Il ritorno dello Stato e il fallimento del neoliberismo, secondo Stiglitz e non solo

Greenreport anno XV newsletter numero 3313 del 4 giugno 2021-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------La pandemia di Covid-19 dimostra che la conoscenza deve restare un bene pubblico
Intervenendo al Festival dell’Economia di Trento, Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia 2001, ha detto che «Il neoliberismo ha fallito». E per Stiglitz in un mondo post-neoliberista ci sarà più ecologia istituzionale e si conterranno gli istinti predatori del profitto. Il famoso economista statunitense è convinto che «Servono più azioni di tutela collettiva. Il neoliberismo non è riuscito a creare quella società armoniosa che immaginavamo. E’ fallito economicamente e socialmente perché le diseguaglianze sono enormi, divisioni sociali e sfruttamento sono molto diffusi e negli ultimi anni abbiamo assistito anche a fenomeni poco edificanti come protezionismo e egoismi anche sul fronte vaccinale». Stiglitz ha aggiunto: « Auspico un ritorno dello Stato, un maggiore impegno dei governi. Il libero mercato non ha saputo regolare da solo la società, la distribuzione del reddito, i rischi ambientali». Il neoliberismo è in crisi profonda e Stiglitz è convinto che debba essere sostituito da nuovi paradigmi socio-economici: «Tra disarmonie e conflitti, serve un’inversione di rotta repentina perché ci stiamo muovendo verso l’economia del futuro che sarà basata sulla conoscenza. Vogliamo lasciare la conoscenza nelle mani di pochi privati dediti alla massimizzazione dei profitti? La conoscenza deve restare un bene pubblico, perché se i privati produrranno conoscenza cercheranno di limitarla e controllarne i benefici. Per i governi, quindi, sarà sempre più importante e indispensabile avere un ruolo nell’economia della conoscenza. L’abbiamo scoperto anche con i vaccini, dato che i risultati scientifici così veloci sono stati resi possibili da consistenti fondi pubblici, mentre i privati hanno concluso solo l’ultimo miglio». L’economista ha evidenziato che «Per l’economista statunitense avremo sempre più bisogno di regole e norme, perché siamo sempre più sociali e urbani. Ma anche soggetti a variabili esterne, imprevedibili, come cambiamenti climatici sovranazionali e pandemie globali, come abbiamo visto, o ai rischi eccessivi presi dalle banche, come con la crisi innescata nel 2008 insegna. L’economia di mercato non è stata in grado di affrontare il dilagare delle diseguaglianze, la crisi del lavoro. Perché il mercato, se lasciato libero, non si occupa della giustizia sociale e della redistribuzione del reddito. L’ex presidente americano Donald Trump, ad esempio insegnava nella sua università come sfruttare gli altri e aggirare le norme. Al neoliberismo del passato, quindi, dobbiamo contrapporre un ritorno dello Stato». Ed è «Uno Stato forte, simile a quello a cui si è assistito in tempo di Covid19, e che dunque impone la sua presenza per far fronte alle tre grandi difficoltà del nostro tempo: lo strapotere tecnologico, le disuguaglianze sociali e la pandemia», quello che auspica per il futuro anche Daron Acemoglu del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e per descriverlo si affida a un’immagine chiave del suo nuovo libro “The Narrow Corridor”, scritto in collaborazione con James A. Robinson, illustrando quello che Hobbes avrebbe definito “Leviatano incatenato”. Infatti, Acemoglu ha detto che «Perché lo Stato, tra regolamentazioni ai colossi del web e welfare, non si trasformi in un “Leviatano dispotico”, a regolare e controllare il suo potere, ci dovrà sempre essere una società altrettanto forte. Solo attraverso un equilibrato gioco di pesi e contrappesi avremo una buona democrazia, che sostenga la libertà». Il professore del MIT ha ricordato che «Entrare e uscire da questo corridoio, passando da un “Leviatano dispotico”, quindi una forma governativa simile alla Cina, a un “Leviatano assente” è frequente e semplice, quindi affinché vi si entri e vi si permanga, sono necessarie le istituzioni. Esse infatti provvedono ad ampliare la strettoia. Allo stesso tempo, è però poi fondamentale, per la corretta riuscita della democrazia, che vi sia un “sospetto” nei confronti del potere. Non è nulla di nuovo, ci basti pensare alla storia, a fenomeni come l’ostracismo ateniese». Quindi, su un piatto della bilancia Acemoglu mette uno Stato che trovi la forza e il coraggio di imporsi di fronte allo strapotere tecnologico (uno su tutti il problema di Google e della gestione della privacy), convertendo l’intelligenza artificiale in un supporto, e che parallelamente attivi sistemi di welfare efficaci, per ridurre le disuguaglianze economiche fortemente accelerate dalla pandemia. Sull’altro piatto mette una società civile che non abbandoni il suo ruolo di “cane da guardia”, di contrappeso al potere pubblico, in nome della democrazia e della libertà: «E per libertà intendo una “mancanza di dominanza”, che si sviluppa necessariamente in presenza di sicurezza e autonomia, lontana dalle disparità. Si tratta di scelte critiche per il futuro: ciò che conta non sono gli impulsi alla base dei fenomeni, ma i contesti in cui essi avvengono; ciò che conta è come gestiamo questi impulsi, sono le scelte che operiamo». Un altro premio Nobel per l’economia, Michael Kremer che lo ha vinto nel 2029, ha sollecitato la comunità mondiale a «Trarre degli insegnamenti dalla pandemia da Coronavirus in modo da farsi trovare pronti per casi simili che accadessero in futuro». Nel suo intervento al Festival dell’Economia di Trento, Kremer ha ricordato a sua volta che «Il vaccino è stato prodotto a un ritmo incredibile ma non abbastanza veloce, perché in alcuni Paesi siamo in ritardo. Dovremo prepararci per le pandemie del futuro per garantire una capacità di produzione adatta e avere una ricerca e sviluppo e la filiera a posto». Poi ha spiegato che «La maggior parte dei vaccini candidati non è andata a buon fine e che molti esperti dicevano che per la fine del 2021 non si sarebbero approvati vaccini o che al massimo se ne sarebbero prodotti 100 milioni, mentre in realtà siamo andati oltre queste previsioni. Ricordando che «La pandemia abbia comportato fino a 500 miliardi di dollari di perdita mensile del Pil mondiale» ha sottolineato quanto sia stata decisiva «L’azione dei governi che hanno speso per aumentare la capacità produttiva, come il Regno Unito e gli Usa, e questo ha dato il la all’aumento della capacità produttiva mondiale. La velocità nella vaccinazione è un fattore molto importante e serve un aumento della capacità produttiva, perché l’aumento dell’offerta potrà dare vantaggi a tutti i Paesi, dato che così non si creano carenze di scorte e non si aumentano i prezzi». Per il Premio Nobel bisogna «Prepararsi ora perché non sappiamo dove spunterà una nuova pandemia e dovremo prevedere una capacità che si può ampliare in caso di necessità per essere in grado di vaccinare rapidamente il mondo. Avere un numero elevato di dosi permette anche di superare il problema del nazionalismo dei vaccini. Ci vuole uno sforzo mondiale per aumentare la capacità produttiva». Kremer ha concluso: «Occorre incentivare la ricerca e l’innovazione nel settore dei vaccini, evitando il monopolio di chi produce perché ciò riduce l’accesso al farmaco. Il modello da sostenere è quello della “contrattazione preliminare, come quella messa in campo nel caso del vaccino contro le malattie pneumococciche. Qui ci sono stati investimenti pubblici per 1,5 miliardi di dollari e sono stati messi a punto 3 vaccini diversi che hanno salvato 700.000 vite. Tale approccio della contrattazione preliminare per avere un numero di vaccini tale da coprire tutta la popolazione mondiale ha avuto successo e può guidare ricerca e sviluppo per garantire l’accesso ai vaccini».

Commenti

Post popolari in questo blog

Un pericoloso salto all'indietro dell'agricoltura

La tavola di San Giuseppe

Nel 2017 il mondo ha perso un’area di foreste grande quanto l’Italia. L’indagine di Global forest watch