Troppi summit in cui si parla di numeri e non di luoghi

di Pasquale Di Lena TEATRO NATURALE -Editoriali 14/01/2022
G20 e COP26, una perdita di tempo e di opportunità che porta solo a prendere atto dell’aggravarsi delle situazioni, in particolare quella del clima che vive sempre più il rischio del non ritorno Il filo, ormai, a furia di G8, G20 e COP26, si è spezzato e la sola possibilità per riaverlo è riannodarlo il prima possibile, con una raccomandazione ben precisa: utilizzarlo in maniera opposta perché diventi occasione di rinascita e non di una fine senza ritorno. Come dire che un altro strappo diventa definitivo. Sto pensando al rapporto con la natura e al clima che lo esprime meglio di ogni altro. Dopo i recenti G20 e COP26 di Roma e Glasgow, le premesse, in particolare per l’Italia, non sono per niente belle, visto che si stanno per riaprire le vecchie centrali a carbone ( la notizia è di mercoledì 22 dicembre u.s.) di La Spezia e di Monfalcone. Come dire tutte e solo chiacchiere quelle che vengono fatte in questi incontri segnati con la G maiuscola, non so se per significare “incontri dei grandi”, o, meglio, “grandi incontri, alla fine di niente”, visto che servono solo a ratificare le decisioni prese in quelli precedenti e mettere insieme nuovi impegni (promesse) che verranno regolarmente ratificati nei prossimi incontri. Una perdita di tempo e di opportunità che porta solo a prendere atto – per noi piccoli mortali - dell’aggravarsi delle situazioni, in particolare quella del clima che vive sempre più il rischio del non ritorno. A detta degli esperti, di tempo a disposizione ne è rimasto davvero poco. I balzi all’insù del prezzo di gas e petrolio stanno mettendo in crisi il mercato voluto dalle potenze finanziarie e dalle multinazionali, quello globale.
Sempre più il non senso, se penso ai trasporti delle merci, che s’incrociano lungo le autostrade, le ferrovie, i mari e i cieli. L’esempio più evidente è quello del grano coltivato e conservato con un veleno potente, qual è il roundup, il “diserbante totale”, come ci tengono a promuoverlo i suoi produttori e distributori (ieri la Monsanto americana, e, oggi, la Bayer europea) o, com’è, da sempre e non a caso, “secca tutto” in italiano, cioè ragione, nel corso del tempo, di riempimento di ospedali e di cimiteri, se il riferimento è alle persone e agli animali; di distruzione della fertilità dei suoli e di inquinamento della falde acquifere, se il riferimento è alle piante e alla terra. Un prodotto, che le lobby delle sopracitate industrie che lo producono continuano a pressare presso i Parlamenti e i governi, perché continui a diffondere morte. La verità è che nessun dei componenti del consiglio di amministrazione o degli scienziati da esse stipendiati, si senta criminale per i delitti commessi con un numero considerevoli di complici, nella gran parte inconsapevoli, se il riferimento è al passato, ma che oggi sanno e, con assoluta indifferenza, continuano ad usare questo micidiale veleno. La nave che, dal Canada, porta il grano incrocia quella che, in Canada, trasporta la pasta e i prodotti da forno. L’altro esempio, uno dei tanti e tutto italiano, è l’incrocio sulle autostrade di casa nostra, di camion che trasportano acque minerali. Un su e giù che diventa uno spreco di energie e di denaro, quest’ultimo quanto mai necessario volendo recuperare e tenere in ordine le reti di distribuzione dell’acqua, sparse in ogni dove e, nella gran parte dei casi, obsolete, con perdite pesanti inaccettabili. I trasporti – è il mio pensiero – metteranno in crisi la globalizzazione e decideranno del suo futuro, la sua implosione, a partire dal fenomeno Amazon che, ogni anno e in ogni parte del mondo, distrugge milioni e milioni di prodotti invenduti, come a voler essere l’esempio della pazzia del consumismo e del dio denaro. In piena sintonia con il sistema che ha, proprio nel consumismo spietato, la sua ragione di essere predatorio e distruttivo. Un modo di essere del potere che, con l’informazione nelle proprie mani, riesce ancora a nascondere, tant’è che, anche là dove ci s’incontra per vedere come costruire un mondo nuovo, la parola neoliberismo non viene mai pronunciata e meno che mai, l’altra parola “criminale”, che lo qualifica sempre più. Si elencano gli effetti, spesso con dovizia di particolari, ma mai la causa, la sola che permette di interpretarli e, quando serve, combatterli, trovando i mezzi e le giuste strategie per rendere la lotta forte di unità e di partecipazione. Vincente, se utilizza bene l’arte della politica e se mette in campo il “glocale”, il “genius loci”, con tutto quello che è in grado di dare in quanto a valori e risorse. Le origini sono nel territorio, radici ben fissate che esprimono la nostra identità e, con essa, il dialetto, la lingua più propria e più intima, che dà la possibilità di riconoscersi e intendersi sulle cose che sono e bisogna fare per dare forza alla continuità con il passato; al valore del tempo; al senso di appartenenza; al domani proprio e del luogo, della comunità di appartenenza. Un valore di tanti altri valori, che, al pari delle risorse - se bene organizzate e bene raccontate - hanno tutto (qualità dell’origine, diversità, abitudine alla convivialità) per trasformarsi in armi possenti e, come, tali vincenti contro la globalizzazione. I luoghi che, se intensamente vissuti, hanno quello che la globalizzazione non è nelle sue possibilità di dare.
I luoghi, quelli che hanno aria pulita da far respirare e saluti da scambiare. Ognuno segnato da: un campanile, circondato da case basse e strette vie; una piccola piazza; tanti stupendi paesaggi; albe e tramonti che avanzano ed arretrano a seconda delle stagioni; piccoli orti e campi coltivati; sorgenti d’acqua e rivoli ombreggiati; voli di farfalle, api e altri insetti, che raccontano la vita; incontri e lunghe chiacchierate; antiche tradizioni e particolari rituali. I luoghi, che diventano - parafrasando il racconto biblico - tanti Davide capaci di sconfiggere i Golia. C’è bisogno solo di rendersi conto del tesoro che uno ha, il territorio, per difendere e organizzare i valori e le risorse che rappresenta. In pratica, i beni comuni che i grandi protagonisti della globalizzazione ritengono ostacoli da rimuovere lungo la sua strada, e, che da tempo, tentano (vedi referendum modifica Carta costituzionale) di eliminare. No alla globalizzazione, espressione di uniformità; sì ai luoghi, espressione di diversità e di identità, curiosità e ricerca di altre diversità. di Pasquale Di Lena

Commenti

  1. Il peggio è che dopo Cop 26, arriveranno le altre inutili e supermarchettare Conad 31, Penny 50, Carrefour 71......

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  2. "No alla globalizzazione, espressione di uniformità; sì ai luoghi, espressione di diversità e di identità, curiosità e ricerca di altre diversità. di Pasquale Di Lena"
    Mi associo!
    Sono certo di fare cosa gradita, non per aggiungere alle squisite precisazioni che sono state espresse in quest'articolo, ma per dare una piccola testimonianza: abbiamo poco tempo per cercare di mantenere autentiche quelle "radici ben fissate che esprimono la nostra identità", poichè sta per scomparire l'ultima generazione veramente nata, cresciuta e testimone nel territorio; le nuove generazioni sono già nate fuori dal territorio (per scellerata scelta di una sanità che voleva apparire più sicura), e poi indottrinate alla globalizzazione (a causa di una scuola di arrampicatori), per non parlare dei più che sono vissuti, per necessità, in molti territori diversi, tanto da non riconoscere più quale fosse il proprio. Buona domenica!
    Carmine Lucarelli

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