Le tante mistificazioni sulla guerra
di Umberto Berardo
I fronti di guerra nel mondo sono in continuo aumento.
Far penetrare nella storia dell’umanità i principi della non violenza e della convivenza pacifica tra
i popoli è stato ed è purtroppo sempre più difficile perché la maggior parte delle classi dirigenti
indirizza l’opinione pubblica verso la logica della creazione del nemico dal quale ci sarebbe la
necessità di difendersi.
Si tratta di un copione dietro al quale si nascondono semplicemente gli interessi di natura
economica e finanziaria nella produzione delle armi, nelle ricostruzioni dopo le macerie materiali e
nella necessità di presidiare il benessere e la ricchezza di pochi.
Grandi gruppi economici finanziano la produzione delle armi per sostenere l’egemonia
economica, politica e militare di nazionalismi che sfociano poi quasi sempre nelle logiche
imperialiste.
Si tolgono in tal modo risorse al Welfare per sostenere l’industria bellica come avverrà in Europa
dove quest’anno le spese per il sistema di difesa arriveranno al 3% del PIL.
Ci sono state epoche in cui dopo guerre lunghe e catastrofiche si sono cercati accordi quantomeno
per respirare un po’ dopo gli affanni, i morti e i disastri provocati.
È quanto è accaduto nel mondo dopo la seconda guerra mondiale e la guerra fredda quando i
popoli avevano scelto di percorrere la strada della riconciliazione, di una convivenza accettabile, di
un avvio della riduzione degli armamenti, di una parziale riduzione del colonialismo e
dell’imperialismo.
Con la caduta del muro di Berlino e il riavvicinamento tra Occidente e Oriente sembrava farsi
strada il principio del ripudio della guerra come strumento di soluzione dei problemi.
Non ci è voluto molto per capire che purtroppo eravamo ancora davanti a una grande illusione
non essendo stati capaci di attuare pienamente la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
approvata dall'Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948 e di fondare quindi una
società ispirata ai principi della libertà, dell’eguaglianza e della condivisione dei beni.
La guerra del Golfo del 1991 e poi tutti gli altri conflitti nel mondo fino a quelli in Ucraina e in
Palestina ci dicono con estrema chiarezza che non siamo riusciti a immaginare e costruire un mondo
nuovo fondato sulla democrazia, la pace e l’internazionalismo.
Si è fatta strada così l’idea della necessità di un ripristino delle supremazie in parte perdute
ricorrendo nuovamente alla competizione armata.
Particolare preoccupazione stanno destando nell’opinione pubblica i conflitti in Ucraina e in
Palestina.
Il problema purtroppo è che i popoli, se affidano le proprie sorti a dittatori senza scrupoli che
subordinano ogni cosa al proprio potere e prestigio, non hanno poi molte ragioni per lamentarsi di
quanto accade.
Ciò che intorno a noi sta creando disastri va individuato nell’assenza di decisioni ampiamente
condivise dall’opinione pubblica, nel consolidarsi crescente di nazionalismi e imperialismi sempre
più diffusi e nel fondamentalismo ideologico e religioso che purtroppo cerca di legittimare perfino
ogni forma di terrorismo.
Figure come quelle di Putin o di Netanyahu, ma anche organizzazioni quali Hamas o Isis davvero
sono inaccettabili sul piano civile, politico e umano perché non hanno alcun rispetto per le
istituzioni democratiche e soprattutto per la vita e la dignità delle persone.
Sono sicuramente loro la causa principale di quanto avviene in Ucraina e nel Medioriente, ma ci
sono Stati che legittimano in qualche modo ciò che sta accadendo perché, attenti unicamente alle
relazioni economiche con le Nazioni che hanno scatenato una guerra, non riescono a pronunciarsi
con chiarezza e a indicare le vie per uscire dai disastri e dai massacri che si stanno perpetrando.
Stati Uniti e Unione Europea hanno giustamente condannato Putin per l’invasione di diversi Paesi
da riassorbire alla “Grande Russia”; non hanno percorso veramente la via diplomatica per uscire
dalle contrapposizioni e ora stanno illudendo popoli come quello ucraino abbandonandolo alle
pressioni sempre più massicce dell’esercito russo con attacchi missilistici non più sostenibili dai
mezzi di difesa a disposizione dell’Ucraina.
In Medioriente la Palestina è praticamente sotto assedio dall’ottobre 2023, è ridotta a un ammasso
di macerie e nella striscia di Gaza, pur non avendo dati certi, sembra che il bilancio dei morti abbia
superato di molto le trentamila unità.
Anche in questo conflitto i governi europei e lo stesso Biden stanno manifestando posizioni
molto equivoche ignorando volutamente che il fine ultimo di Netanyahu e dell’ala ortodossa
sionista è quello del massacro dei palestinesi e della conquista della Striscia di Gaza per togliere
dalla storia la stessa idea che possa esistere in futuro per quel popolo martoriato uno Stato libero e
indipendente.
La stessa visione nei riguardi di Israele c’è ovviamente in un’organizzazione radicale e
integralista come Hamas.
Non so se lo scambio di attacchi con i droni tra Israele e Iran sia solo un’azione per così dire
dimostrativa o invece si tratti del passaggio da una guerra ombra a una aperta con sistemi di offesa e
rappresaglia.
L’attacco portato da Israele dopo la ritorsione posta in essere dall’Iran non più su un’ambasciata
esterna, ma direttamente contro l’Iran nel giro di tre settimane e proprio nel giorno
dell’ottantacinquesimo compleanno della guida suprema Ali Khamenei potrebbe lasciar pensare a
un’escalation anche se in realtà l’intervento sulla base militare di Isfahan con un’azione assai
limitata ha portato un analista come Ian Bremmer a pensare piuttosto a un allentamento della
volontà d’incrementare il conflitto in Medioriente.
In parole più chiare si tratterebbe per Iran e Israele di operazioni militari poste in essere per
salvare la faccia; infatti mentre scriviamo dal governo israeliano non c’è alcun comunicato mentre
l'agenzia ufficiale iraniana Irna informa che non ci sarebbero stati danni rilevanti e che i siti nucleari
sarebbero al sicuro.
Secondo la CNN l’operazione militare verso l’Iran alle ore 4,30 di ieri, venerdì 19 aprile 2024,
sarebbe stato limitata a pochi droni dietro le sollecitazioni di Stati Uniti mentre il quotidiano Al
Arabi al Jadid parla dell’adeguamento di Israele a tali pressioni americane in cambio dell’assenso a
un’azione militare definitiva su Rafah.
Di sicuro questi spostamenti territoriali di talune azioni belliche sono mezzi di distrazione di
massa dell’opinione pubblica su quanto sta avvenendo di grave in Ucraina e nella striscia di Gaza
dove ogni ipotesi di accordo per una tregua o per il cessate il fuoco è del tutto bloccata.
Nei due conflitti più cruenti aperti oggi in Europa e in Palestina di sicuro non c’è alcuna
apprezzabile azione diplomatica della Cina che con grande impassibilità sta tenendo, come
d’altronde altri Stati, una posizione del tutto mistificatoria unicamente funzionale al suo
imperialismo commerciale e finanziario.
Altra posizione simulatoria è quella degli Stati Uniti che, dopo le dichiarazioni ripetute del
presidente Joe Biden sulla necessità della creazione di uno Stato palestinese insieme a quello
Israeliano come soluzione al conflitto in Medioriente, hanno posto ieri il veto all’ammissione piena
della Palestina quale membro dell’ONU su richiesta dell’Algeria.
La vittoria elettorale di Putin e quella possibile di Donald Trump non prefigurano certo scenari
ottimistici per la pace nel mondo.
Rimane un’ultima riflessione da fare.
I massacri delle due guerre di cui mi sto occupando in queste analisi sembrano non solo lontani
dalle giuste soluzioni diplomatiche più volte auspicate da papa Francesco, ma anche dimenticate da
quel movimento pacifista che non riesce più a mettere in campo alcuna azione di contrasto a questi
conflitti che nelle loro azioni diventano sempre più disumani.
A difendere un mondo più giusto e votato alla pace sembrano rimasti pochi studenti universitari
che, senza alcun supporto del mondo intellettuale e politico, rischiano certo qualche errore di
valutazione nei rapporti culturali tra gli atenei a livello internazionale, ma sicuramente non possono
essere lasciati soli nelle loro richieste di porre fine alla violenza delle guerre.
Ieri sono scesi ancora in piazza a Roma e Napoli contro il vertice del G7 a Capri.
Il nostro dovere di cittadini del mondo è acquisire la responsabilità di lavorare per raggiungere la
razionalità e l’equilibrio capaci di far convivere popoli e culture differenti o in alternativa di
garantire ad ogni etnia di vivere in autonomia in un proprio Stato.
Dopo i fallimenti delle grandi istituzioni internazionali credo che per questo si debba pensare con
urgenza a una conferenza internazionale che ne definisca i criteri impedendo che i più deboli
continuino a essere ostaggi dei potenti di turno.
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