La cultura di sinistra scippata dalla destra
di Teresa Simeone
Da Orwell a Pasolini e Chomsky: negli ultimi tempi stiamo assistendo a un uso strumentale di pensatori di sinistra da parte della destra.
24 Agosto 2021
C’è l’astuzia e c’è l’intelligenza. Poi c’è la propaganda. Ed è proprio quest’ultima che, con astuzia, appunto, utilizza modalità e strategie, a volte inaspettate, altre prevedibili, attingendo là dove percepisce maggiore vitalità o fermento.
Negli ultimi tempi, stiamo assistendo a un’operazione da parte di una certa destra, estrema, dell’uso ad hoc di riferimenti culturali appartenenti tradizionalmente e ideologicamente all’area della sinistra.
Sempre più frequentemente sui social, mezzo di comunicazione da cui ormai non si può prescindere, si riportano frasi o pensieri di intellettuali critici ma ad essa afferenti, a suffragio delle proprie posizioni e al fine di accreditarsi come spiriti aperti e plurali. Fermo restando che l’operazione è legittima, rimangono le perplessità. Rimane, soprattutto, il dubbio di far apparire come dissidente la scelta di quelle posizioni. Già, perché il dissenso è quello che avviene in un regime dittatoriale, non in una società democratica in cui si può essere contrari senza vestire i panni dell’anima bella del ribelle che vada, col petto fieramente esposto al nemico, incontro a chissà quali rappresaglie del potere. Rimane sempre valida la risposta di Vittorio Foa, antifascista, a Giorgio Pisanò, esponente fascista e senatore eletto nel MSI che parlava, ormai a dittatura finita e a democrazia affermata, di pacificazione e di sostanziale somiglianza tra chi aveva combattuto dalle due parti: “Un momento. Se si parla di morti – rispose Foa – va bene. I morti sono morti: rispettiamoli tutti. Ma se si parla di quando erano vivi, erano diversi. Se aveste vinto voi, io sarei ancora in prigione. Siccome abbiamo vinto noi, tu sei senatore”. È questa la differenza che quanti oggi manifestano, in partiti che addirittura si dichiarano eredi del fascismo, rivendicando quella libertà che non ci sarebbe se vincessero le loro idee, non vogliono ovviamente riconoscere, ma che invece deve essere ricordata come un dovere civico ineliminabile da una effettiva lotta per la tenuta democratica. Peccato che, nel furore anticomunista con cui intenzionalmente si affronta la questione, anche personalità che non dovrebbero avere tentennamenti sulle posizioni da appoggiare per difendere le vere libertà, finiscano per sostenere, indirettamente, proprio quelle che le vorrebbero sopprimere.
Prendiamo George Orwell: è un socialista, un socialista democratico che vede con orrore i danni dell’imperialismo e del nazionalismo ma anche, come molti intellettuali traditi dal socialismo reale, le aberrazioni del comunismo sovietico. Scrittore politico e raffinato demistificatore, analizza le storture del potere quando diventa dispotico e non esita a scagliarsi contro ogni forma di totalitarismo. Ma Orwell rimane un antifascista convinto, volontario in Spagna nelle file del POUM contro i franchisti e lì critico verso i comunisti stalinisti, rei di accettare ogni dicktat da Mosca anche quando si fosse trattato di mettersi contro anarchici e altri combattenti. Naturalmente, nella lettura da destra, l’antistalinismo diventa antisocialismo fino a lasciare sfumare del tutto il suo antifascismo. E allora si trasforma nell’intellettuale di riferimento di una destra estrema, nel simboleggiare il controllo panottico di un Big Brother che è anche quello che l’OVRA e la Gestapo, non solo il KGB o la Stasi, ponevano in essere. E che si potrebbe ancora paventare, se dovessero crearsi, per assurdo, le condizioni della vittoria dei fascisti del terzo millennio.
Un po’ in disuso è invece Friedrich Nietzsche, a causa comunque del fatto che per molti anni venisse considerato filosofo di destra. Sappiamo che all’opera di nazificazione cui contribuì anche una sorella, Elisabeth Förster-Nietzsche, che nazista lo era per davvero, (come non ricordare la foto del 1934, con cui Hitler fu immortalato insieme a lei a Weimar, davanti al Nietzsche-Archiv?) è seguita negli anni quella di denazificazione che ha riportato le cose nell’alveo di un anti democratismo di sicura fede ma non di adesione a una concezione statolatrica che il filosofo di Röcken, addirittura definito anarchico da qualcuno, non si sarebbe mai sognato di sposare. Più sparsi, dunque, i riferimenti social alla sua visione e più blando lo scippo del suo pensiero. Evidentemente ancora ambiguo e difficilmente utilizzabile.
Sempre fortissimo, invece, è il fascino dell’eretico Pasolini, di cui è costantemente richiamata la lezione di anticonformismo e il citatissimo “fascismo degli antifascisti”. A una domanda di Brucculeri e Squinzani, in Vie Nuove, del 6 settembre 1962, sul potere attrattivo per i giovani dell’idea fascista, Pasolini, ricordando un’intervista concessa ingenuamente a una giornalista che invece lo descriverà come un concentrato di luoghi comuni, con un’operazione appunto fascista, cioè incolta, rozza e stupida, ribadisce il modo di essere del nuovo fascismo, fascismo come “normalità, come codificazione, direi allegra, mondana, socialmente eletta, del fondo brutalmente egoista di una società”. Un fascismo che è cedimento morale, “complicità con la manipolazione artificiale delle idee con cui il neocapitalismo sta formando il nuovo potere”. Un fascismo che è quello del consumismo che rende tutti simili nell’accesso alle comodità di cui nessuno, fascista o antifascista, riesca a fare a meno. È proprio qui che Pasolini ribadisce qual è il nuovo fascismo, quello dei consumi, interclassista, che omologa tutti e smorza le differenze nella ricerca dei beni che rendono la vita più comoda e, tutto sommato, non contestabile. A proposito del fascismo storico, ovviamente non è preoccupato, essendo archeologico come l’antifascismo di maniera. Ma non sottovaluta il pericolo potenzialmente emergente: in un’altra intervista del 1974 a Massimo Fini de L’Europeo, dichiara che se Almirante per lui è altrettanto ridicolo di Mussolini, un pericolo reale viene dai giovani fascisti, dalla frangia neonazista del fascismo che “adesso conta su poche migliaia di fanatici ma che domani potrebbe diventare un esercito”. E continua: “l’Italia oggi (1974) vive qualcosa di analogo a quanto accadde in Germania agli inizi degli albori del nazismo. Anche in Italia attualmente si assiste a quei fenomeni di omologazione e di abbandono degli antichi valori contadini, tradizionali, particolaristici, regionali, che furono l’humus su cui crebbe la Germania nazista”. Una massa fluttuante, in uno stato d’imponderabilità dei valori, ibrida da cui l’Italia deve guardarsi. Non dimentichiamo, inoltre, la complessità dello “scandalo” Pasolini, una vita trascorsa a difendersi dalla censura, dai processi, dalle accuse di oscenità. È stato tutto ciò che la destra condannava: omosessuale, disobbediente alla disciplina militare, nemico della religione di Stato. Un uomo “diverso”, non omologabile, oltre gli steccati ideologici, libero. Non credo che sarebbe contento delle citazioni che oggi lo vedono presente in tanti post su profili non proprio in linea con le sue scelte coraggiose.
E che dire di Chomsky? Le sue critiche all’imperialismo e ai media capitalistici statunitensi hanno riempito decine di libri. Il linguista, intellettuale di dichiarata fede anarco-sindacalista, socialista libertario, membro dell’Internazionale Progressista, che unisce attivisti e leader di sinistra, è divenuto uno dei più citati a proposito della “dittatura sanitaria”, vero mantra di No-vax, No Scienza, No Pass. La complessità dell’analisi con cui affronta le problematiche più ostiche della contemporaneità, senza fare sconti a nessuno, è ridotta a un unico slogan. La metafora della rana bollita, per cui accettiamo le restrizioni che aumentano sempre di più non rendendoci conto che stiamo accelerando la nostra fine di donne e uomini liberi, è diventata, infatti, la bandiera delle destre e anche, in verità, di una certa sinistra estremista per indicare l’abuso di un governo che, invece di tutelare i nostri diritti, li sta calpestando con la scusa di volerci aiutare. Quali sarebbero i vantaggi, viene da chiedersi, visto che tale dittatura non ha impedito al governo Conte di cadere e di dar vita a un’ampia coalizione cui avrebbero potuto partecipare tutti (e opportunamente la Meloni è restata all’opposizione, dimostrando che la democrazia evidentemente è ancora possibile!) non si capisce. Esattamente come non si capisce per quale motivo dovrebbero iniettarci qualcosa la cui letalità si riverserebbe su chiunque, anche su chi tramerebbe alle spalle delle ignari vittime e per quale profonda ragione dovrebbero sterminarci tutti, sottraendo clienti ai capitalisti farmaceutici di tutto il mondo. In questo senso l’astuzia sarebbe non quella degli uomini ma quella di una storia sovraumana che avesse tutto l’interesse a rendere il mondo un grande deserto. Un deserto in cui non esisterebbero consumatori e dunque neppure quel complotto mondiale che vorrebbe, attraverso i vaccini, imporre la propria dittatura sanitaria.
L’operazione della propaganda che istiga alla ribellione contro questa fantomatica tirannia, come si vede, è, dunque, anche strappare autori di chiara cultura antifascista alla legittima area di riferimento, attraverso la riduzione della complessità del loro pensiero a un’unica frase, funzionale ai propri scopi. Non conta, cioè, la ricchezza degli studi e delle argomentazioni, l’adesione profonda e intima, teoretica, etica, politica a una particolare visione del mondo e dei rapporti umani, l’ampio respiro filosofico: tutto è omesso, ridotto a poche parole che non danno assolutamente il senso critico della loro difficile attività di pensatori.
Le nuove destre, populiste e sovraniste, cercano, cioè, di accreditarsi, costruendosi una patente di liberalità, utilizzando riferimenti di matrice progressista che dovrebbero rendere meno “pericolosa” ed escludente la loro presenza, rassicurando e cercando di rimestare nel bacino degli indecisi con metafore e richiami attrattivi, democratizzando una visione dei rapporti sociali che ha in nuce, invece, una potenziale carica antidemocratica. È come quando citano continuamente la Costituzione senza capire che l’anima profonda, quella che, pur non essendo esplicitata direttamente in un articolo specifico, l’attraversa tutta, improntando di sé ogni sua parola o principio, è incontestabilmente e irreversibilmente antifascista.
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