Raimondo Lafratta, impavido ottantanovenne, è cercatore di nomignoli a Guardialfiera

di Vincenzo Di Sabato
Al dilagante festival delle sciocchezze, Guardialfiera reagisce col risvolto d’una verticalità vivace prescelta da Raimondo Lafratta, un “giovane ottantanovenne” passionale cantore del paese. Gran conoscitore del nostro ambiente agropastorale, artigianale, borghese. Sarto e barbiere nel suo lontano passato. Ma anche edicolante, fisarmonicista, chitarrista, virtuoso del mandolino. Da scapolo sublima la sua bottega di Corso Umberto, anche in luogo di incontro per studenti, in un “salone” di musica, parodie, stornellate e satire graffianti. Diverrà più tardi Vigile Urbano ed Economo al Comune di Guardialfiera. Poi agente assicurativo, e fiduciarius previdenziale e sociale; il custode, insomma, dei lavoratori e pensionati. Il segretario del popolo! E, per trent’anni, egli è stato anzitutto l’incomparabile Amministratore di cassa del Centro Studi Molise. Poggiandomi sui miei due palmi un manoscritto, mi preannuncia: “Vincé, contiene i soprannomi attribuiti ai guardiesi nello spazio di un secolo: dal 1900 al 2000. Lo soppeso nella sua ideale maestosità e stupisco. 399 appellativi - lì dentro - scherzosi, ironici; talvolta malevoli, affibbiati per caratteristiche fisiche, morali o per qualche avventura inconsueta a famiglie o a personaggi graziosamente pittoreschi. Potenza e prodigio della memoria che si spalanca su tanti nomignoli e sulle tante correlazioni e stravaganze. Piccoli e grandi frammenti del passato che s’incastrano nella mia mente e che mi rammentano epoche, odori, gesti, attimi di una intera esistenza. Memorie di momenti felici, di confusione, di piaceri, di dolori. E così, da questi riferimenti e dai piccoli ricordi personali rintracciati nel baule dell’anima, ricostruisco la grande lettura storica della nostra e della mia vita. Raimondo, inconsapevolmente, mi fa salire e camminare sulle nuvole, lì, ad ammirare e riconoscere il piccolo mondo antico. Mi dona la suggestione di vederlo così come l’avrei desiderato: arguto, affabile, fantasioso, annodato alla sana emancipazione dei giorni nostri ma con la perenne ecologia dell’etica. Mi fa ricordare segni certi e ripetuti. Da quei soprannomi mi si accavallano anche metafore, macchiette, scene, ebbrezze; e la voglia di scavare e di trasmettere ai discendenti, incanti espressivi delle ineguagliabili consuetudini secolari. Attraverso quei tanti appellativi dialettali, Raimondo mi draga dall’animo la civiltà contadina, la sua metamorfosi, il post-moderno e l’affievolirsi e la scomparsa dell’identità paesana. Risento la nostalgia delle radici di quella vita vera, semplice di persone semplici e vere e il bisogno di far tornare il sentimento profondo dell’amicizia, della spiritualità legata alla natura così, come al canto popolare dei guardiesi che amavano il paese che ancora “stà misse sott’è na culline e chè u ciéle e l’azzurrine le fanne èddecrejà”. Leggere i nomignoli scovati da Raimondo è stato come sperimentare una favola per sognatori, per vecchi simili a me. Perché alla nostra età, illudendoci, continuiamo a credere a quelle utopie come rifugio a realtà che si fanno insopportabili e deludenti.

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