Idee per la giustizia sociale
di Umberto
Berardo
Da anni ci
sforziamo di analizzare e descrivere la forma inaccettabile delle diverse
società in cui l’umanità ha cercato di organizzare la convivenza tra gli esseri
umani.
Tranne le rare
eccezioni di alcune comunità strutturate secondo una forma comunistica di
gestione comune dei beni, nel corso di quella che chiamiamo la civiltà umana la
divisione della ricchezza ha avuto sempre forme di profonda diseguaglianza.
Nonostante i
tentativi di elaborazione teorica e di lotta politica e sociale per affermare
l’idea che le risorse naturali del pianeta Terra non sono state date in
possesso a nessuno, ma ingiustamente acquisite per rapina ideologica legata ad
un modello falso di legalità, il potere militare prima ed oggi insieme quello
del denaro hanno costruito sempre comunità in cui pochi ricchi detengono potere
e mezzi economici lasciando gli altri come scarti di una società ingiusta per usare le
parole di papa Francesco.
Oltretutto da
anni quella che abitualmente chiamiamo “sinistra” ha rinunciato a lottare per
cambiare radicalmente un mondo ingiusto accontentandosi di gestire un sistema
economico e politico allucinante che ha concentrato la ricchezza in poche mani
lasciando miliardi di persone nella miseria della quale non si è capaci più
neppure di accettare i bisogni più elementari come ad esempio quello di
emigrare per vivere in maniera decente.
È quanto
sostiene opportunamente Tomaso Montanari nel suo recente pamphlet “Dalla parte
del torto – Per la sinistra che non c’è” edito da chiarelettere.
Bellissimi i
riferimenti al pensiero ed alla tradizione cristiana in cui cerca di cogliere
gli elementi più forti del concetto di solidarietà e sui quali sembra insistere
nell’affermazione di quelle idee che dovrebbero essere riprese dall’oblio e
riportate al centro di una società capace di abbattere le logiche di un
neoliberismo selvaggio e di affermare con forza la costruzione di comunità
capaci di mettere al centro la dignità della persona umana secondo i principi
della fraternità, dell’uguaglianza e della libertà.
Un po’ in ombra
al contrario talora appaiono nell’opuscolo i nessi di tali concetti con la
cultura illuminista, marxista e anarchica.
Per coltivare la
fraternità allora Montanari suggerisce di scegliere la via maestra dell’umiltà
per rifiutare l’idea di un possesso indiscriminato dei beni, spesso accumulati
con le logiche del profitto e dei privilegi economici e finanziari, per capire
che essi sono stati dati a tutti in usufrutto per vivere nella sobrietà dei
consumi che non possono seguire i criteri dello sviluppo indiscriminato
all’infinito che finisce per depredare quanto la Terra ci offre per vivere
senza penalizzare le nuove generazioni.
È vero che per
affermare la libertà occorre affrancare tutti dal bisogno e dall’ignoranza
superando l’idea dell’astensione dalle urne e ricostruendo forme di
partecipazione reali ed efficienti.
Non ci convince
invece l’idea di Montanari dell’istituzione di un reddito di base perché pensiamo
al contrario ad un paradigma alternativo che dev’essere quello della
redistribuzione equa del lavoro e della ricchezza eliminando caste e privilegi.
È il diritto al
lavoro e la piena occupazione che soli possono dare ad ogni cittadino la
dignità di essere umano.
Ogni tipo di
reddito d’inclusione o di cittadinanza che dir si voglia fanno parte a nostro
avviso di un riformismo che non eliminerà la discriminazione e la povertà, ma
potrà solo attenuarla.
Interessante
appare nel volume l’idea di superare “il
naufragio leaderistico della democrazia” con l’elezione diretta dei sindaci
e la deprivazione del ruolo dei consigli comunali, con il superamento della
natura parlamentare per quella presidenziale e ciò sarebbe possibile per
l’autore riconquistando un sistema elettorale puro che spinga ad oltrepassare
l’astensione elettorale e a ridare ai poveri una rappresentanza parlamentare
che oggi non hanno perché la sinistra politica si è liquefatta nell’ipocrisia
di soggetti che blaterano di aiuti, di sostegni, di cooperazione sociale o di
beneficenza, ma in realtà siedono in parlamento per difendere logiche e talora
perfino leggi ingiuste a sostegno dei
ricchi e degli oppressori secondo l’ideologia della meritocrazia “volta a giustificare le asimmetrie e le
diseguaglianze portate dal finanzcapitalismo”.
Indubbiamente ha
ragione Montanari a sostenere che occorre abbattere l’idea che i cittadini
debbano comprarsi al mercato perfino i servizi essenziali come l’acqua,
l’energia, l’abitazione, la sanità, l’istruzione, l’assistenza, le
infrastrutture, le comunicazioni, i trasporti; essi vanno nazionalizzati o
rinazionalizzati perché siano uguali per tutti.
Per far prevalere
l’interesse generale e la dignità della persona tuttavia non è sufficiente a
nostro avviso ripartire dal basso con l’associazionismo e impegnarsi
nell’organizzazione di un fronte comune a sostegno del lavoro, ma occorre anche
educare ad uno stile di vita personale e di organizzazione sociale e politica
che abbatta l’idea sovranista per aprirsi a comunità più larghe fondate sul
concetto di giustizia sociale che deve avere alla sua base certo l’idea di una
tassazione diversa della ricchezza e una revisione del concetto di debito, ma
soprattutto la necessità di un coordinamento dell’attivismo di base per incidere
anche con la rappresentanza parlamentare sulle trasformazioni da costruire.
Una fiscalità
sempre più progressiva ed una riduzione o cancellazione del
debito sono sistemi che aiutano la redistribuzione della ricchezza e danno più
margini a politiche di economia sociale.
Anche il
principio della solidarietà va superato con quello della condivisione che ha
rappresentato l’idea centrale delle prime comunità cristiane, come leggiamo
negli Atti degli apostoli, e che oggi è alla base della Sharing Economy, ma
soprattutto del comunitarismo confederale e del municipalismo libertario
teorizzati da Murray Bookchin.
Abbiamo
sicuramente avanti a noi un lavoro immenso che è quello della definizione della
società che vogliamo e degli strumenti con cui arrivare a costruirla.
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