Jovine, a 73 anni dalla sua morte

di Vincenzo Di Sabato
30 aprile, attorno alla Casa di Jovine, a 73 anni dalla sua morte Oggi 30 aprile, 73° anniversario della morte di Francesco Jovine, sono a “Piedicastello” (ai piedi del Castello), a bearmi nel fiabesco borgo antico di Guardialfiera, sollevato nel vuoto, su una roccia poderosa. Ad infiltrarmi dentro un filare di scalee bianche, corrose dai passi e dagli anni; traversando piazzoli, androni e rasentando casupole abbrunite dove l’anima sogna il segreto del vissuto e respira nostalgia, sudore, mitezza e sensazioni di inalterata semplicità e operosità georgica. Qui, nel cuore di questo villaggio antico, nasce il 9 ottobre 1902 Francesco Jovine, il cantastorie dei cafoni. Viene nasce qui - nella casetta graziosa (ora decrepita) dei coniugi Angelo e Amalia Loreto - una delle creature più schiette del novecento letterario italiano. E qui cresce, gioca, apprende. Al tepore del camino, ascolta, Incuriosito l’affabulazione del babbo – uomo dolce e virile – che narra a lui, angherie dei potenti, raccapricci di contadini, burle di galantuomini. Da bambino cerca, dentro casa sua, libri antichi e li ingurgita. Ed egli stesso, più tardi, racconterà fra “i ricordi d’infanzia”, la sua inclinazione allo studio germinata proprio dentro la casa paterna. A nove anni compone qui dentro i primi dieci capitoli di un romanzo storico e, ad undici anni, il primo canto di un poema in terza rima. Tutto l’impianto reale e fantastico di “Signora Ava” - il romanzo più guardiese e più seducente di Jovine - è ispirato ed ambientato in questa casa, dentro la quale è ricamata la vita quotidiana del paese, nelle condizioni culturali e sociali di allora. Una vera archeologia sentimentale, una doratura della memoria, un tuffo nel mondo delle origini. In questa casa lo scrittore idealizza l’abitazione dei De Risio, famiglia borghese ma cristallizzata in una struttura ancora feudale. Fra questi spazi sembrano essersi fermati costumi, gesti, insofferenze, astuzie, rancori. Son romanzati dentro queste stanze i tre fratelli De Risio: un vecchio canonico grasso e goloso: don Beniamino; un ex ufficiale napoleonico: don Giovannino; ed il rinsecchito don Eustacchio, implacabile oppressore dei cafoni, Ed anche i nipoti: Antonietta, figliola deliziosa e decisa; don Carlo il “dottor fisico”, presuntuoso ed ignorante. Qui è connessa anche una corte di personaggi intorno ai quali, ruota l’insieme della vicenda: don Matteo, il prete arguto, misero, generoso, sempre dalla parte dei deboli, assiduo cliente della mensa dei De Risio, in polemica con i confratelli più facoltosi, ai quali risponde – con l’ironia del pudore, con la definitiva dignità di uomo e di sacerdote – e,…con la morte, alla impietosa canzonatura dei ricchi, ed al sogno di liberazione dei poveri. Dentro e attorno a questo palazzo c’è Pietro Veleno, educato da don Matteo all’obbedienza ed alla speranza, l’eroe degli zappaterra, l’incarnazione della realtà e della verità, per cui, anche lui, combatte e muore. Fugnitta, Stefano Leone, l’asino di don Matteo respirano ancora a Piedicastello ed offrono immutato fascino ed interesse a quel “pane e paura” di un tempo; a quei drammi ed a quelle gioie “do tiempe da Gnora Ava” Ed una fiaccolata, a sera, coordinata da “I Parchi Letterari” e dalla Città di Guardialfiera, sfilerà dalla Cattedrale fino ad illuminare ed onorare una insigne e sobria “Casa Natale” della storia.

Commenti

  1. Caro Vincenzo, come sempre, riesci ad emozionare il lettore con le tue profonde considerazioni dettate da una profonda conoscenza degli argomenti che tratti con una sensibilità che apprezzo da tempo. Complimenti caro amico.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch

La tavola di San Giuseppe