Ordinamento istituzionale e democrazia partecipata in Italia


di Umberto Berardo

In questi giorni, che precedono il referendum per approvare o respingere la legge varata in via definitiva dalla Camera dei deputati l’8 ottobre 2019 sulla diminuzione dei membri del parlamento italiano, quelli che dovrebbero essere gli organi d’intermediazione tra istituzioni e cittadini in Italia sembrano tenersi a distanza dai problemi molto più ampi e collegati in parte alla consultazione popolare.
Non s’intravvede neppure l’ombra di un dibattito, di confronto aperto né nelle piazze reali e tantomeno sui media dove regna perenne un’assenza culturale ma anche politica tra l’altro non solo legata alle vacanze estive.
Sui social comincia ad affacciarsi qualche discussione ancora una volta non sempre in toni pacati e rispettosi, ma sappiamo bene che le piazze virtuali sono frequentate da minoranze e dunque hanno limiti palesi nel raffronto di idee diverse o articolate.
Poiché l’ordinamento istituzionale dovrebbe costituire il pilastro del funzionamento di una democrazia rappresentativa, la nostra Costituzione ne aveva previsto l’istituzione e la struttura delegandone i poteri elettivi al popolo sovrano.
Da anni ormai in tutti i sistemi elettorali proposti in Italia  progressivamente vi è stato un passaggio dal proporzionale al maggioritario per le consultazioni amministrative e quelle parlamentari sminuendo progressivamente il potere delle minoranze e portando con elezioni di secondo grado al ridicolo la rappresentanza nelle province dove candidati ed elettori possono essere solo sindaci e consiglieri comunali.
Dal presidente della repubblica, a quello del Consiglio dei ministri, ai presidenti delle giunte regionali, a quelli delle province fino ai sindaci il potere dei vertici arriva al punto da poter fare nomine negli organi di rappresentanza e di governo ai diversi livelli anche a persone mai elette dal popolo in quelle istituzioni.
C’è anche chi ha immaginato di poter sostituire le consultazioni popolari con forme oggi difficilmente controllabili di piattaforme digitali gestite da privati.
Questo ancora non bastava perché il 4 dicembre del 2016 con un referendum c’è stato anche il tentativo di scardinare perfino alcuni principi fondamentali della Costituzione Italiana.
Abbiamo negli anni eliminato i Comitati Regionali di Controllo, reso difficile e costoso il contrasto giuridico ad eventuali decisioni delle maggioranze e si è sempre più allagato l’uso della decretazione di urgenza che spesso riduce ad una presenza illusoria gli organi legislativi limitati a convertire in legge i sempre più numerosi decreti.
Si capisce bene allora che non siamo alla destrutturazione o all’involuzione del processo democratico, ma ci troviamo da anni incanalati nella costruzione non di una oligarchia, ma di una vera e propria plutocrazia voluta da un potere economico e finanziario e dalle tante caste che hanno già distrutto alcune forme di partecipazione alle decisioni che pure in qualche modo, anche in mezzo a mille difficoltà, si erano fatte strada dal dopoguerra in poi.
Siccome gli artefici di tali detestabili trasformazioni politiche erano seduti in parlamento, è del tutto evidente quanto l’opposizione a simili decisioni dovesse portare le organizzazioni intermedie di rappresentanza  quali i partiti, i sindacati e i movimenti ad una mobilitazione massiccia ed allargata tesa a difendere una democrazia vera e non quella al tramonto piegata al volere di un liberismo economico verso il quale gli eletti sembrano proni a difesa delle tante categorie privilegiate di natura economica e politica.
Su questi temi e sui problemi che essi stanno creando alla tenuta del sistema di rappresentanza e della sovranità popolare dobbiamo discutere nei prossimi giorni, possibilmente evitando di rincorrere il mainstream  di turno, ma confrontandoci piuttosto apertamente su quale sia il modo di pensare e l’espressione di voto di ciascuno di noi sul referendum del 20 e 21 settembre 2020.
Il dubbio che la riduzione del numero dei parlamentari possa penalizzare nella rappresentanza le regioni più piccole con l’attuale legge elettorale è un dato difficilmente smentibile, ma occorre anche riflettere sul fatto che una diminuzione drastica del numero dei parlamentari potrebbe dare la scossa alla eliminazione di privilegi davvero scandalosi negli stipendi, nelle pensioni ,nei vitalizi  e in altri benefici muovendo finalmente un varco per una legge elettorale con sistemi di candidatura lontani dall’attuale verticismo delle segreterie dei partiti e che possano prevedere garanzie di competenza, di responsabilità e di onestà che francamente oggi difettano in tanti che spesso si ritengono mostri di sapienza e che al contrario si dimostrano assolutamente incapaci di qualsiasi azione amministrativa, legislativa o di governo.
C’è ancora da affrontare la rimodulazione dei collegi elettorali e l’eliminazione della soglia di sbarramento che sicuramente sono oggi tra le principali difficoltà legate alla realizzazione di una vera democrazia rappresentativa.
L’altro problema che non stiamo ponendo al centro dell’attenzione è quello di una riorganizzazione istituzionale che elimini o riduca taluni enti locali accorpandoli razionalmente in alcuni casi ed eliminando taluni conflitti di competenza che di recente sono emersi anche nelle decisioni sulla pandemia in atto.
In altre parole la diminuzione dei parlamentari in Italia, che indubbiamente sono tra i più numerosi in Europa e nel mondo, non si può porre in essere senza una riforma complessiva dei sistemi e delle regole di organizzazione della rappresentatività a qualsiasi livello che sia capace di sciogliere il nodo del parametro della rappresentanza.
In tale ottica la legge varata nell’ottobre del 2019 e il referendum cui saremo chiamati cercano di affrontare  un solo obiettivo, certamente reale, di un tema tuttavia molto più complesso che è quello del funzionamento e delle regole nelle istituzioni in Italia.
È indispensabile il numero di 945 parlamentari eletti più (ahimè!) 5 senatori nominati o sarebbero sufficienti anche i 600 previsti dalla legge sottoposta a referendum?
È più utile pensare a ridurre drasticamente il compenso economico attuale agli eletti nelle istituzioni o diminuire la rappresentanza parlamentare?
Quali sono le posizioni puriste e quali quelle populiste?
Incontrarsi e discuterne a viso aperto e con spirito libero e rispetto delle idee altrui è la cosa migliore che può portarci a soluzioni possibili, efficaci e fuori da ogni preconcetto.
All’orizzonte sembra emergere una divisione tra chi appare avvolto da certezze incrollabili ed altri che provano ad avanzare dubbi e perplessità o che talora ondeggiano nelle decisioni per interessi politici del tutto contingenti piuttosto che orientarsi a finalità di lungo respiro.
Persino emeriti costituzionalisti oscillano sul tipo di voto più opportuno da tenere al referendum.
Se forze democratiche vicine agli interessi della comunità e alla costruzione di una società diversa da quella nella quale viviamo hanno voglia di rendere un servizio ai cittadini, nel pieno rispetto delle  norme anti Covid-19, organizzino assemblee pubbliche anche all’aperto e pretendano che i media diano spazio a dibattiti non affidati ai cosiddetti opinionisti o influencers ma aperti alla partecipazione della popolazione.
Occorre in altre parole uscire dai confronti troppo limitati e talora polemici aperti sui social per sviluppare al riguardo un pensiero articolato e riflessivo che possibilmente porti a fare sintesi sulle decisioni vere da assumere per portare le istituzioni a forme reali di rappresentanza popolare i cui parametri ovviamente non sono solo numerici, ma anche culturali, etici, politici, sociali e relazionali nelle capacità di comprendere e risolvere equamente i problemi della collettività.
 Uscire allora dalle trappole o dai miraggi illusionisti che ancora provano a sviare la nostra attenzione significa tornare ai problemi fondamentali che sono quello di una riorganizzazione amministrativa dei territori senza emarginarne alcuno con assetti legati all’idea di periferia e l’altro di arrivare possibilmente a proposte popolari di leggi elettorali veramente democratiche per l’elezione di rappresentanti autorevoli nelle diverse istituzioni e per elaborare sistemi di controllo sistematico sul loro operato e sulla possibile revoca del mandato per motivi di carattere penale, per palese inefficienza nel mandato  o nel rapporto con i cittadini o infine per assenteismo reiterato alle riunioni assembleari o nelle commissioni.
Naturalmente le soluzioni a tali questioni non scenderanno come manna dal cielo, ma dovremo elaborarle alla base con suggerimenti e progetti concreti.

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