un esempio di chi non ha alcuna idea dei valori e delle risorse del proprio territorio

L’Abruzzo pastorale è sotto attacco: manovre speculative attorno all’Igp dell’arrosticino da QualeFormaggio
Arrosticini abruzzesi – foto di Stefano Delle Monache© – Creative Commons Licene Gli arrosticini sono un classico della cucina abruzzese e affondano le loro radici nella tradizione della pastorizia locale. Sulle manovre in atto per l’ottenimento di una Igp che valorizzi questa preparazione tipica locale è intervenuta giovedì scorso 25 marzo l’associazione Rete Appia, diffondendo un comunicato che chiarisce definitivamente quanto sin qui non detto dai soggetti proponenti, e rivendicando una posizione e un ruolo che non possono e non debbono essere trascurati dagli organi governativi. La Redazione di Qualeformaggio è lieta di dare spazio a questa voce affinché si mantenga alta l’attenzione sulla vicenda, e si prepari nel miglior modo un adeguato scenario in cui le sacrosante rivendicazioni dei pastori siano tenute nella debita considerazione da chi gestirà l’iter relativo alla concessione del suddetto marchio di garanzia. La vera carne ovina abruzzese pastorale è oggetto di speculazioni da parte dell’industria locale – foto di Nunzio Marcelli© “Si tratta di spiedini di carne ovina cotta alla brace nelle cosiddette “canaline”, con la sola aggiunta del sale. Col tempo l’arrosticino è entrato a pieno titolo nel novero dei “cibi globali”: cibo di strada, fast food alternativo e rustico e al tempo stesso così evocativo da caratterizzarsi nel mercato articolato e saturo della ristorazione contemporanea”. Da qualche tempo è in corso un processo di riconoscimento dell’arrosticino come Igp. Sono in larga parte gli imprenditori della lavorazione delle carni che premono per questo riconoscimento, al fine di limitare la concorrenza sempre più spesso proveniente anche dall’estero e con prezzi ovviamente sempre più competitivi. Il disciplinare elaborato dal comitato promotore, tuttavia, rischia di trasformarsi in una chiara minaccia alla produzione territoriale. Si prevede, infatti, che possano essere lavorate solo carni provenienti da animali (a peso morto) superiori a 30 kg. Le pecore abruzzesi, però, non raggiungono, per loro natura, più di 23-24 kg e proprio a causa di questo limite inferiore sono di fatto escluse da un disciplinare che in teoria dovrebbe tutelare un prodotto tipico abruzzese. La vera carne ovina abruzzese pastorale è oggetto di speculazioni da parte dell’industria locale – foto di Nunzio Marcelli© La Giunta Regionale dell’Abruzzo ha già espresso parere favorevole su di esso, accontentandosi di fissare nel disciplinare solo la lavorazione in loco, secondo le modalità prescritte, senza realmente occuparsi di tutelare la produzione locale e men che meno l’allevamento al pascolo, favorendo di fatto l’allevamento industriale, stanziale e intensivo. L’immaginario dell’Abruzzo pastorale è usato per promuovere una produzione sempre meno estensiva e sempre meno radicata al territorio, al suo paesaggio e alle sue pratiche artigianali. Retorica evocativa della transumanza per ammantare di narrazioni appetibili produzioni sempre meno caratterizzate, condannando di fatto i pastori all’estinzione. Ci si sarebbe aspettati dalla Regione una salvaguardia del suo patrimonio paesaggistico e culturale, una tutela della sua biodiversità, in linea anche con i più recenti e prestigiosi riconoscimenti di carattere globale come quello Unesco conferito alla Transumanza. Ci si trova invece davanti ad una miope acquiescenza verso logiche industriali produttiviste prive di qualsiasi rapporto con l’identità dei territori. Un altro processo di riconoscimento Igp coinvolge da qualche tempo il pecorino d’Abruzzo in cui, ancora una volta, materia prima e territorio vengono del tutto esclusi dai criteri, fissando come parametri solo i tassi di acidità del formaggio e l’altitudine di stagionatura. È la logica di per sé discutibile delle Indicazioni Geografiche Protette a consentire queste storture: Olio di oliva “italiano” con olive tunisine, Prosciutto di San Daniele con maiali allevati in Ungheria, Bresaola della Valtellina con carne brasiliana di gnu surgelata, per menzionare solo alcuni esempi eclatanti. Le Regioni dovrebbero tutelare il territorio, le comunità e le loro attività produttive specifiche, i paesaggi agrari e produttivi grazie a un intreccio virtuoso tra disciplinari e sostegno alle attività agro-pastorali senza cedere al ricatto dell’agroindustria, non certo facilitare la produzione di arrosticini con carne non locale o pecorino con prodotti di altri territori. Non c’è solo incapacità di progettare azioni di sostegno alla pastorizia locale e tradizionale, ma una visione miope che continua a consumare territorio e lasciare la sua sempre più insostenibile impronta ecologica”

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