I tratti distintivi della cultura
di
Umberto Berardo
Non è facile in ogni caso esplicitarne il
concetto, considerato che esso è variato come vedremo più volte nel corso della
storia.
Attualmente
l'enunciazione più chiara dello stesso ci sembra quella che ne vede gli
elementi nelle cognizioni intellettive, nelle opinioni, nelle norme valoriali,
nelle abilità, nelle attività, nelle tradizioni e nelle manifestazioni variamente
acquisite attraverso processi di apprendimento, di ricerca e di confronto che
permettono a un individuo di essere parte attiva di una collettività della
quale si riconosce membro.
È
questa una definizione che contiene in sé la nozione di un processo di crescita
che non avviene per via genetica ma sul piano sociale e ci permette di formarci
in tutti gli aspetti della personalità e di diventare colti.
Si
tratta di una concezione allo stesso tempo pragmatica e antropologica che
definisce aspetti materiali, immateriali, individualistici e sociologici della
cultura che caratterizzano la vita di una collettività in una precisa epoca.
Cultura
in sintesi è la sedimentazione individuale e collettiva di un patrimonio di
sapere, di esperienze, di abilità, di codici comportamentali, di valori etici
che costituiscono una visione identitaria condivisa dell'esistenza e del modo
di viverla.
In
Grecia con la Paideia, nella civiltà romana con l' Humanitas, ma anche con l'Umanesimo,
soprattutto nel XV secolo, la cultura assume accezioni fondamentalmente
aristocratiche ed elitarie con forti tratti di distinzione sociale che saranno
superati solo a partire dall'Illuminismo e successivamente con la trasmissione
del sapere attraverso le nuove forme della scuola, dei mass media e delle
tecnologie multimediali.
Una
sua divulgazione sempre più diffusa contribuisce sicuramente ad evitare
chiusure e steccati aprendo a un confronto di natura critica capace d'innovare,
ma anche di evitare omologazioni, etnocentrismo, assolutismi, modelli
dominanti, processi di acculturazione e derive xenofobe.
L'antropologo
britannico E. B. Tylor nel suo saggio "Primitive culture" del 1871 ha
dato una prima definizione articolata, scientifica e non più solo umanistica
del tema di cui ci occupiamo, ma si è conservata in molti studiosi ancora
l'idea di una cultura al singolare, diversificata, relativa a uno specifico
contesto storico ed espressione di gruppi e popoli particolari.
Tale
concezione, da taluni manipolata ideologicamente, ha portato ad immaginare una
gerarchizzazione delle culture stesse sostenendo non solo che ne possano
esistere alcune superiori ad altre, ma persino che si possa avere la loro
inesistenza presso alcuni popoli definiti perciò "primitivi" o "barbari".
Classificazioni
analoghe e inaccettabili rischiano di
avvenire quando il lemma in questione si associa ad aggettivi quali
"elevata",
"popolare", "massificata".
È
evidente invece che di fronte ad una cultura egemone, per dirla con lessico
gramsciano, è del tutto plausibile che possano esistere delle subculture o
controculture che identificano gruppi specifici di soggetti i quali intendono affermare principi, valori e sistemi
esistenziali diversi da altri insiemi di cittadini.
Il
concetto di cultura richiede in tal modo un'estensione che permetta sempre il
riconoscimento dell'identità culturale di ogni società.
Siamo,
come si può intuire, di fronte al concetto di pluralità e dinamicità culturale
in una prospettiva di confronto, d'indipendenza reciproca e di rispetto, ove
possibile, tra le varie culture per costruire quelli che alcuni antropologi
chiamano "gli universali culturali".
Sosteniamo
questo perché evidentemente all'interno della multiculturalità per un confronto
costruttivo occorre verificare che ogni cultura abbia nei propri caratteri il
rispetto per la dignità e i diritti di ogni essere umano non solo a livello di
dichiarazioni ma di comportamenti; accade molto spesso infatti che le
dimensioni soggettive o collettive delle scelte nelle azioni possano
contraddire i valori idealmente prescritti e quanto affermato perfino nelle
Carte costituzionali dei propri Paesi come sta avvenendo ad esempio oggi in molti
Stati dell'Europa nei confronti dei richiedenti asilo.
Occorre
in altre parole che la condotta di un popolo sia sempre rispettosa della
cultura di appartenenza e dei bisogni di chi viene discriminato o menomato nei
diritti da condizioni di ingiustizia come lo sfruttamento e la sopraffazione .
Pur
nella difesa doverosa dei principi ritenuti validi per l'ispirazione di un'esistenza
libera e democratica, tuttavia vorremmo riflettere come i criteri dello
schiacciamento e dell'opposizione tra
diverse concezioni non possono che generare contrapposizioni di un radicalismo
pericoloso sul piano della convivenza facendo regredire quest'ultima in una
difesa assurda dell'idea di superiorità che talora può diventare una forma di
colonialismo culturale.
Aspetti
di natura ambientale, geografica o sociale possono influenzare e perfino
plasmare una cultura, ma non la determinano essendo essa configurata
storicamente ma necessariamente aperta in piena libertà ad un'evoluzione in un
processo di crescita a contatto con altre realtà.
È
per questo che un'analisi antropologica va fatta sulle singole culture nella
loro identità e autonomia che costituisce quello che potremmo definire oggi un
modello culturale, come sostiene giustamente l'inglese Bronislaw Malinowski,
perché esse si formano e si evolvono a suo giudizio per aiutare l'uomo a
soddisfare i bisogni, ma è necessario anche che lo studio si allarghi sulla
loro relazione per ricercare l'esistenza di elementi comuni all'interno del
cosiddetto relativismo culturale.
Ciò
che distingue i diversi modelli normativi è costituito sicuramente dai sistemi
di valori che ne sono alla base.
Nessuno
può sottrarsi al processo d'inculturazione nella propria società, ma dev'essere
anche capace di aprirsi a interrelazioni con il multiculturalismo.
Ogni
cultura ha una lunga storia e un considerevole grado d'integrazione di elementi
interconnessi determinati dai patrimoni precedenti di conoscenze, ma anche dagli
apporti e dalle relazioni di quanti contribuiscono a formarla e ad evolverla.
È
per questo che la sua rilevanza affonda nei valori corrispondenti che non
possono essere mai predeterminati, ma prodotti dalla ricerca continua del bene
e del vero fino a diventare costume quando vivono nella partecipazione
collettiva.
La
relatività delle culture, legata ai gruppi umani che le elaborano, non comporta
che norme o valori pure molto diffusi possano avere un riconoscimento globale
perché potrebbero avere a fondamento idee negative e discriminanti come tante
volte abbiamo potuto rilevare storicamente.
In
realtà le culture possono incontrarsi su quei fondamenti di universalità quale
ad esempio può essere la condanna della violenza, della falsità, del
tradimento, del latrocinio, della corruzione.
Si
tratta di elementi che potremmo definire valori planetari o modelli culturali
condivisi.
Nelle
culture particolari e in quella immaginata come una totalità organizzata o da
organizzare crediamo che gli elementi fondamentali debbano essere il rigore
metodologico e scientifico, il carattere democratico e la condivisibilità.
Uno
dei pericoli in questa direzione è che un'antropologia da web di quel mondo
sovrastrutturale costituito dai social network possa, nella logica dell'uno
vale uno, imporre una costruzione della cultura non più per opera di
ricercatori, esperti, studiosi o intellettuali ma semplicemente di spot spesso
senz'anima e senso che imperano in una sorta di mondo parallelo a quello reale
e che hanno la pretesa di dettare ideali e norme di comportamento spesso rozze
e fuori da ogni logica di umanità.
Fuori
da un appiattimento sull'immagine e sull'apparenza a tutti i costi dobbiamo
recuperare ciò che può dare significato e autenticità all'esistenza.
Il
compito di ogni persona e quindi di ciascuno di noi allora è quello di stare dentro
il processo di creazione della cultura verificando che essa abbia fonti non
istintive, ma razionali e controllabili perché essa possa essere sempre più
libera nelle dinamiche di evoluzione e garante dei diritti individuali e
collettivi.
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