L’esaltazione della vendetta
di Umberto Berardo
Premesso che il conflitto israelo-palestinese è il frutto di secoli d’imperialismo e di plateali errori
politici e diplomatici non solo del Regno Unito ma dello stesso ONU, la gestione del territorio
mediorientale ha avuto in ogni caso momenti di un’irrazionalità sconcertante.
Né la determinazione del luglio 1922 con cui la Società delle Nazioni affidò ufficialmente al
Regno Unito il mandato britannico su quell’area, né il tentativo di spartizione della Palestina tra i
due popoli con la risoluzione 181 dell’ONU del 1947 e tantomeno gli accordi di Oslo del 1993
hanno delineato una soluzione praticabile all’assurda espansione dei coloni ebrei che ha finito per
ridurre il popolo palestinese in quelle anguste aree geografiche che molti definiscono una prigione a
cielo aperto e nelle quali l’autogoverno è solo fittizio mancando lì totalmente ogni autonomia
economica.
Con l’appropriazione sistematica della terra attraverso insediamenti di coloni ebrei, la totale
dipendenza da Israele per il controllo dell’acqua, dell’energia elettrica e del commercio
internazionale è del tutto evidente che l’economia palestinese non potesse avere uno sviluppo
accettabile; infatti ancora oggi il tasso di disoccupazione a Gaza supera il 25% e quella giovanile
viaggia oltre il 40%.
Il popolo palestinese è stato a lungo umiliato e posto in una condizione di vita davvero
problematica.
Bill Clinton, Yasser Arafat e Shimon Peres provarono a orientare i due popoli verso una possibile
convivenza, ma la suddivisione fittizia e tra l’altro iniqua del territorio ha alimentato continui
conflitti armati sostenuti dalla destra sionista e dalle organizzazioni terroristiche come Hamas.
La prima rifiuta il riconoscimento di un’autonomia palestinese mentre l’estremismo terroristico
islamico auspica il ritorno di quell’area geografica alla situazione precoloniale.
Hamas è riuscita nel 2007 a spodestare Al Fatah prendendo il controllo della striscia di Gaza.
Fiutando i suoi leader che gli Stati Uniti stavano cercando di rafforzare gli Accordi di Abramo del
2020 tra Israele e Arabia Saudita, hanno lavorato con il sostegno soprattutto di Iran e Qatar alla
preparazione dell’atto terroristico che secondo le loro intenzioni avrebbe dovuto contribuire al
distanziamento di alcuni Paesi arabi da intese con lo Stato ebraico e alla realizzazione del loro
sogno della distruzione dello Stato sionista.
A livello geopolitico abbiamo assistito allo scontro tra due radicalismi: quello espansivo della
destra sionista e l’altro altrettanto radicale di Hamas.
Entrambi per anni hanno creato tensioni, conflitti, povertà, morte e distruzione in particolare per
la popolazione più diseredata.
Oltre ai continui conflitti armati nessun impegno per una soluzione verso la creazione di due Stati
possibilmente inseriti in una federazione o di un unico Stato in una convivenza con uguali diritti.
In tale contrasto etnico si inseriscono gli Stati dell’area e soprattutto l’Iran e ora anche l’Arabia
Saudita che non sono disposti a cedere il ruolo geopolitico di controllo in Medioriente.
Al mattino del 7 ottobre, superando i pur sofisticati sistemi tecnologici di controllo
dell’intelligence israeliana, Hamas sferra dalla striscia di Gaza un attacco violentissimo e
assolutamente esecrabile soprattutto perché rivolto volutamente contro la popolazione civile inerme.
Missili e razzi contro Israele ma soprattutto miliziani che riescono a oltrepassare i confini, creano
terrore, morti e violenze davvero disumane anche contro bambini riuscendo a catturare qualche
centinaio di militari e civili portati come ostaggi nella striscia di Gaza.
La finalità dichiarata dell’azione è la liberazione dei luoghi santi e l’indipendenza del popolo
palestinese.
Al di là della condanna dell’orrore che Hamas ha portato oltre il confine sulla popolazione civile
israeliana, che ovviamente dev’essere difesa da atti assolutamente criminali lavorando per uno
sradicamento non istintivo ma razionale di ogni organizzazione terroristica, credo si dovrebbero
condannare con altrettanta decisione non solo i bombardamenti ma soprattutto l’attacco via terra
che Israele ha già sferrato almeno in parte fin qui alla Striscia di Gaza perché non è affatto
comprensibile l’equiparazione tra i terroristi di Hamas e l’intera popolazione palestinese che vive a
Gaza promuovendo in tal modo una vera e propria guerra di annientamento non solo con le armi ma
già con il crimine del taglio dei viveri come dell’erogazione dell’acqua e dell’energia elettrica.
Il blocco totale della striscia di Gaza con l’interruzione di ogni tipo di approvvigionamento a
partire dal cibo e la chiusura del valico di Rafah verso l’Egitto, che tra l’altro non è disponibile a far
passare per ora rifugiati, rischia di trasformare quel piccolo territorio in un luogo dove sarà
consumata una catastrofe e un genocidio disumano di fronte al quale un allargamento del conflitto
non solo a livello mediorientale potrebbe disegnare scenari apocalittici.
È tornata da poco almeno la fornitura di acqua, ma ormai più di un milione di profughi è in
movimento verso sud.
Con tale situazione il disegno di una via di evacuazione indicata da Israele prima dell’attacco è di
un’ipocrisia davvero senza limiti.
Qualcuno sta dimenticando forse anche la questione degli ostaggi che potrebbero essere utilizzati
come scudi umani.
Non si sa ancora se lo Stato sionista deciderà per attacchi seguiti da ripiegamenti o per una
occupazione totale della striscia, ma è sicuro che una guerriglia urbana sarebbe un vero e proprio
bagno di sangue per i palestinesi ma anche per gl’israeliani.
Crimini di guerra sono stati gli attacchi di Hamas alla popolazione civile israeliana, ma alla stessa
maniera lo sono i bombardamenti e gli assedi indiscriminati di Israele su Gaza.
Di fronte a tale situazione, che prefigura sofferenze, tragedie immani e una vera catastrofe
umanitaria, come sottolinea già Marta Lorenzo, direttrice per l’Europa dell’Agenzia delle Nazioni
Unite per il soccorso ai rifugiati palestinesi, la diplomazia occidentale non sa dichiarare se non che
comprende le aspirazioni legittime di tale popolo, ma che sosterrà lo Stato di Israele nella sua
azione militare di ritorsione.
In tale direzione si registra un certo attivismo diplomatico degli Stati Uniti, mentre l’Unione
Europea è assente.
Lo stesso sistema dell’informazione è schierato in gran parte a sostenere l’assurdo principio
ideologico della vendetta come difesa e deterrenza non comprendendo che la violenza e il sangue
provocano altra violenza e altro sangue.
La minaccia d’intervento dell’Iran e del movimento libanese Hezbollah, il possibile sostegno
della Cina ai Paesi islamici, ma anche l’annuncio sui canali Telegram con cui Al Qaeda è tornata a
fare appello alla Jihad mobilitando in tale direzione tutti i mussulmani dovrebbero aiutare a
comprendere che l’umiliazione e la minaccia di annientamento degli altri serve solo a spingere i
conflitti verso una pesante escalation.,
Ciò che sta accadendo dovrebbe farci riflettere sull’indifferenza delle popolazioni rispetto
all’emarginazione del popolo palestinese e sull’assoluta incapacità di risolvere con onestà ed equità
la questione israelo-palestinese ma anche le tante altre aperte nel mondo che ancora oggi generano
odio e morte.
Il mainstreaming televisivo e giornalistico ha voci davvero inascoltabili e illeggibili orientate
all’esaltazione della vendetta.
Possibile che di fronte all’orrore che pongono davanti ai nostri occhi le immagini televisive ci sia
ancora chi con una saccenza disgustosa stia ogni giorno in televisione e sui giornali a ripetere la
subdola indicazione di Caino “andiamo ai campi”?
Quella della vendetta è semplicemente una via che accentua l’escalation del conflitto tra
palestinesi e israeliani, che non risolverà alcun problema aperto e che accentuerà soltanto la nostra
disumanità.
Mentre scrivo i morti israeliani e palestinesi sono già migliaia.
È ancora una volta papa Francesco a dettare parole di saggezza quando nell’Angelus di domenica
8 ottobre ha dichiarato: “La guerra e il terrorismo «non portano a nessuna soluzione, solo alla
morte”.
È davvero impossibile non solo comprendere ma neppure immaginare che nella mente di un
essere umano e di intere popolazioni nascano e crescano sempre più sentimenti di odio, rivalsa e
perfino di annientamento degli altri.
Non è lo sterminio dell’altro popolo la soluzione al problema del conflitto israelo-palestinese, ma
la ricerca di una soluzione di convivenza che rispetti i diritti e la dignità di entrambi.
Una situazione davvero incancrenita in Medioriente credo rischi seriamente di sfuggire di mano.
Abbiamo allora l’urgente necessità di mettere in atto tutte le azioni possibili di coscientizzazione
per orientare l’opinione pubblica a opporsi all’agghiacciante disprezzo per la vita e per i diritti più
elementari delle popolazioni.
Tornare in piazza solo e unicamente per la pace suggerendo soluzioni praticabili ai problemi
aperti e spingere la diplomazia a trovare le pressioni per fermare tutti i falchi guerrafondai è ciò che
dovremmo fare con urgenza.
I teatri di guerra che si moltiplicano nel mondo ci dicono con estrema chiarezza che stiamo
vivendo un’epoca attraversata da una profonda barbarie e disumanità che abbiamo assolutamente la
necessità di superare recuperando prima di tutto a livello culturale ed educativo i principi della
convivenza, della pace e della giustizia sociale.
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