo uno slogan, ma un modo di essere e di vivere la fede fondato sul confronto sempre più largo e sulle sintesi sinergiche nelle decisioni da assumere da parte degli organismi ecclesiali che non possono essere a mio avviso scelti secondo vetuste tradizioni verticistiche senza un raffronto allargato e un coinvolgimento di clero e laici. Oltretutto dalla storia della Chiesa sappiamo che nei primi secoli i sistemi di scelta dei pastori non erano certo quelli attuali, ma l’elezione del proprio vescovo era competenza delle comunità dei fedeli sia pure attraverso “l'imposizione delle mani dall'assemblea dei presbiteri” (1 Tm 4, 14). Poi gli imperatori soprattutto a partire da Carlo Magno cercarono di assicurarsi il controllo della loro nomina. Con il concordato di Worms (1122) si arrivò alla doppia investitura e poi, a partire dal XIII secolo, i papi cominciarono a riservare a sé la designazione dei vescovi. Il nuovo Codice di Diritto Canonico prevede che tale incarico sia anticipato da una procedura segreta espletata dalla Sacra Congregazione per i vescovi, comprendente tra l’altro una consultazione operata da un legato pontificio. È difficile per me cristiano comprendere un tale sistema di procedere. Superare la struttura tridentina della Chiesa e la relativa territorialità delle comunità diocesane e parrocchiali è sicuramente una necessità, ma un intervento in tale direzione può aversi solo dopo un’attenta osservazione e analisi delle necessità spirituali, culturali, logistiche e sociali di sacerdoti e fedeli di tutti i luoghi interessati con i quali occorre pertanto dialogare serenamente. Sono anche certo che sistemi di eccessivi accorpamenti di troppe parrocchie, soprattutto in aree geografiche in cui sono faticosi i trasporti e gli spostamenti, difficilmente potranno portare a miglioramenti nella vita ecclesiale soprattutto sul piano dell’evangelizzazione, delle relazioni umane e spirituali come nella testimonianza della carità. Abbiamo già vissuto ad esempio nella nostra realtà territoriale tali esperienze d’inglobamenti di più istituti scolastici affidati a un solo dirigente e sappiamo che il coordinamento pedagogico e didattico presenta ora davvero enormi difficoltà. È evidente che anche sul piano pastorale la guida di circoscrizioni vescovili troppo vaste avrebbe problemi notevoli. La diocesi di Trivento, appartenente alla regione ecclesiastica Abruzzo-Molise, è costituita da ben 58 parrocchie raggruppate nelle 4 foranie di Trivento, Agnone, Carovilli e Frosolone, estese su 1.234 km² e poste tutte nelle aree interne delle province di Campobasso, Isernia e Chieti. Diverse le ipotesi sulla sua origine che risalirebbe per alcuni al I mentre per altri al IV o al X secolo. In essa oggi si accentuano i problemi nell’abbandono della pratica religiosa soprattutto tra i giovani. Anche i sacramenti non sono vissuti nel loro valore spirituale ma spesso unicamente come parate; tuttavia gli uffici diocesani hanno una vitalità ragguardevole e riescono a coinvolgere i credenti in pregevoli attività di carattere spirituale, culturale, ma soprattutto a vivere la carità come condivisione e amore concreto per il prossimo. In questa diocesi c’è una Caritas molto attiva che si fa promotrice anche di ricerca e attività culturale. È stata la prima in Italia a fondare una Scuola di Formazione all’Impegno Sociale e Politico intitolata a Paolo Borsellino e ha due centri di ascolto a Trivento e Agnone che lavorano assiduamente per venire incontro alle esigenze di tanta parte della popolazione che vive in condizioni di gravi necessità economiche. Da anni con i vescovi Antonio Santucci, Domenico Scotti e Claudio Palumbo è nata e sta crescendo una Scuola di Teologia per laici con lo scopo di avvicinare sempre più la popolazione alla Parola di Dio, ma si è lavorato anche con fermezza per difendere i tanti diritti negati a quanti vivono sul territorio della diocesi e sono ormai privi di servizi essenziali erogati il più delle volte in maniera molto approssimata a partire dalla sanità fino alla scuola, alle infrastrutture o ai trasporti. Pochi per la verità sono i laici che s’impegnano fattivamente in tale direzione. Portare i cittadini a lottare per la difesa dei propri diritti diventa pertanto sempre più difficile! Il territorio delle aree interne su cui insiste la diocesi di Trivento ha ancora solo limitate figure di riferimento per la difesa di una qualità decente di vita per i propri abitanti che sono il vescovo, i parroci e gli amministratori locali. È per tale ragione che quanti come me abitano in una delle comunità parrocchiali della diocesi non possono, come taluni vorrebbero, limitarsi ad attendere le decisioni del pontefice sul futuro della nostra sede episcopale. Il silenzio che persiste in molti al riguardo e le voci che si rincorrono senza alcuna certezza non sono il miglior segnale da parte di una Chiesa che invece avrebbe bisogno proprio di responsabilità, trasparenza e sinodalità. Il primo passo a me pare sia quello d’incontrarsi per riflettere da parte del clero e dei laici su quanto sta avvenendo e per esprimere in merito il proprio pensiero in un documento. Mi sembra poi davvero indifferibile la ricerca di un contatto epistolare con papa Francesco per un dialogo chiarificatore su questa incertezza che stiamo vivendo proprio a ridosso del Natale. Esporre al pontefice la situazione della diocesi e le sue necessità credo possa servire a compiere scelte avvedute e utili per aiutare un cammino autentico nella fede da parte delle popolazioni in attesa di una decisione da assumere che sappia essere almeno un segno di speranza spirituale per un territorio devastato dall’abbandono sociale, culturale, politico ed economico. Ovviamente sono consapevole che sto lanciando un input partendo da mie considerazioni personali al riguardo, dettate tuttavia unicamente da uno spirito di servizio alla Chiesa nella quale mi riconosco come credente. Se ci sarà un output, ci dirà se esiste o meno la volontà di essere protagonisti almeno nel confronto delle idee e nella ricerca di soluzioni adeguate su un problema rispetto al quale l’afasia sarebbe la scelta meno efficace.

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