Uno sfogo

Voglio sfogarmi, essere cattivo, antipatico. Non importa se i due o tre che mi leggono non saranno d’accordo. Scrivo a me stesso. Ho visto e sentito l’audiovisivo della brava attrice che vantava le nostre passate glorie mentre scorrevano le immagini delle nostre bellezze. Mi sono commosso malgrado alcune inesattezze. Ho sentito l’invettiva di Tullio Solenghi contro i tedeschi. Anche qui inesattezze ma si sa noi italiani ci lasciamo prendere dal sentimento e trascuriamo la precisione.
Chiediamo aiuto all’Europa, a ragione. Chiediamo che finalmente questa vantata unione diventi reale e che si mettano da parte i nazionalismi. In pratica chiediamo a chi è economicamente più forte di aiutarci, in nome anche del nostro grande contributo nel passato alla civiltà occidentale, in nome di quello che ancora offrono al mondo il nostro gusto e la nostra inventiva. Voglio aggiungere, in nome anche della nostra generosità e accoglienza come ha ricordato il primo ministro dell’Albania. Eppure dovremmo confessarci e dirci le nostre colpe. Siamo stati a lungo cicale, ci siamo lasciati prendere dal vivere facile e dalla retorica. Dovremmo guardare al passato senza indulgenza. Non a quello remoto ma a quello prossimo degli ultimi 50 anni. Parlare delle nostre incoerenze, delle nostre furbizie, della nostra superficialità. Della nostra capacità retorica e di come non siamo stati capaci di passare dalle parole ai fatti. Tutti o quasi: chi rubava e chi vedeva rubare senza fiatare; chi vedeva lapidare le nostre ricchezze, trascurare il nostro patrimonio artistico e di intelligenza. Chi lavorava per costruire e vedeva chi sperperava. La voglia di rinnovare, di abbattere l’autoritarismo si tramutava in commedia o in tragedia. Mi attiro reazioni se cito un intoccabile, un grande esempio di civiltà e di grande politica: Berlinguer. Un capo politico e un partito non sono un capo religioso e una religione: non può nascondersi dietro la giustizia dell’aldilà. Deve raggiungere certi scopi altrimenti è fallito. Dove è finita la questione morale? Non sono andati avanti e anzi ingigantiti la corruzione, l’evasione fiscale, la malavita organizzata? Certo non per colpa di Berlinguer ma perché noi siamo fatti in un certo modo. Gli eredi del suo partito hanno cancellato anche le conquiste fatte.
Non tutti, d’accordo, ma sono in troppi a credere a millantatori, a stimare personaggi grossolanamente incapaci, ad ammirare ed eleggere a capi individui corrotti o corruttori. Siamo incapaci di rivoluzioni e quando ci proviamo finisce in commedia o tragedia: il 68 doveva portare un vento purificatore invece impose parolai pronti a cambiare bandiera, diede un colpo mortale alla scuola (il 6 politico!), e allattò terroristi cui si contrapposero altri terroristi.
Sotto i nostri occhi crebbe a dismisura la malavita organizzata che riuscì a impossessarsi di spazi politici e amministrativi. Sotto i nostri occhi si sperperava in lavori inutili, si sprecavano i contributi europei, alcuni partiti rubavano e non solo per il partito (“i frati sono ricchi ma il convento è povero” diceva del suo partito un politico di rango). Davanti ai nostri occhi i grandi ladri apparivano come persone furbe, capaci, da invidiare. Si stampava carta moneta che ci illudeva d’essere ricchi. Si dilatavano i dritti e si riducevano i doveri. Tutti gli imprenditori erano padroni da combattere. Anche le lotte operaie in nome di tutti i lavoratori spesso erano lotte limitate alle categorie più forti, più organizzate e meno bisognose. Si lottava per più libertà ma chi manifestava idee diverse era bollato, messo da parte. Abbiamo esaltato chi indagava sulla corruzione ma abbiamo voltato faccia spaventati quando le indagini si allargavano. In troppi votavano per elemosinare una raccomandazione, una pensione.
Ci consoliamo pensando al nostro passato come nobili decaduti che pretendono ancora l’inchino. Sì, siamo generosi: non ci piace vedere in galera i grandi corrotti, li mettiamo a casa loro (magari ville costruite con la corruzione) invece che in galera. Copriamo di danaro i nostri politici anche quando sono incapaci, anche quando vanno in pensione; li proteggiamo con le guardie. Forse invidiamo la loro capacità di arraffare privilegi.
Inutile andare avanti. Il nostro è uno Stato debole senza autorevolezza, non abbiamo il coraggio di dirlo: noi non crediamo nello Stato, formiamo tante piccole tribù ognuna con la sua bandiera, con i suoi capi che urlano promettono e mandano in giro cani che abbaiano. Quando lo Stato è debole proliferano i capisquadra, gli urlatori pieni di fantasia. Facebook è un piccolo esempio: i tifosi perdono il loro tempo a scagliarsi contro gli avversari non con proposte concrete ma con frasi ripetute, con accuse vere o false ma sempre sterili.
Ci inchiniamo di fronte a chi fa il proprio dovere (e non sono solo medici e infermieri anche se sono in prima linea ma tanti altri di varie categorie sociali) sino a dover essere eroi per la inadeguata organizzazione, per la passata negligenza. Forse questa forzata prigionia mi fa cattivo e pessimista e non vedo i nostri lati positivi, le nostre capacità: perché siamo particolarmente capaci come persone e lo dimostriamo quando andiamo fuori. Siamo solo incapaci di formare un popolo forte, unito con il senso di uno Stato vero e autorevole. Incapaci di selezionare una classe dirigente efficiente. Siamo ancora un popolo puerile che non ha imparato bene a camminare.
Un virus fa guerra al mondo. Verrà sconfitto ma lascerà macerie. Inevitabilmente saranno esasperati i personalismi, i nazionalismi, gli egoismi più sfrenati. Occorrerebbe un governo forte, il senso della comunità per aiutare i più deboli e non degradare a bestie. Dovremmo forse tornare a sacrifici ai quali non siamo più abituati, a rinunce. Occorrerebbe un collante ma non abbiamo colla: abbiamo abbattuto il senso religioso, gli ideali sono visti come astrazioni, è scarso il senso di comunità. E’ illusorio continuare a confidare negli eroi. C’è una parte buona di noi, forse è la maggioranza che vive in silenzio lavorando, sopportando, producendo. Ci sono volontari meravigliosi, eroi silenziosi; tanti. C’è speranza, nei momenti difficili sappiamo risollevarci. Lo abbiamo fatto dopo la guerra, lo faremo anche dopo questa guerra che attenta alla nostra salute e alla nostra economia. Forse anche l’Europa capirà che gli egoismi e i nazionalismi non portano bene. A nessuno, nemmeno ai più forti.

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