Un anno sabbatico

A proposito della protesta degli agricoltori che sta infuocando questi primi mesi del 2024 e vede, non a caso, protagonisti i trattori alimentati da petrolieri e multinazionali, mi è tornata in mente una proposta che, nella primavera del 2012 nel pieno della contestazione dei “forconi”, avevo inviato al Presidente della Cia nazionale, il compianto Giuseppe Politi, poi trasformata in un mio articolo/appello al mondo agricolo, pubblicato su Teatro Naturale, di non cadere in facili strumentalizzazioni, che non portavano da nessuna parte, solo a essere ancor più isolati dal resto del mondo. Volendo e, a mio parere, dovendo pensare a una lotta capace di produrre effetti positivi, indicavo quella di provare per un anno a mettere in campo lo sciopero degli acquisti dei mezzi tecnici, in particolare concimi, antiparassitari e pesticidi, e quello dell’uso il meno possibile delle macchine, soprattutto quando sproporzionate . Dichiarare (allora) l’annata 2012/13, anno sabbatico, cioè un anno in cui si sta fermi per stare insieme a ragionare per i prossimi sette anni sul da farsi. In pratica riprendere una lontana abitudine degli ebrei di fermarsi, lasciare riposare la terra per pensare e programmare il futuro. Suggerivo, anche, più che lasciare la terra a riposo, di dare ad essa la possibilità di produrre tutto quello che le era possibile produrre e accontentarsi di avere così un compenso all’impegno profuso senza la necessità di indebitarsi con l’acquisto di trattori, gasolio, concimi, antiparassitari, pesticidi. Un modo anche per far riposare la terra dal peso delle concimazioni e ridare spazio alla flora batterica che i prodotti di sintesi limitano fortemente, tant’è che ogni anno c’è da aumentare le dosi. In pratica di mettere in atto un contrattacco capace di affamare le multinazionali e le banche e, poi, di abbracciare con forza il biologico e diventare protagonisti di quella transizione di cui si sente la necessità e l’urgenza per non incattivire ancor più il clima, visto che a pagare per prima le conseguenze delle sue reazioni è proprio l’agricoltura. Sono passati dodici anni da quell’appello inascoltato e, nel frattempo, sono arrivate nuove crisi economiche dopo quella del 2007/2008, il Covid, le guerre e, a pagare il prezzo più alto è stata l’agricoltura, da settore primario a settore residuale, e, con l’espandersi – grazie alle politiche dell’Ue - dell’agricoltura industrializzata e degli allevanti intensivi, il clima. Una protesta silenziosa come la pazienza di nostra madre Terra, la vera vittima sacrificale del tanto decantato sviluppo e del tanto mitizzato progresso. Provare a far piangere e preoccupare chi questa terra sta depredando e distruggendo sarebbe, non solo una soddisfazione immensa, ma anche, con il capovolgimento dei ruoli, la possibilità di cambiare strada, e, così, tornare a dialogare con le piante e gli animali, parte della natura, padroni della nostra intelligenza, oggi a rischio con l’invasione di quella artificiale.

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