L’acqua, l’olio e il vino
OGGI GIORNATA MONDIALE DELL'ACQUA
Senz’acqua non si va da nessuna parte. Averla è sempre più una fortuna, soprattutto se potabile. Sto
pensando al mio Molise, al suo Matese, con sorgenti d’acqua minerale da ogni parte e le sue mille colline,
quasi tutte serbatoi d’acqua potabile. Sto pensando alla generosità della mia terra, espressa con tanta
solidarietà nei decenni passati con l’acqua messa a disposizione di tre delle quattro regioni limitrofe:
Campania, Puglia e Abruzzo. Ultimamente, grazie alla decisione di sprovveduti del Consiglio regionale che
ha caratterizzato la XII legislatura della Regione, di altra acqua alla Puglia dopo quella del Fortore, il fiume
campano-molisano- pugliese, del Lago di Occhito. Questa volta del Biferno, il fiume tutto molisano che
alimenta il Lago del Liscione. “Sprovveduti”, nel senso di incapaci di leggere la realtà del piccolo Molise,
meno che mai dell’Italia e del mondo, e, come tali, di capire cosa accadrà domani, quando, causa la
situazione climatica, l’acqua, soprattutto potabile, ancor più di oggi, sarà un bene raro. Principalmente per
l’agricoltura, oggi più che mai settore primario, e per l’insieme dei suoi comparti, a partire da quello viticolo
e olivicolo, estesi da Nord a sud e da est a ovest di questa nostra Italia, con la bellezza dei loro paesaggi e
dei loro ambienti, la ricchezza della loro storia e della loro cultura, la diffusione delle loro tradizioni, e, con
la bontà dei loro vini e dei loro oli, e, non ultima, l’immagine di produttori bravi e di un Paese ricco di
profumi e di sapori. Meno acqua = meno produzione, e, meno acqua di qualità = meno qualità del nostro
patrimonio enogastronomico, a partire da vino e olio. Ciò che porta a dire che gli “sprovveduti” non sono
solo quelli presenti nel Molise che hanno votato per dare altra acqua alla Puglia, ma l’intera classe politica
e dirigente del Paese che si vanta dei primati nel campo del cibo di qualità, irraggiungibili per il resto del
mondo per quanto riguarda la biodiversità, ma poi, dando continuità alla distruzione del territorio, si
dimentica di difenderli e conservarli. Un patrimonio enorme che ha dato quell’immagine di qualità e di
diversità nel campo del vino, con alcune migliaia di tipologie ad arricchire le 527 Dop e Igp (Docg, Doc e
Igt). Base - tanto più oggi che vede il mercato nazionale e globale registrare una perdita di consumo - di
una comunicazione vincente dei nostri vini, che hanno, di fronte agli altri paesi produttori, tante cose in più
da raccontare al consumatore. In pratica, certamente conta la qualità espressa dall’origine, il territorio, ma
conta più di quanto si creda, anche la diversità espressa dalle differenti uve di vitigni autoctoni. il racconto
è l’anima della promozione e valorizzazione di un prodotto, la base vincente di una strategia di marketing. A
dimostrarlo è proprio l’olio evo italiano, che negli ultimi decenni ha perso i suoi primati e tutti a vantaggio
della Spagna, e, ultimamente, anche di altri paesi olivicoli. Fra le tante ragioni di un vuoto politico-
programmatico che ha colpito questo importante comparto della nostra agricoltura c’è, eccome, il non
racconto delle sue 600 e più varietà autoctone sparse su 18 delle venti regioni italiane, cioè la mancanza di
una promozione e valorizzazione del ricco patrimonio di biodiversità. Una necessità urgente, oggi, che ha la
possibilità di recuperare i primati persi perché ha tutto per risultare vincente di fronte a un mercato che ha
visto alzare improvvisamente i prezzi, soprattutto dell’extravergine e registrare una perdita di consumatori
in Italia e nel mondo. Una scelta necessaria se si vuole dare all’olio, o meglio, agli oli italiani il valore che
meritano, conquistando nuovi consumatori e non perdendo quelli che l’olio è riuscito a conquistarsi in
questi anni di predominio spagnolo.
Ne sanno qualcosa proprio gli spagnoli, soprattutto gli olivicoltori della regione che produce la metà
dell’olio di oliva prodotto nel mondo, l’Andalusia, che, causa la siccità e la scelta degli oliveti superintensivi,
per il terzo anno consecutivo, registra una riduzione pari al 50% della sua produzione.
E non solo, anche una perdita di biodiversità con l’intensità degli oliveti, che – grazie anche qui a
“sprovveduti” incantati dall’aumento della produzione e dall’applauso di chi ricava profitti (vivaisti,
multinazionali delle macchine, dei concimi e degli antiparassitari, tecnici appagati) non si rendono conto
che stanno condizionando il domani dell’olivicoltura e dei territori che da millenni la esprimono e la
rappresentano. Il bisogno di acqua, tanta, di questi oliveti sta facendo capire, a partire dgli olivicoltori
andalusi, che la natura ha i mezzi per difendersi dalle scelte di un moderno coltivatore che, privilegiando la
quantità e il profitto, ha perso il rispetto per la terra e la natura di cui è parte.......
Pasquale Di Lena
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