Urge salvaguardare il bene Terra e tutelare chi la Terra la lavora
L’Agricoltura
italiana ha perso solo negli ultimi tre anni più di 320.000 aziende (ora scese a
1.145.000). Per quella molisana, ci si riferisce al 6° Censimento ISTAT del
2016, riferita agli anni 2010 – 2013, dove si ha una diminuzione del 17,10 %
delle aziende agricole, passate da 27.427 a 21.780; la percentuale più alta del
Meridione. I numeri attuali, visti i vari avvenimenti, sarebbero ancora
peggiori.
La
drammatica vicenda dei pastori sardi riguardante il bassissimo costo del
loro latte prodotto è la valenza
simbolica che racchiude la situazione economica davvero grave ed esasperata
dell’Agricoltura italiana e molisana in particolare; non sono i generici lamenti
di alcuni che attraversano abitudinariamente il mondo agricolo.
Questo
vale per il settore della cerealicoltura, della frutticoltura,
dell’olivicoltura, dell’allevamento, dell’orticoltura dove, si evince che non
conviene manco raccogliere i pomodori, le arance o seminare lo stesso grano
duro.
Sono
migliaia e migliaia le famiglie
contadine che rischiano di non avere più mezzi di sostentamento, che messa da
parte la loro ritrosia, la loro stessa dignità, hanno varcato le soglie delle
Caritas regionali. I loro terreni, le loro stesse abitazioni, i loro beni,
sacrifici di una vita, sono venduti all’asta per quattro soldi. E il Molise non
è immune. Tante sono le persone che si sono suicidate nel silenzio più assoluto,
al Nord come al Sud Italia. Basta con le false aspettative!!!
Sono
consapevoli, chi di dovere, regionali o nazionali, di questa drammaticità che
vive il mondo rurale?
Se
non ci saranno risposte serie ed adeguate soprattutto per i prodotti importati e
al medesimo tempo di tutela dei prodotti del vero Made in Italy, le crisi agricole future saranno sempre più
drammatiche e numerose.
E’
arrivato il tempo, è il caso di dirlo una volta per tutte, di metterci
seriamente mano.
Non
è concepibile che arrivino, sempre più, merci di dubbia provenienza e
tracciabilità, di incerta salubrità con imbrogli vari e, peggio, di sfruttamento
in quei Paesi di provenienza.
Intanto
l’agroindustria va a nozze grazie alla propria forza contrattuale concedendo i
rischi ai cafoni, “i tanti disuniti e spremuti”; i guadagni a loro, “i pochi
uniti”.
Bisogna
che il mercato venga regolarizzato non dalle “lobby”, siano esse delle
multinazionali o dell’agribusiness, ma da un concetto ben preciso: fare in modo
che i prezzi dei prodotti agricoli siano fissati con prezzi minimi riferiti ai
costi di produzione garanti della qualità e non come da tempo sta succedendo con
la concorrenza sleale estera di prodotti trattati con agrofarmaci di “scienza
inquinata” o, peggio dai mancati o blandi controlli.
Occorre
una vera e propria risposta strutturale collettiva; lavorare sottocosto non è
più concepibile.
Si
ripete: si può e si deve fare qualcosa, altrimenti, visti i deludenti risultati,
è la fine.
Si resta basiti quando si sente parlare o scrivere,
da anni, spesso in modo inconcludente, di danni alle produzioni agricole compiuti dai cinghiali, o di furti
nelle aziende agricole, o di burocrazia farraginosa. Perché si omette
(volutamente?) la più grave ed importante questione della stessa tenuta in vita
del settore e cioè : la mancata redditualità? Si ripete volutamente perché quando
“alcuni”, per prima, mettendoci la faccia, iniziano a parlare della guerra del
grano “irrorato” col glifosate, dei consorzi di bonifica, dei “contratti
capestro” di filiera, “gli altri”, ignorano, fanno finta di nulla per poi,
aspettando il momento a loro favorevole del vento che tira,
“salgono” sul cavallo di turno
facendo credere, sbagliando ancora, di essere pure precursori?
E'
ora che si faccia chiarezza e ci sia concretamente la volontà di tutelare, tutti
insieme, il bene terra ed i suoi lavoranti, al di là delle bandiere o partiti
politici.
Una
domanda in conclusione.
A
monte di tutta questa dottrina neoliberista, controproducente visti i
risultati, andando avanti di questo passo, se diventa normale il lavorare ed
essere sottopagati o produrre senza reddito alcuno, dove si andrà a
finire?
All’addomesticamento
della fame come i domatori di leoni fanno per rendere docili le
fiere: affamarli fino alla sottomissione?
Termoli,
25 febbraio 2019
Giorgio
Scarlato
Comitato
spontaneo agricolo
“Uniti
per non morire”
Il nuovo grido d'allarme del coltivatore Giorgio Scarlato resterà. come gli altri lanciati in precedenza, inascoltato, visto che la classe politica e dirigente di questo nostro Paese e, ancor più, di questa nostra Regione, continuerà a pensare a come distruggere il territorio e non a come valorizzarlo con tutte le sue preziose risorse e i suoi immensi valori. Per rendersi conto che continuano a camminare con la testa rivolta all'indietro basta soffermarsi un attimo sul loro modo di pensare: a tutto fuorché all'agricoltura, cioè alla ruota e mai al perno che permette alla ruota di girare. Grazie, come sempre, Giorgio.
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