L'abbandono culturale e politico del settore primario, l'Agricoltura
di Giorgio Scarlato <giorgio.scarlato@hotmail.it>
Una
considerevole parte delle imprese agricole italiane, in particolar modo quelle
del Meridione, sta attraversando, e questo da ben venti anni, un momento di
grande difficoltà, di smarrimento ed incertezza, dovuto ad uno stravolgimento
epocale neoliberista-globalizzato
dello scenario socio-politico-economico.
Una
situazione impensabile anche per i conoscitori navigati della realtà
imprenditoriale agricola nazionale.
I
motivi di questa sofferenza? La stagnazione dei prezzi delle derrate agricole
con prezzi fermi ai fine anni '80 del secolo scorso, gli aumenti smisurati dei
costi di produzione (trattrici, attrezzature, concimi, fitofarmaci, etc);
concorrenza sleale dei Paesi UE ed Extra UE; difficoltà competitiva nella
collocazione dei prodotti agricoli; ma soprattutto mancanza o incapacità
istituzionale della difesa del settore da parte di chi dovrebbe
difenderlo.
Questo vale per il pomodoro da industria, il grano duro,
il settore lattiero-caseario, quello ortofrutticolo, il zootecnico,
etc.
Un
dato incontrovertibile che bisogna ribadire: l'Agricoltura nazionale è stata
sempre merce di scambio, barattata per favorire altri settori strategici (?)
come quello dell'auto, o quelle delle imprese costruttrici di opere pubbliche in
Paesi africani o asiatici.
Qualche
sapientone "luminare nostrano" ha dichiarato che in un futuro più o meno
prossimo l'imprenditoria agricola nazionale dovrà essere vista ed impostata come
secondo lavoro.
Quanto su appena scritto porta a fare una serie di
domande: Cosa fare a questo punto? Quali prospettive avranno le attuali aziende
agricole? Spariranno? Cosa ne sarà di questi giovani "primi
insediati"?
I
"tanti soloni", centinaia di esperti nazionali e regionali che da anni si
spremono le meningi con incontri, vertici, summit, riempendo migliaia e migliaia
di pagine per far ripartire il settore, per programmare il futuro agricolo, gli
stessi politici lungimiranti che hanno governato in tutti questi anni e che
dovevano dare risposte, dovevano farsi carico dei relativi percorsi
programmatici da intraprendere, cosa hanno fatto in concreto ? Letteralmente
nulla, solo chiacchiere visto che, a loro dire, e buon per "loro", poi, i
rassegnati, gli "inascoltati agricoli", ascoltano, parlano ma poi alla fine non
si lamentano mai.
Questo non è più concepibile!
Queste
problematiche non potevano e non possono essere lasciate alle incombenze dei
soli imprenditori agricoli!
E'
bene chiarire e da tener presente che questa Via Crucis agricola è iniziata dal
lontano 2000.
In
questi venti anni, lo si ripete, nonostante le tante professionalità
istituzionali succedutesi sia a livello europeo, nazionale e regionale, il
quadro che ne viene fuori è desolante. Programmazioni illogiche, senza
costrutto. Ed allora?
Dobbiamo
ricordare i vari accordi commerciali, di ieri, del Green Corridor o, di oggi,
come il trattato di liberalizzazione commerciale Europa- Usa del TTIP ( Transatlantic
Trade and Investment Partnership, trad: Partenariato Transatlantico per il
Commercio e gli Investimenti) o l'accordo commerciale UE- Canada il CETA
(Comprehensive
Economic and Trade Agreement,
letteralmente "Accordo economico e commerciale globale"), accordi a
perdere per il settore nazionale?
È ora di smetterla e sentir sempre dire la solita solfa,
che la colpa nell'affrontare la crisi è dovuta alla mancanza imprenditoriale
dell'agricoltore! Individuare, intercettare il mercato, ma cosa?
Ma
se non hanno consapevolezza manco quelli che ci hanno rappresentato e ci
rappresentano in Europa, quelli che dovrebbero dare indirizzi e tutelare così
gli interessi nazionali e la sovranità alimentare della nazione!
Invece, se la realtà è questa, si può affermare con
certezza che ci sono solo tanti "cavallini di Troia" nostrani sottomessi alla
politica di altre nazioni, alle lobby e alle multinazionali dell'agribusiness di
turno.
L'agricoltura nazionale non è altro che la vittima
sacrificale delle politiche europee interessate ad affossarla e di quella
nazionale e regionale poco attente a
sostenerla.
Di
fronte a questo cambiamento così radicale, stravolgente ed inaspettato, si
chiede: Di cosa dobbiamo parlare o approfondire ancora? Quale la strategia
politica? Non c'è e non c'è mai stata se questi poi sono i risultati.
Dal mondo agricolo, quello che lavora sotto il sole o la
pioggia, col caldo o col freddo e vive di solo reddito agricolo, di quello che
può dare la terra, traspare una visione tetra: gli agricoltori o meglio i
contadini e le loro famiglie sono diventati gli schiavi, gli usati e
mortificati, i figliastri di un dio minore, quelli che mentre per lo Stato sono
proprietari di aziende agricole, i ricchi, nella realtà, la stragrande
maggioranza è povera in canna e rasenta la miseria. Per chi non la conoscesse e
di "sazi" ce sono, dalla Treccani: stato di estrema povertà, mancanza di ciò che
è fondamentalmente necessario per vivere, cui conseguono avvilimento spirituale,
infelicità e sensi di desolazione. Basterebbe solo chiedere alla Caritàs
regionale e ai sacerdoti delle varie Diocesi il dramma contadino e farsi dire
chi bussa alla loro porta.
La nostra strategia di sviluppo aziendale è inesistente
nonostante il nostro Paese sia deficitario per il 35% di grano duro, del 65% di
grano tenero, del 75% di zucchero, del 50% di mais e soia, del 47% di carne
bovina, del 25% di latte, del 40% di olio d'oliva. Non sappiamo se produrre grano duro, olio d'oliva,
pomodoro visto che poi, “quelli“ che adoperano la materia prima,
trasformandola, sempre più si approviggionano di prodotto estero a prezzi
irrisori e che grazie a leggi compiacenti la etichettano poi come made in Italy.
Ecco il motivo perché centinaia e centinaia di migliaia di ettari di terreni
rimangono non coltivati!
Con questa logica politico-industriale poi hanno pure la
capacità di esportare e parlare di competitività.
Non poco tempo fa su un articolo di giornale on line
Fresh Plaza, un industriale del ramo puntualizzava che, ad es. per il pomodoro
da industria"... Il punto critico è come rimanere concorrenziali: per cui spesso
siamo costretti a pagare il meno possibile la materia prima, per essere
competitivi nel mondo". Non ci sono parole, c'è da restare davvero
basiti.
Viene sottaciuto che le vendite sottocosto, le
promozioni che fa la Gdo vengono sempre e solo scaricate sulle spalle degli
agricoltori. Sono anni che decide il bello o il cattivo tempo comprando le
derrate a prezzi stracciati che spesso e volentieri non coprono neanche i costi
per produrle.
È questo che non sta bene. Sono pratiche sleali. E che
fa la politica nostrana? Nulla. Ma è questa la politica del futuro che le alte
sfere sognano?
Non è così che si possono valorizzare le specificità di
un territorio, la sua biodiversità, la sua sostenibilità ambientale, sociale e
culturale!
Bisogna fare in modo che tutti, uniti (politica,
imprenditoria agricola, agro industria, turismo), diventino protagonisti delle
decisioni da prendere vedendo quali sono i punti di forza e di debolezza e le
strategie da intraprendere, utili al suo sviluppo.
Questa è la strada da percorrere; altro è, visti i
risultati finora raggiunti, il nulla.
E il Molise con la questione devastante e senza fine dei
consorzi di bonifica, la mancata valorizzazione dei prodotti autoctoni e dei
contratti di filiera e del bellissimo territorio ne è l'esempio
calzante.
Due ultime considerazioni.
La prima.
Il coltivatore diretto non può essere assimilato a tutti
gli altri imprenditori dei vari settori; è colui che tutela l'ambiente, è la
sentinella del territorio, quello che salvaguarda la natura senza percepire
alcunché. E questo dovrebbe essere tenuto in seria considerazione ed
invece...
La seconda.
Il coltivatore diretto non potrà mai essere un
imprenditore fino a quando non sarà lui a decidere il prezzo delle sue derrate
come avviene in qualsiasi altro settore. Subisce quando si tratta di acquistare,
subisce quando vende i suoi deperibili prodotti: è sempre incudine e mai
martello. E questo stillicidio non lo si può più accettare.
Bisogna fare in modo che questa condizione d'incertezza
nella quale si trova ad operare sia rivista; caso contrario è la
fine.
E se muore Sansone (il contadino) , moriranno anche i
Filistei (le sanguisughe). Sarà solo, poi, questione di tempo.
Giorgio Scarlato.
Comitato spontaneo agricolo
"Uniti per non morire"
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