DUE QUESTIONI ITALIANE IRRISOLTE: AGRARIA E MERIDIONALE
LE DUE QUESTIONI
ITALIANE, MERIDIONALE E AGRARIA, IRRISOLTE.
Si sa che quando la matassa è intricata,
soprattutto se troppo com’è la realtà odierna, è impossibile, se non si ritrova
il capo del filo, sbrogliarla. Il capo del filo è fondamentale per iniziare il
lavoro paziente di recupero del filo con la realizzazione del gomitolo. Un filo
possibile da svolgere e, come tale, importante per realizzare progetti nuovi,
diversi.
Il capo del filo
non sta, come va predicando la classe dirigente e politica di questo nostro
Paese, nelle grandi opere e infrastrutture o, anche, nel rilancio di
un’industria che ha fatto il suo tempo, ma nel ridare allo sviluppo il perno
che, per limiti culturali e politici, è stato messo da parte, l’agricoltura.
Camminano con la testa rivolta al’indietro quelli che, a vari livelli, dirigono
e governano, e non se ne rendono neanche conto
È bastato un
periodo breve di cinquant’anni, quello segnato dal neoliberismo, per arrivare
all sfascio della ruota per colpa di chi aveva pensato che se ne poteva fare a
meno. Tant’è che la grave crisi del 2004 dell’agricoltura, quella che ha
anticipato la crisi del 2007/8, non ha preoccupato nessuno, come tutt’ora non
preoccupa l’abbandono delle campagne da parte dei veri protagonisti, i
contadini. Una crisi – quella dell’economia mondiale – la più pesante di tutte,
che il sistema, incapace di trovarne una alternativa, ha pensato bene di
affrontare e risolvere ripercorrendo la stessa strada che ha portato sull’orlo
del baratro. Un sistema che, non avendo il senso del finito, continua a
distruggere e a divorare il globo, e, avendo invece, il senso dell’accumulo
della ricchezza non fa altro che allargare la forbice delle disuguaglianza, con
pochi ricchi sempre più ricchi e molti
poveri sempre più poveri.
Più ricchezza
hanno e più, questi signori, si sentono forti e in grado di accumularne altra.
Sta qui la ragione della crisi che vive il neoliberismo e il rischio di
implodere da un momento all’altro.
Un sistema che,
non avendo oppositori - se non, ultimamente, i giovanissimi che con la bravissima
Greta lottano per il clima - non ancora mostra tutta la sua natura perversa e i
pesanti errori, quella sua indole a distruggere ogni cosa che tocca, a partire
dalla natura.
Volendo tornare
alla realtà del nostro Paese, ci sono due questioni che il capitalismo di ieri ha
creato e il neoliberismo di oggi ha aggravato, quella agraria e quella
meridionale. Due questioni che sono tornate di grande attualità, ma delle quali
nessuno discute e si preoccupa.
Va avanti e si aggrava
l'esodo dal sud al pari dell'esodo dalle campagne e il dato dei cinque milioni
che abbandoneranno le regioni meridionali torna con la possibilità di avverarsi
con tutta la sua drammaticità, in particolare il definitivo spopolamento dei
piccoli paesi. Due questioni, agraria e meridionale, che, come nel passato,
procedono come corpo unico, un treno su due binari.
Meno contadini
più braccianti. Meno aziende contadine più possibilità di ritorno al
latifondismo per un’agricoltura industrializzata che sfrutta il terreno fino
alla sua perdita di fertilità e solo per produrre quantità. Una situazione che,
in modo crescente, mette in crisi i valori e le risorse del territorio, quali
l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità. Più abbandono, più possibilità di appropriazione
di territori per altre finalità e altri grandi affari. Tutto è possibile con
governi nelle mani di partiti che hanno sposato in pieno, e da tempo, il
neoliberismo, anche quelli che ci tengono, per confondere ancor più le idee
degli italiani, a dichiararsi di sinistra, ma che di sinistra hanno solo un
passato non lontano.
Se rimettere al
centro l’agricoltura – quella contadina, visto che non esiste agricoltura senza
contadini - e renderla perno di un nuovo sviluppo, che recupera le disuguaglianze
e si nutre di valori, è una priorità per l’Italia, lo è ancora più per il suo
meridione, che ha ancora territori fortemente vocati a questa primaria
attività, legati alle tradizioni - soprattutto se si pensa ai prodotti - e alla
ricca espressione di ruralità e biodiversità.
Il 36% dei
prodotti agricoli e forestali tradizionali, inseriti nell’elenco nazionale
giunto alla 19a revisione, è appannaggio delle sei regioni meridionali alle
quali ho aggiunto il Molise. Olio, vino, grano, frutta e verdure, cioè l’idea
propria di quello stile di vita e di quel modo di mangiare che aiutano l’uomo a
vivere bene e godere della salute.
Uno straordinario
patrimonio culturale universale che va sotto il nome “Dieta Mediterranea”.
Un’agricoltura di qualità per un cibo di qualità, che serve alla salute e al
benessere del consumatore, e, che può, con attente strategie di marketing,
alimentare le nostre esportazioni e arricchire l’immagine di bellezza e bontà
dei nostri territori. Un nuovo modo di fare agricoltura dando spazio, anche per
un rilancio vero e duraturo dell’artigianato e dei servizi, alle attività di
trasformazione dei prodotti. La possibilità di programmare, con uno sviluppo
sostenibile e un’agricoltura organica, biologica, l’offerta del cibo e la
valorizzazione di tutti gli altri valori del territorio, quali la storia, la
cultura, i paesaggi, le tradizioni, per un turismo di qualità.
Tutto per
ribaltare la situazione drammatica che vive un Paese diviso in due, l’Italia, e
dare ad esso il senso della coesione e il significato dell’unità, il valore
della solidarietà e della reciprocità, consapevoli che solo così rinasce e si
afferma nuovamente, come un tempo. Due questioni entrambe parti di una sola
questione, sempre più nazionale.
Tutto ora, nel
tempo in cui non si pensa prima (programma) alle cose che sono da fare e a come
devono essere fatte (progetto) per dare spazio al domani; non si lascia, con la
privatizzazione dei beni comuni, alcuna eredità alle nuove generazioni; non c’è
il senso della prevenzione, ma solo il gusto di gridare al disastro. Si governa
sulla base di un contratto, come in un matrimonio, e tutti sono lì ad essere
spettatori di un rito che riguarda due persone e, al massimo, qualche
familiare. Fatti che si possono solo discutere, ma che non possono essere
vissuti in prima persona e, come tali, essere partecipati. Il tempo dei
teatrini dove ci sono attori che recitano la parte a una massa di spettatori
che sta lì pronta ad applaudire o a fischiare, con una minoranza che abbandona
lo spettacolo, esce prima, stanca e annoiata, delusa e preoccupata.
Pasquale Di Lena
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