Election day, astensione e quorum

di Umberto Berardo Due dati possono essere la sintesi schematica dell’election Day del 12 giugno in Molise. Per i quesiti referendari i votanti sono stati il 13,9% degli aventi diritto mentre per le elezioni comunali la partecipazione media al voto è stata del 46,47% con un massimo a Guardialfiera del 67,27% ed un minimo a Duronia con il 18,45% dove rispetto alla tornata precedente vi è stata una diminuzione dei votanti del 10,96%. Non si può disconoscere l’enorme astensione avutasi per i referendum e il calo sempre più preoccupante nell’elezione dei sindaci soprattutto in alcuni Paesi. Sul tentativo maldestro di riforma della giustizia attraverso quesiti referendari credo occorra dire che le ragioni del rifiuto di andare ai seggi da parte degli elettori abbia diverse ragioni. Il momento della chiamata alle urne era il meno indicato giacché la popolazione italiana e particolarmente quella della nostra regione sta vivendo problemi enormi di carattere economico con un’inflazione galoppante, un debito pubblico in forte aumento con la fuga degli investitori internazionali dai titoli di stato e una guerra all’interno del territorio europeo che accentua ancora di più l’incertezza dei cittadini sul futuro soprattutto in Molise dove ormai è ricominciato in maniera preoccupante il fenomeno dell’emigrazione. Il forte tecnicismo dei quesiti referendari e il silenzio dei partiti politici e dei mezzi d’informazione hanno fatto la loro parte generando insicurezza nella scelta per il sì o per il no. C’è stata ancora la convinzione della popolazione, soprattutto dopo qualche recente consultazione referendaria come quella sull’acqua o sul finanziamento pubblico dei partiti, che anche i risultati elettorali non riescono più ad incidere sulle decisioni politiche del governo o del Parlamento e che ciò che si cerca di cacciare dalla porta rientra poi dalla finestra da parte di politici ormai lontani anni luce dalle reali necessità di cittadini che fanno fatica a mettere il pranzo con la cena mentre si sperperano fondi in una spesa pubblica talora inutile o in bonus dati anche a chi naviga nell’oro. Credo allora, come ho scritto qualche giorno fa in una mia considerazione sui social, che i cittadini stiano maturando una convinzione chiara sul diritto di voto e le sue reali possibilità decisionali. Il voto è sicuramente una delle espressioni più importanti della sovranità popolare previste nelle democrazie compiute a condizione che nei referendum, nelle elezioni politiche come in quelle amministrative consenta scelte reali e libere per il bene collettivo. Se diventa una finzione demagogica e non consente più, ad esempio con gli sbarramenti, di determinare forme vere di rappresentanza dalla base né permette decisioni effettive e ragionate provenienti da confronti aperti e pluralistici e da sistemi di partecipazione popolare alla soluzione dei problemi della cittadinanza, allora l’estrinsecazione del suffragio al seggio elettorale rischia solo di coprire provvedimenti verticistici talora funzionali a interessi di parte e nocivi alla comunità. Dopo il flop di quest’ultimo referendum ci sono già forze politiche che chiedono l’eliminazione del quorum per la validità e ciò manifesta chiaramente quale sia la loro idea di democrazia che, quando è vera, ha bisogno di regole certe e chiare a garanzia di un potere meno delegato e sempre più diffuso e diretto. Anche le astensioni crescenti nelle elezioni amministrative comunali non sono solo, come qualcuno pensa, frutto di contrapposizioni tra fazioni all’interno di un Paese, ma derivano talora dalla scarsa considerazione per i candidati, ma anche dalla contrazione della dialettica democratica determinata da un sistema elettorale come quello dei sindaci che certo garantisce più governabilità nei Comuni, ma ha aumentato a dismisura i poteri dei primi cittadini e delle giunte riducendo al lumicino quelli del Consiglio Comunale soprattutto nelle comunità in cui viene presentata una sola lista che è una limitazione della rappresentanza nelle istituzioni soprattutto quando non nasce dal confronto assembleare tra i cittadini, ma da gruppi di potere che non la rendono unitaria, ma unilaterale. Eventuali forme di dialettica nelle istituzioni amministrative portate fino alla richiesta di annullamento di talune determinazioni ritenute dannose alla collettività un tempo vedevano istituti decisionali celeri come i CORECO che non richiedevano lungaggini e costi come oggi un eventuale ricorso al TAR. Siamo poi davanti ad una nuova grave involuzione per la democrazia attuata tra l'altro con un decreto del governo, il n. 41/2022, pubblicato recentemente nella Gazzetta Ufficiale dove nell’articolo 6 si stabilisce che nei piccoli Comuni, ovvero quelli sotto i quindicimila abitanti, che avranno una sola lista per le elezioni, il quorum scenderà dal 50% al 40% purché essa abbia riportato un numero di voti validi non inferiore al 50% dei votanti e non inferiore al 40% degli elettori iscritti nelle liste elettorali del Comune dalle quali vengono esclusi gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE). Siamo di fronte ad una contraddizione enorme perché, se questi ultimi sono aventi diritto di voto a tutti gli effetti, è impossibile poi non considerarli nel calcolo della percentuale necessaria per il quorum. In pratica con un sistema elettorale del genere una minoranza di cittadini potrebbe determinare l'esito della consultazione. Cosa ancora più grave può avvenire quando, pur avendo una sola lista di cittadini locali e non raggiungendo questa il quorum, la vittoria viene assicurata da liste civetta di militari sulle quali si fa confluire furbescamente qualche voto. Sarebbe davvero ora che lo Stato impedisca agli appartenenti alle forze dell’ordine di inserirsi nelle elezioni amministrative per giochi di convenienze davvero inaccettabili. Ci sono Paesi nei quali talora non si riesce ad avere alcuna persona disposta a candidarsi a sindaco e a formare una lista di aspiranti consiglieri. Al contrario esistono persone talmente legate al ruolo di primo cittadino che lo esercitano vita natural durante sia pure per procura manifesta o occulta. Anche questo era stato impedito con una legge che limitava molto il numero dei mandati e sulla quale poi molte forze politiche hanno inserito la retromarcia. La figura del sindaco e degli amministratori locali in genere dovrebbe occuparsi del bene comune e dunque dei problemi dell’intera collettività ponendoli sempre al di sopra di quelli privati. Purtroppo non avviene, ma sarebbe grandemente auspicabile che le questioni di una comunità vengano risolte con decisioni prese certo negli organismi istituzionali ma con dovute consultazioni allargate della popolazione. Nel Molise abbiamo avuto in questi ultimi anni questioni fondamentali da risolvere come quelle della sanità, della pandemia, della disoccupazione, della povertà, dell’istruzione e della cultura. Di sindaci e amministratori in prima fila nelle lotte relative francamente non se ne sono visti molti. Se dobbiamo continuare ad eleggerli per la cosiddetta normale amministrazione, non riusciremo a cavare un ragno dal buco per migliorare le sorti di questa regione e delle nostre piccole comunità dalle quali i giovani stanno ormai fuggendo sia per gli studi che per il lavoro. L’astensione che continua a crescere in maniera impressionante ci dice che i cittadini hanno tutta l’intelligenza per valutare l’efficacia di un voto, per esprimere o meno fiducia nell’operato di taluni amministratori locali e per capire che anche i referendum come quello del 12 giugno possono essere escamotage demagogici nei quali il voto non solo non riesce a incidere, ma diventa davvero irrilevante.

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