Uscire dagli attuali problemi della scuola
di Umberto
Berardo
Sappiamo che la
pandemia da Covid 19 ha lasciato a casa secondo l’Unesco un miliardo e mezzo di studenti.
In Italia il
loro numero è stato di 10.800.000 per i quali, come in altri Paesi europei, è
stata attivata una didattica da remoto che non ha raggiunto tutti allo stesso
modo perché, nonostante i settanta milioni di euro messi a disposizione dal
governo, ne sono rimasti esclusi, per mancanza di dispositivi tecnici o di collegamenti alla rete, circa un milione
e mezzo di aventi diritto.
È indubbio così
che sono state amplificate le disuguaglianze di partenza tra i più poveri e
nelle aree geografiche non ancora raggiunte da un’adeguata copertura della
banda ultra larga.
Anche
l’organizzazione delle lezioni on line è stata lenta e problematica per
motivazioni di ordine tecnico e didattico che erano del tutto prevedibili anche
da parte di quanti vi si sono impegnati con abnegazione.
Le criticità
maggiori sono insorte in particolar modo nella possibilità di stabilire con
tutti gli allievi feedback efficaci per procedere adeguatamente e con risultati
soddisfacenti nel percorso di apprendimento come avviene di solito in classe a
livello individualizzato e di gruppo.
Sicuramente
molto sacrificato è stato il processo di socializzazione perché il confronto
diretto e contestuale è molto difficile attraverso collegamenti in
videochiamata.
Ancora più
problematico appare il momento della valutazione che, ovviamente in fase intermedia ed ancora di più negli
elementi di giudizio conclusivo, difficilmente potrà essere fondata su criteri
oggettivi e scientifici controllabili.
È arduo poi
procedere ad una valutazione, che rischia di diventare perciò puramente
simbolica, di alunni che non hanno partecipato alle lezioni ed alle esercitazioni
in videochiamata.
Perfino attività
di livello universitario, che prevedono tirocini non sempre praticabili on line,
sono tuttora bloccate e impediscono a molti studenti di poter concludere il
loro percorso di studi con la discussione della tesi di laurea.
Ci chiediamo in
quale considerazione si abbia la cultura in Italia se nella fase due e presto
nella tre di questa persistente epidemia saranno riaperte quasi tutte le
attività tranne quelle che si occupano appunto d’istruzione.
Se l’attuale situazione
della scuola italiana è davvero molto problematica, come noi pensiamo, occorre
riflettere sui problemi del momento e sulla maniera migliore per uscirne.
Già qualche
settimana fa abbiamo provato a delineare alcune proposte in merito, ma vi
ritorniamo perché molto francamente non ci piace la maniera con cui si vuole
concludere l’attuale anno scolastico né vediamo fin qui ipotesi chiare e in via
di definizione su come organizzare razionalmente il prossimo.
Intanto ci
auguriamo che si esca davvero presto dalla retorica della didattica on line
che, non vorremmo sbagliarci, ma già alcuni cominciano ad indicare come uno dei
percorsi possibili del processo di apprendimento.
È nostra
convinzione al contrario che proprio l’esperienza problematica vissuta in
merito dovrebbe convincerci che un sistema educativo efficiente non può che
esistere in classe ed in presenza contestuale di docenti ed alunni.
Intanto, come
già accennato, crediamo occorra pensare al modo migliore per concludere il
presente anno scolastico.
Chiamare
eccezionalmente per un paio di mesi ad
un ritorno a scuola piccoli gruppi di studenti che non hanno partecipato alle
lezioni on line o che hanno bisogno di attività di recupero e sostegno non solo
consente di farli ritornare poi a scuola con più serenità e le necessarie
competenze, ma permette di far ripartire in autunno l’attività didattica
seguendo quanto più possibile i percorsi programmatici relativi all’anno
successivo.
Portare un tale
lavoro didattico a settembre significa ridurlo a qualche giorno illudendo così
inutilmente le famiglie.
Un altro errore
imperdonabile è quello di ridurre la valutazione talora a banali colloqui a
distanza.
Un percorso
possibile che non si è voluto tenere è quello di riportare in classe gli
allievi sempre per piccoli gruppi al fine di sottoporli a prove più oggettive
di verifica dei risultati raggiunti per attribuire alla loro valutazione finale
non la simbolicità di un atto comunque dovuto, ma la funzione di indicazioni agli
studenti, alle famiglie ed ai docenti funzionali al prosieguo degli studi ed
alla formazione dei ragazzi.
Sono attività
che, scaglionate adeguatamente, non creano assembramenti e permettono in tempi
di pandemia di dare concretezza e funzionalità all’attività didattica ed allo
strumento della valutazione che non deve essere un rituale sanzionatorio, ma
avere ruoli di definizione delle abilità maturate, indicazione dei percorsi
didattici successivi e di valorizzazione delle attitudini e delle capacità
emerse.
Oltretutto non
riusciamo davvero a comprendere come fa un consiglio di classe e un collegio
dei docenti a valutare quei ragazzi che non sono stati coinvolti in nessun modo
nell’attività a distanza per mancanza di mezzi o di linea internet e che quindi
non sono nemmeno raggiungibili neppure per le cosiddette prove non ordinarie.
In alcuni Paesi
europei le esperienze di riapertura sia pure parziale dell’attività didattica
normale che si stanno tenendo con successo dovrebbero far riflettere anche da
noi gli addetti del settore a partire dal ministro dell’istruzione.
Ci sono poi le
idee da elaborare per una riapertura dell’anno scolastico a settembre.
Anche qui sta
avanzando qualche riflessione sulle modalità di una riorganizzazione della
didattica in classe attraverso una ricognizione e gestione razionale degli
spazi a disposizione, ma anche un utilizzo non banale e passivo dei nuovi mezzi
messi a disposizione dalla tecnica.
In ogni caso
abbiamo prioritariamente necessità di risolvere i problemi attuali sopra
sottolineati e rendere poi concrete per il futuro idee che ora sono solo
ipotesi.
Escludendo i
doppi turni, i quali non sono compatibili con le molteplici esigenze
soprattutto dei genitori che lavorano, occorrerà necessariamente pensare a
sdoppiare le classi o a servirsi per quelle esistenti di mezzi tecnici che in
qualche modo garantiscano la tutela della salute dei ragazzi e del personale
scolastico.
Grandi
perplessità serpeggiano anche sulla soluzione trovata per le nuove assunzioni,
prima provvisorie e poi con un concorso abbastanza aleatorio, e sull’altra, mai
cercata veramente e rimasta nel limbo, di un aggiornamento periodico del
personale con corsi universitari.
Naturalmente
crediamo che lo Stato abbia la necessità di prevedere massicci investimenti
proprio nel settore dell’istruzione e della ricerca che costituiscono senza
alcun dubbio le basi per un rinnovamento del Paese che deve uscire dalla grave
crisi attuale e proiettarsi nel futuro.
In tutta Italia
per la verità non si avverte un gran fermento al riguardo se non in qualche
manifestazione organizzata nelle maggiori città dal comitato “Priorità alla
scuola”.
Lucia Azzolina,
come se non avessimo già tanti funzionari nel Ministero dell’Istruzione, avrebbe
istituito un ennesimo tavolo tecnico di lavoro che, come almeno ci auguriamo,
sia impegnato non solo per la riapertura delle lezioni a settembre, ma anche a
rivedere, finché è possibile, qualche direttiva inaccettabile sul presente per
aiutare alunni, docenti e famiglie ad uscire senza troppi danni dagli attuali problemi della scuola.
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