LA SINISTRA CHE NON C'E' ED IL PAESE CHE AFFONDA.
Da anni faccio fatica a sentirmi parte di questa società che, dopo aver dato il meglio di sé durante la resistenza e nel primo periodo della Repubblica, testimoniato anche dalle conquiste sociali e democratiche ottenute, è andata progressivamente organizzandosi per caste e gruppi di potere economico-finanziari, si è completamente disarticolata, spappolata, senza un denominatore “pubblico” ed obiettivi comuni, percorsa da un profondo degrado morale, sempre pronta a dare sostegno ed alimentare un sistema fatto di piccoli e grandi privilegi, di sprechi finalizzati alla creazione e mantenimento del consenso. Una società che in assenza di riferimenti ideali e di guida politica, lentamente, ma gradualmente, ha perso coscienza dei doveri da assolvere e diritti costituzionalmente garantiti da rivendicare, non realizzando che l'uguaglianza è un valore costituzionale che precede le differenze in quanto capace di garantire le libertà costituzionali e rimettere in moto il futuro.
In questo quadro di deresponsabilizzazione generale, individualismo
esasperato, di rassegnazione a processi ritenuti ingovernabili e indipendenti
dall’intervento dei singoli e delle comunità, di una sfiducia oscillante tra
fatalismo, indifferenza o addirittura connivenza ed accondiscendenza nei
confronti di un ceto politico arrogante, avido, cinico, corrotto, incolto,
incapace, sono venuti addirittura a peggiorare i tratti della
"italianità", storicamente caratterizzata da furbizia, sotterfugi,
servilismo, inclinazione all'imbroglio, cialtroneria, insofferenza verso
qualsiasi regola.
E lentamente, ma inesorabilmente, la mia tendenziale inclinazione al
pessimismo ha preso il sopravvento, tanto che oggi non nutro alcuna residua
speranza che le cose possano migliorare. Cosicché da tempo mi sento apolide e
ai miei interlocutori, che spesso mi interrogano sul mio disimpegno politico,
ripeto che esso è il frutto non solo della estraneità a questa politica ma
della sostanziale estraneità a questa società. Fatico a sentirmi italiano.
E l'avvicendamento di ceto politico, che almeno sulla carta avrebbe
potuto e dovuto segnare il punto di ripartenza, ha prodotto sì un
"cambiamento" (al quale non ho mai creduto e non ho mai assecondato),
ma un cambiamento regressivo che sta già provocando un ulteriore e definitivo degrado
della politica e della società che ha ribaltato una scala di valori. Sono
diventati valori da esibire la grettezza, l'ignoranza, la supponenza, l'arroganza
(basta seguire qualche talk show), e sono diventati i solutori dei problemi del
lavoro proprio coloro che nella loro vita non hanno mai lavorato. Chiunque sa
leggere e scrivere é un potenziale "nemico" del popolo. Oggi Erasmo
scriverebbe "L'elogio dell'ignoranza o della stupidità".
Tralascio per il momento ogni commento sulla politica economica di
questa maggioranza che, nel solco di quelle precedenti, non solo non punta ad
eliminare le cause strutturali che determinano l'abissale disparità nella
formazione della ricchezza e neanche lontanamente
si pone il problema della sua redistribuzione (una patrimoniale sui grandi
patrimoni, lotta vera all'evasione fiscale) per finanziare misure sociali
indubbiamente necessarie, se pensate con criterio ed intelligenza e non per
acquisire facili consensi. E lo fa,
ancora una volta, a debito, scaricandone gli oneri sulle future generazioni che,
tra i soggetti deboli, sono quelli più deboli. E non esprimo giudizi sulla
opposizione di sinistra (inesistente) ancora nelle mani di coloro (o dei loro
cloni) che negli anni, sviluppando politiche sociali ed economiche di destra, ne
hanno determinato il disastro e precluso la possibilità stessa oggi, o nel
breve-medio termine, di avere titolo a poter parlare, e ancor meno a
rappresentare i giovani, gli ultimi, i lavoratori, il ceto medio, per provare a
riaprire una prospettiva democratica per il Paese.
Tralascio anche le pur indispensabili considerazioni su un Paese che dovrebbe
riflettere sul proprio invecchiamento nel quale la decrescita demografica
rappresenta già un enorme problema strutturale.
Mi preme invece soffermarmi sull' ulteriore imbarbarimento della
società italiana, che incantata dai nuovi "pifferai magici" - non si rivolgono mai ai
"cittadini" ma al "popolo", confondendolo con la
maggioranza, dal quale ritengono di avere avuto una investitura scevra dal
rispetto di qualsiasi forma di limitazione - è in preda ad una deriva xenofoba
e razzista, che in epoche non
lontanissime ha prodotto immani sciagure. Altro che il razzismo degli italiani
è una invenzione mediatica!
Siamo perciò in presenza di una società che invece di indignarsi di
fronte ai dati che ci dicono che un manipolo di persone al mondo possiede la
ricchezza di oltre tre miliardi di poveri, se la prende proprio con i
depredati, i poveri del mondo. Una sorta di sindrome di Stoccolma.
Siccome non ho mai ritenuto una colpa essere ricchi, a maggior ragione
trovo aberrante l'idea che è una colpa essere poveri, soprattutto se essa
alberga nei più poveri. E non ho mai ritenuto, e non ritengo, che l'Italia
possa ospitare tutti i migranti che fuggono dalle guerre, persecuzioni,
carestie, povertà, quasi sempre provocate dallo sfruttamento dei Paesi più
ricchi, Italia compresa. Così come non sottovaluto gli oggettivi e gravissimi errori
commessi nel passato nella gestione della questione migranti, diventato per
alcuni italiani un colossale affare, e neanche il sacrosanto diritto alla
sicurezza o, meglio, la percezione distorta della insicurezza: i dati
dimostrano che i delitti complessivamente diminuiscono e che la maggior parte
di essi si commettono tra le mura domestiche. Ma assistere al livore, all'odio
montante, alla intolleranza e, sempre più spesso, alla violenza delle
istituzioni e delle persone nei confronti dei migranti, mi offende, mi amareggia
e mi indigna.
Mi offende perché la storia dovrebbe insegnarci che le migrazioni sono
una costante del genere umano, e non solo. Mi offende perché non oso immaginare
quale avrebbe potuto essere lo stato d'animo di mio padre e dei miei nonni, dei
miei zii, tutti migranti, di una moltitudine di persone che conosco e che per
costruire un futuro migliore per loro e la loro famiglia hanno dovuto lasciare
l'Italia, se i Paesi ospitanti avessero riservato loro lo stesso sentimento e
trattamento che gli italiani riservano ai derelitti che sbarcano dai gommoni. E
che dire dei nostri tantissimi giovani, molto più numerosi di coloro che
arrivano in Italia, che ancora oggi espatriano pur non fuggendo da guerre,
carestie, povertà assoluta, e si realizzano in terra straniera, trovando
comunità che non li discriminano, non li insultano, non li offendono. Per
fortuna.
Mi amareggia, inoltre, la mancanza di volontà e la incapacità di
concentrare gli sforzi tesi a individuare, almeno a livello europeo, una
gestione condivisa del problema, oggettivamente complesso e strutturale, che ci
accompagnerà nei prossimi decenni, accanendosi, invece, contro le vittime di un
mondo ingiusto, privilegiando rapporti internazionali non con i paesi più
aperti e disponibili, almeno sulla carta, ma con i governi dichiaratamente xenofobi.
Ormai non riusciamo neanche più a realizzare che una cosa è ospitare,
tutt'altra cosa è salvare.
Mi indigna constatare tra i più strenui sostenitori dei nuovi
"potenti" proprio i meridionali, fino a poco tempo fa scherniti,
derisi, offesi proprio da chi oggi è responsabile delle "Forze
dell'Ordine".
E che cosa é se non uno sciagurato progetto di disarticolazione dello
Stato Unitario ed una ulteriore forma di discriminazione e di insulto,
soprattutto nei confronti dei meridionali, quella che viene chiamata la "secessione
dei ricchi", cioè il tentativo di Lombardia, Veneto e, ahimè, Emilia
Romagna di ottenere maggiori poteri e risorse in tutte le materie consentite
dall'attuale testo dell'articolo 116 della Costituzione, purtroppo modificato
nel 2001, che sta passando, se non con la esplicita complicità, nel sostanziale
silenzio dei meridionali che ancora credono e plaudono all'uomo forte
"Salvifico"? Sovranismo di che e di chi? Perfino
superfluo ricordare che la "pre
intesa", su questo sciagurato disegno, è stata sottoscritta a febbraio
2018 dai rappresentanti delle tre Regioni e dal sottosegretario agli affari
regionali (governo Gentiloni) Gianclaudio Bressa.
La cesura con gran parte di questa società e chi la rappresenta è
totale e definitiva ed il pessimismo della ragione mi indurrebbe a prendere
atto che, allo stato attuale, non vi sono prospettive di miglioramento. Mi
verrebbe voglia di "dimettermi da italiano" e finire qui queste brevi
riflessioni. Ma per quanto deluso ed amareggiato proprio dalla parte politica
nella quale ho sempre agito e militato, per il lavoro che faccio, l'essere
genitore con figli, la passione mai sopita per la politica e, forse,
l'ottimismo della volontà, mi spingono a prendere atto che nessuno, a partire
da me, ha il diritto di tirare i remi in barca ed assistere passivamente a
questo processo di involuzione e di imbarbarimento generale. Ho, abbiamo, un
dovere nei confronti delle nuove generazioni: riaprire una prospettiva di
futuro che, nonostante tutto, è un compito che spetta alla sinistra. Una
sinistra rinnovata, vera, degna di questo nome. Una sinistra che non rappresenti
più "il problema" ma una possibile soluzione. In Italia "una
sinistra c'è, sebbene non abbia rappresentanza da molto tempo, non esiste sul
piano delle organizzazioni politiche, delle offerte elettorali, della
rappresentanza parlamentare".
Abbiamo perciò l'obbligo e la necessità di superare la passività con
la quale quel che rimane del popolo di sinistra e di centrosinistra assiste inerme
ed inerte alla distruzione della più nobile tradizione politica italiana,
costruita con le lotte ed il sangue di milioni di persone per ottenere una
società più equa, più libera, più democratica, più inclusiva. Persone, uomini e
donne che hanno subito sulla propria pelle umiliazioni, discriminazioni.
Ce ne sono ancora di queste persone, le conosco. Molte sono disilluse
e testimoniano le proprie idealità ed esplicano la loro azione nei meandri
della vita civile. Sono amareggiate, sfiduciate ma, spero, non arrese. Spetta a
loro impegnarsi nel processo di ricostruzione di una sinistra egualitaria e
libertaria, anche se allo stato attuale non hanno e non trovano gli strumenti,
i mezzi, gli spazi, i luoghi, le organizzazioni per farlo. Si tratta di avviare
una vera e propria impresa, un cantiere, che non ha molto a che vedere con l'idea
di "inclusività" di ceto politico biascicato da coloro che ancora non
trovano il coraggio di analizzare in modo franco, sincero, le ragioni del
disastro politico provocato, ammettere le proprie responsabilità e lavorare per
far emergere una nuova classe dirigente, non i loro cloni, lasciando la testa
del convoglio per spingerlo dalle retrovie. L'alternativa non può
essere affidata all'attuale ceto politico incapace e tanto screditato da non
essere credibile neanche come opposizione: l'attuale coalizione di governo
rappresenta anche l'unica opposizione a se stessa. Ed intanto questo ceto
politico, (di sinistra?) incurante dei disastri provocati, non fa nulla per darsi
un minimo di dignità e provare a comportarsi da classe dirigente. E i nuovi "padroni" possono dormire
sonni tranquilli, mentre il Paese affonda.
Domenico Di Lisa
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