Incertezze e attese per il nuovo anno scolastico
di Umberto
Berardo
La ministra Azzolina
si è innervosita perché la bozza con le linee guida per l’apertura del nuovo
anno scolastico era su tutti gli organi d’informazione con due giorni di
anticipo sulla data di diffusione del documento prevista per giovedì 25 giugno.
In realtà tale
fuga di notizie è stata un bene perché la Conferenza Stato-Regioni ha potuto
con più calma esaminarle prima di dare il proprio parere.
In estrema
sintesi le linee guida del Ministero per la riapertura dell’anno scolastico a
settembre danno le seguenti indicazioni di massima.
Sistemi di
protezione in classe e negli spazi comuni come le mascherine solo dopo i sei
anni di età e distanziamento di un metro non tra i banchi ma da bocca a bocca
tra gli alunni.
Le classi
potranno essere divise in gruppi di studio più piccoli con possibile turnazione
pomeridiana delle lezioni la cui una durata potrà anche essere inferiore ai
sessanta minuti.
Tali gruppi di
natura modulare, almeno così sembra di capire, potranno essere anche composti
da alunni di diverse classi di età ponendo in atto quella che si definisce una
didattica mista che francamente lascia perplessi per non dire sconcertati in
ordine alle scelte proibitive da tenere nella sua attuazione senza strumenti di
ricerca funzionali e un numero adeguato di docenti.
Dove non
previsto sarà possibile avere lezioni al sabato.
Nella scuola
secondaria di secondo grado si potranno avere interclassi per affinità di
materia e la didattica in presenza potrà essere integrata da quella a distanza
che resterà nuovamente l’unico sistema d’insegnamento nel caso di una
recrudescenza della pandemia da Covid-19.
L’effettuazione
della mensa anche nelle modalità dovrà essere decisa dalle singole scuole.
Sembra certa
l’introduzione obbligatoria in tutti i gradi dell’istruzione di un insegnamento
autonomo dell’Educazione Civica per 33 ore annuali.
Nulla è spiegato
nei dettagli anche sulle attività di recupero da tenere all’inizio di
settembre.
È chiaro che
siamo di fronte ad un documento di una genericità impressionante che crea
sconcerto tra il personale docente e nelle famiglie innanzitutto sulla reale
possibilità concreta di attuare tali linee per garantire agli allievi una
didattica capace di fare vera formazione.
Non crediamo
intanto di essere esagerati affermando pure che i criteri sopra enunciati ci
appaiono proprio come una vera banalizzazione del processo educativo in
particolar modo ove dovesse esserci una contrazione della durata delle lezioni.
Tutte le patate
bollenti della necessaria reperibilità di spazi per organizzare le attività
didattiche e garantire distanziamento tra gli alunni, del trasporto orario
differenziato da e verso la scuola, delle mense, del lavoro di sostegno e
dell’aggiornamento dei docenti in caso di ritorno obbligato alle lezioni on
line viene scaricato sugli enti locali e sui dirigenti scolastici.
Intanto la prima
sensazione è che “si vogliano fare i matrimoni con i ceci” come recita un
proverbio della cultura contadina a sostenere che senza seri e corposi fondi
economici aggiuntivi sarà impossibile far ripartire il nuovo anno scolastico in
serenità.
È del tutto
evidente che una diminuzione del numero degli alunni per classe deve prevedere la
disponibilità di nuove strutture e di un maggior numero di docenti e personale
ATA per non abbassare la qualità e il livello dell’attività didattica.
Nulla di tutto
questo si pone in essere perché al contrario si prevedono turnazioni anche
pomeridiane per gli allievi ed un carico stressante di lavoro aggiuntivo dei
docenti previsto in parte con il recupero di una parte del tempo tolto alla
durata della singola lezione e con aumento del loro monte orario.
A parte
l’indicazione del controllo della temperatura corporea e il lavaggio frequente
delle mani manca qualsiasi decisione su eventuali screening di massa della
popolazione studentesca e del personale scolastico come indicazioni sulle
possibili prevenzioni di pericoli per la salute di tutti.
Qualsiasi
persona di buon senso sa che, dopo la tutela di una condizione fisica ottimale,
la formazione dei cittadini sul piano culturale è uno degli assi portanti per
la qualità della vita di un Paese e per il suo sviluppo socio-economico.
Ciò che tutti
allora si aspettavano dal governo era un finanziamento molto consistente per l’istruzione
di ogni ordine e grado che
rappresentasse il volano della ripartenza dell’Italia.
Fino a questo
momento verifichiamo davvero solo una disponibilità aleatoria nella ricerca di
fondi adeguati.
A parte queste
carenze di ordine economico, strutturale e pedagogico che abbiamo cercato fin
qui di porre in evidenza, ci sono nelle line guida del Ministero
dell’Istruzione aspetti a nostro avviso subdoli e molto preoccupanti che non ci
sembra siano ancora stati sottolineati adeguatamente.
Lasciare ai
dirigenti scolastici l’autonomia organizzativa dell’attività didattica
evidentemente toglie alla stessa quell’uniformità che essa deve necessariamente
avere su tutto il territorio nazionale perché le differenziazioni non creino
forme di discriminazione penalizzanti per gli alunni di territori diversi.
Non vorremmo che
con questa indicazione si facesse rientrare dalla finestra quel regionalismo
differenziato che ancora non riusciamo definitivamente a cacciare dalla porta e
che durante la pandemia da Coronavirus ha dimostrato quanto male può fare ai
cittadini di certi territori che si sentivano in una botte di ferro e che hanno
al contrario dovuto costatare quanto sia importante la solidarietà umana a
qualsiasi livello.
Questo mandato
in bianco ai presidi ci pare che mortifichi ancora gli organi collegiali della
scuola come la sua gestione democratica e persegua la volontà di
aziendalizzazione della stessa così come da tempo si sta facendo nel settore
della sanità.
Lo diciamo tra
l’altro perché i cosiddetti “Patti educativi di comunità” che prevedono la
partecipazione di enti locali ma soprattutto delle associazioni nella messa a
disposizione per le scuole di spazi e servizi potrebbero essere il trampolino
di partenza che attraverso la sussidiarietà potrebbe portare alla
privatizzazione dell’istruzione che sarebbe davvero la fine per la libertà
d’insegnamento e per la garanzia della parità di accesso per tutti alla
formazione culturale.
Se le posizioni
del Ministero dell’Istruzione vedono la netta protesta e contrapposizione dei
sindaci, dei comitati di genitori, del movimento degli studenti, del personale
docente, dei sindacati e della stessa associazione dei dirigenti scolastici, è
del tutto evidente che in quel dicastero è necessario porre una
personalità dal forte spessore
culturale. pedagogico e manageriale in grado di delineare una progettualità
efficiente per far ripartire la didattica in presenza senza riduzione alcuna
dell’orario delle lezioni che eviti ai nostri giovani di ripetere la precarietà
dell’esperienza educativa e didattica che hanno vissuto nel corrente anno
scolastico.
Dopo la protesta
del comitato “Priorità alla scuola” con manifestazioni in più di sessanta
piazze italiane, c’è stato il rinvio della conferenza Stato-regioni che ha dichiarato
irricevibili le linee guida del Ministero ed ha chiesto più risorse per una
razionale pianificazione delle attività didattiche che ha bisogno di
un’edilizia scolastica più adeguata, di un organico rafforzato e di una diversa
articolazione dei trasporti.
Azzolina chiede
al governo un altro miliardo di euro da aggiungere a quanto già previsto per la
creazione di spazi aggiuntivi e per il potenziamento dell’organico, ma, come
abbiamo sostenuto, questi aspetti sono solo una parte del complesso problema
che riguarda un avvio efficiente e tranquillo del nuovo anno scolastico.
Mentre scriviamo
non sappiamo come evolverà la situazione ed ovviamente siamo tra i primi ad
augurarsi che si possano risolvere le questioni aperte sul tappeto ma solo a
condizione di veder garantito un diritto pieno allo studio per i ragazzi ed
alla tutela piena della salute per quanti sono ogni giorno nella scuola a
diverso titolo.
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