Il caso Noa Pothoven e quello che dovrebbe suggerirci
di Umberto Berardo
Dopo il primo corto circuito
mediatico che, incapace di verifiche
attente, ha parlato di eutanasia, oggi sappiamo che la diciassettenne Noa
Pothoven il 2 giugno è morta nella sua casa di Arnhem in Olanda perché
volontariamente ha smesso di alimentarsi con la famiglia che non si è opposta
alla sua decisione.
Siamo di fronte a una
situazione che non è propriamente ascrivile tra i casi di eutanasia o di
suicidio assistito, ma che ricade nella libertà, tra l'altro prevista anche in
Italia, di rifiutare nutrizione e terapie..
Qualunque sia stata la
dinamica, sulla quale il ministero della salute olandese ha avviato
un'ispezione per verificare se ricorrano le condizioni per una vera e propria
indagine, è chiaro che l'episodio rientra sicuramente tra i casi di suicidio
degli adolescenti che rappresentano un vero dramma nel mondo, ma anche nella
realtà più vicina a noi.
In Italia si tratta della
seconda causa di morte tra i giovani che raggiunge ormai il 5,9% di quelli tra i
quattordici e i diciannove anni.
C'è un crescente disagio
giovanile che sfiora sempre più il malessere e che riguarda ormai il 53% degli
adolescenti.
Noa Pothoven ha maturato un
percorso di sofferenza tale da arrivare al suicidio non come un raptus, ma
frutto di una scelta già più volte cercata in passato.
Ha
scritto su Instagram "È finita, non
ero viva da troppo tempo, sopravvivevo e ora non faccio più neanche quello.
Respiro ancora, ma non sono più viva. Sono seguita, non ho dolore e trascorro
tutto il giorno con la mia famiglia (sono nel salotto di casa mia in un letto
di ospedale). Sto salutando le persone più importanti della mia vita. Sono
molto debole, non inviatemi messaggi perché non posso gestirli e non cercate di
convincermi che sto sbagliando, questa è la mia decisione ed è definitiva".
Sono
considerazioni che suonano come un pugno nello stomaco per qualsiasi persona
che abbia un minimo di sensibilità.
Noa
da undici a quattordici anni ha subito più stupri che l'hanno segnata con
disturbi post traumatici, stress e una depressione da lei raccontati nel volume
"Vivere o imparare" in cui tra l'altro esprime critiche forti al
sistema medico olandese e alle difficoltà ad affrontare le malattie
psicosomatiche.
Al
di là della narrazione di un fatto che sconvolge noi dobbiamo provare a
comprenderne le ragioni perché, al di là del modo di pensare di ciascuno sul
fine vita, abbiamo la necessità di rompere il filo delle motivazioni che
possono spingere una persona a togliersi la vita che in ogni caso è un bene
prezioso se noi sappiamo coglierne i tanti aspetti positivi rispetto
all'espressione personale dell'affettività e della creatività ed alla relazione
con quanti si muovono su un orizzonte valoriale condiviso.
Indubbiamente
la malvagità che nel mondo esiste e talora, come nel caso di Noa, incrocia
taluni soggetti creando tragedie assurde, è sicuramente una delle cause
fondamentali del male di vivere che esprimono tanti giovani.
La
perversità e la violenza vanno represse e non possono in alcun modo essere
tollerate, ma occorre soprattutto che a livello culturale ed educativo si
lavori per evitare che esse insorgano nella società come purtroppo sta
avvenendo in forme che sembrano davvero la negazione dell'umanità che dovrebbe
essere invece il tratto mentale e caratteriale di ogni persona.
C'è
poi una crisi etica, valoriale, affettiva e sentimentale che porta sempre più a
calpestare la dignità degli altri ponendo al vertice dei comportamenti
ispirazioni egoistiche e talora disumane in cui la razionalità scompare
rispetto ad istinti di un'animalità sconcertante.
Gli
eventi di cronaca nera che attraversano la nostra epoca ne sono la
dimostrazione chiara ed inequivocabile.
C'è
ancora un'assenza di ascolto e di dialogo aperto da parte dei genitori, ma
anche delle tante agenzie educative come la scuola e le diverse associazioni
culturali, religiose, sportive e ricreative.
Di
fronte a giovani sempre più fragili e vulnerabili che non trovano direzioni
sicure cui guardare c'è un dovere civico fondamentale che è quello di fornire
loro strumenti per difendersi da soggetti ed eventi avversi, ma anche di ridare
loro spazi di relazionalità affettiva che a volte sembrano non esistere più.
La
Pontificia Accademia per la vita ha chiaramente affermato che “La
morte di Noa è una grande perdita per ogni società civile e per l’umanità. Noi
dobbiamo sempre affermare le ragioni positive per la vita”.
Noi crediamo
profondamente che questo sia vero, ma sappiamo anche con certezza che lo sforzo
dev'essere quello di prospettare e costruire culturalmente, politicamente e con
stili di vita conseguenti condizioni esistenziali per le quali valga la pena di
vivere.
È questa la
sfida che ci aspetta ogni giorno sul piano educativo e comportamentale.
Discutiamo
pure allora sulla legislazione relativa alla fine dell'esistenza e sulla libertà di scelta in merito, ma
facciamolo sempre con grande, grandissima apertura ad un'educazione per la
bellezza della vita che dobbiamo saper prospettare ai giovani determinando
nella società le condizioni per cui essa possa essere riconosciuta.
Più che
preoccuparci dell'eutanasia come superamento di condizioni di vita
inaccettabili come la depressione, la malattia e il dolore, forse abbiamo il
dovere d'imparare a discutere e studiare tali aspetti negativi per ridurne
l'insopportabilità e possibilmente eliminarla.
L'amore
infatti non è lasciar andare una persona con la morte, ma darle speranza con
ogni forma di sostegno umano che poi in definitiva si chiama amore.
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