La lunga notte della ragione
di Umberto Berardo
La prima volta in cui sono sceso in piazza contro una guerra era il marzo del 1969.
Il papa Paolo VI riceveva in Vaticano il presidente degli Stati Uniti Richard M. Nixon e con il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione) abbiamo organizzato un’azione di protesta chiedendo che il pontefice esprimesse una condanna aperta sulla guerra in corso in Vietnam.
Con cartelli e striscioni sotto gli eschimi siamo riusciti ad entrare nella basilica fin davanti alla tomba di San Pietro, ma i gendarmi, appena iniziata la manifestazione, ci hanno letteralmente buttati fuori dove poi abbiamo continuato la protesta sul sagrato.
In piazza sono tornato tantissime volte quando la mentalità imperialistica da ogni parte ha scatenato conflitti armati per ridefinire equilibri geopolitici o poteri di carattere economico e politico.
Mentre ancora persistono eccidi ed oppressioni su popoli inermi in tante aree geografiche, dopo quella della Nato in Jugoslavia Putin e la cerchia degli oligarchi plutocapitalisti russi riportano la guerra in Europa con un chiaro intento espansivo a partire dalla Cecenia nel 1999 e poi in Siria, Georgia, Crimea, Kazakhistan e Libia fino al 24 febbraio 2022 quando la Russia invade l’Ucraina con una giustificazione propagandistica di espansione da parte della Nato che certamente non manca di colpe, ma il motivo vero va ricercato nella difesa dell’area d’influenza del suo imperialismo che come tutti gli altri nel mondo minaccia l’autodeterminazione dei popoli e contrasta perfino la volontà di molti tra questi ultimi di associarsi liberamente come nel caso dell’Unione Europea per dare vita a strutture internazionali di coesistenza pacifica.
Decisioni errate della Nato, mancato rispetto da ogni parte di taluni trattati come quello di Monaco o di Minsk, contrasti ed eccidi interetnici in alcune aree dell’Ucraina rappresentano sicuramente occasioni di conflitto, ma la decisione che ha spinto Putin a scatenare una guerra così cruenta trae la sua ragione vera e prevalente nel folle sogno espansionistico di chi pensa di portare indietro le lancette della storia per inseguire ancora sogni imperialistici.
Dietro tale progetto che molti si ostinano ancora a non voler riconoscere ci sono gli oligarchi, il fondamentalismo religioso del Patriarca di Mosca Kirill che avalla come santa la guerra di Putin contro ciò che definisce la decadenza scismatica ed etica del liberalismo e della globalizzazione e le tesi del filosofo Alexandr Dugin che invita la Russia a staccarsi da un Occidente che a suo avviso “è un cimitero di rifiuti tossici della civiltà, è anti-civilizzazione” mentre “la Russia è sorta per difendere i valori della Tradizione contro il mondo moderno”.
Spero che il popolo russo riesca a liberarsi di lui e dei suoi sodali oligarchi, religiosi ed intellettuali che, oltre ad ostentare una ricchezza ed un lusso scandalosi, calpestano la libertà e la democrazia in un Paese come la Russia in cui qualsiasi tipo di espressione del dissenso viene represso con l’arresto di chi lo pone in essere.
Ora dobbiamo con molta onestà intellettuale prendere atto che tutte le guerre scatenate nel mondo dagli imperialismi e dalle plutocrazie di diversa ispirazione ideologica per motivi chiaramente legati alla ridefinizione di poteri e di egemonia politica ed economica si sono svolte nel silenzio pressoché totale dell’opinione pubblica che in diverse occasioni le giustifica perfino come una necessità.
Tante, compresa quella attuale in Ucraina, si sarebbero potute interdire se un’organizzazione come l’ONU avesse deliberato per tempo l’invio dei Caschi Blu già dal 2014, ma la struttura dei suoi organismi con il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza è ormai chiaramente ingessata ed ha bisogno di profondi cambiamenti coma da anni sollecitano in tanti.
Se escludiamo sporadiche proteste del movimento pacifista e dell’area della non violenza attiva, ancora oggi tolleriamo l’umiliazione della dignità e talora il genocidio di intere popolazioni per quieto vivere se non per difendere addirittura un nostro benessere egoistico, ingiusto e talora decisamente amorale come quello finanziario.
Non devo ricordare, spero, che persino sulle sanzioni alla Russia le posizioni dei Paesi europei e della Nato sono alquanto sfilacciate per usare un eufemismo.
Sulla questione Ucraina da settimane ormai si sta invocando una risoluzione diplomatica della guerra in corso, ma le sceneggiate di diversi leader che cercano di attivare incontri in merito appaiono sempre più delle vere e proprie finzioni che spesso vengono oltretutto da Paesi come la Turchia o Israele a loro volta oppressori rispettivamente nei confronti dei Curdi e dei Palestinesi.
L’idea di una neutralità attiva dell’Ucraina da definire in ambito ONU nel pieno rispetto tuttavia della sua indipendenza, libertà e autodeterminazione mi pare al momento una soluzione accettabile, ma il silenzio e l’incapacità politica si trascinano a tal punto che il conflitto armato, condotto nelle fasi più cruente da battaglioni di forze non regolari, sembra destinato a continuare non si sa per quanto ancora fino alla soluzione finale fatta di migliaia di morti, stupri, deportazioni e devastazioni che sembrano il quadro di un vero e proprio ennesimo genocidio nel quale i morti tra gli oppressori e gli oppressi sono sempre e solo i poveri.
Stanno distruggendo intere città e realizzando un deserto.
Con quale pretesa vorranno poi sedere intorno ad un tavolo per chiamare tutto questo con il nome “pace”?
La guerra va sempre rifiutata perché è uno strumento di morte e, come scrive Hannah Arendt, “non restaura diritti, ma ridefinisce solo poteri”.
Gli strumenti di risoluzione dei conflitti non possono che essere quelli della diplomazia e della non violenza attiva che isolino con azioni di disobbedienza, contrasto e dissuasione ogni potere dittatoriale ed imperialistico togliendo ai guerrafondai, come dice un proverbio contadino, la terra sotto i piedi.
La resa ai tiranni si può amaramente pensare sul piano militare ma mai a livello culturale e politico.
Stiamo vivendo ormai un momento storico in cui si susseguono continue difficoltà economiche generate dal potere plutocratico di oligarchi spregiudicati che creano disuguaglianze e discriminazioni scandalose per il proprio tornaconto.
Tutto questo in ogni caso è originato da una profonda crisi etica e culturale determinata dal prevalere della rincorsa verso la ricchezza, il prestigio, il denaro ed il potere che sono i nuovi idoli davanti ai quali si è disposti ad immolare principi fondamentali quali quelli della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale.
Dobbiamo ricostruire un processo educativo per liberarci da egoismi, guerre, violenza, emarginazioni, disuguaglianze e dispotismi laici e religiosi.
Nonostante gli sforzi dopo le tante guerre sparse nel mondo non siamo stati ancora capaci di disegnare un nuovo sistema di convivenza tra i popoli dentro gli Stati o in nuove forme istituzionali quale ad esempio l’Unione Europea che ancora non riesce a darsi un assetto strutturale e politico pienamente democratico con una dignità paritaria dei popoli che sono entrati a farne parte.
Non è un lavoro semplice quello da fare per avviare politiche di disarmo allargato e multilaterale proprio quando l’Italia aumenta in maniera impressionante i fondi in bilancio per gli armamenti mentre dovremmo pensare piuttosto a sostenere le gravi difficoltà economiche che vive la popolazione.
I massacri e le devastazioni che le immagini televisive mettono davanti ai nostri occhi ogni giorno e che generano un’angoscia che toglie il sonno dovrebbero convincerci che dobbiamo sempre più rinunciare a delegare ad altri la soluzione dei problemi, ma farcene carico responsabilmente con un impegno di riflessione, di ricerca culturale e politica che sia capace di renderci concretamente operativi con una piena responsabilità di cittadinanza attiva.
Nei giorni scorsi ho provato come tanti ad avanzare qualche idea per uscire dalla disumanità che genera la violenza.
Nessuno di noi credo abbia certezze assolute sui sistemi di soluzione dei problemi che viviamo, ma è nostro preciso dovere quello d’impegnarci nella ricerca delle strade da percorrere.
Così con caparbietà forse riusciremo a comprendere e fare nostro un principio fondamentale delineato da Giovanni XXIII già nell’enciclica Pacem in terris del 1963 dove scrive “I rapporti fra le comunità politiche vanno regolati nella libertà. Il che significa che nessuna di esse ha il diritto di esercitare un’azione oppressiva sulle altre…”
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