Non ha futuro il Molise, il Paese, senza l' agricoltura e i suoi protagonisti
E' di qualche mese fa la
grande manifestazione agricola tenutasi in Puglia davanti alla Prefettura di
Bari in merito allo stato di profonda crisi in cui versa il
settore.
Un'agricoltura con poche
certezze visto che non ci sono strategie per il futuro. Si "campa" alla
giornata. Ormai non si può più parlare di crisi ma di disgrazia
voluta.
Bisogna comprendere che la
lotta agricola, pacifica, civile e democratica, serve per difendere quel mondo,
soprattutto per i giovani insediati, ad avere il sacrosanto diritto al futuro e
alla dignità.
E' la lotta per rivendicare
il diritto a produrre con redditi idonei, a poter vivere con nuove regole di
mercato paritetiche. Una crisi che doveva essere passeggera è, invece, diventata
cronica o, peggio, visti i risvolti attuali, un tumore metastatico.
Certo, si avverte la
stanchezza di questa battaglia impari combattuta in tutti questi anni ma, ancor
di più ci si sente avviliti ed esasperati per la mancanza di risposte alle
domande poste.
E' tristemente sconsolante
scrivere, focalizzare da anni, sempre le medesime cose sulla crisi del comparto
e, peggio, di questi giovani che si sono inseriti nel settore da poco e che,
malauguratamente, hanno già conosciuto la mancata redditualità in quanto non
sanno più come andare avanti ( sono molti i giovani che hanno “impattato” con il
Piano di Sviluppo Regionale).
Le famiglie agricole non
sanno più come sbarcare il lunario. Nelle loro case, a causa dei mancati
redditi, non regnano più pace e tranquillità.
L'anno
appena trascorso per l'agricoltura molisana è stato un anno da dimenticare a
causa del:
- clima anomalo
tropicalizzato che ha ridotto di molto le varie produzioni;
- le speculazioni sui prezzi
all'origine riferiti a grano duro, ceci, lino, ortaggi, pomodoro da
industria, frutta, etc, che l'hanno fatto da padrone;
- la sperequazione di sempre
tra i costi sostenuti per produrre le nostre derrate ed i prezzi dei prodotti
importati.
Le nostre aziende agricole,
le nostre terre non possono più essere "consegnate" alle banche, alle
multinazionali, agli speculatori. Questa lunga ed immane crisi voluta dal "mondo
indifferente che conta" ha lasciato al settore il giusto tempo per "inguaiarsi"
in modo tale che appaiano "scelte volute" dagli stessi contadini che decidono
(???) di chiudere le loro aziende e non imposte da "lor signori".
È la maniera soft, ottimale,
del pensiero neoliberista, della globalizzazione. Strada che, in realtà, sta
portato letteralmente alla fame.
Allargando il principio, il
neoliberismo può essere inteso come uno stato patologico
della società con una
crescita continua delle disuguaglianze tra ricchi e poveri.
Gli innumerevoli errori
commessi, le gravi responsabilità delle politiche, sia regionale che nazionale,
non possono più essere tollerate e tanto meno ci si può ancora inchinare
all'Unione Europea, miope, causa dei tanti danni arrecati in questi ultimi due
decenni ( Accordi con Egitto, Marocco, Messico, CETA col Canada, TTIP,
ecc.).
Pare che il Italia ed in
Molise ancor di più non si percepisca la gravità della situazione.
Da più parti si sente dire
che il Molise dal punto di vista occupazionale è una regione "avara" nel far
trovare occupazione. Una cosa è certa e verificabile.
Quando si chiudono Partite
Iva di tante aziende agricole regionali o vedere cancellazioni INPS dopo 25 - 30
anni di pagamenti effettuati, o venire a conoscenza che tanti agricoltori sono
in grande sofferenza con i pagamenti delle loro contribuzioni previdenziali,
non si può non tenerne conto della grave situazione in cui versa il
comparto.
Questa è la crudele realtà e
non come ci vogliono far intendere che l'agricoltura.... tira (...le
cuoia?).
Bisogna comprendere che,
proseguendo su questa strada non resta altro che soccombere. Tanti sacrifici
compiuti, da generazioni, gettati alle ortiche. Si sa ma non lo si vuol dire che
i macroindicatori economici (prezzi e redditi) indicano che l'agricoltura
nazionale è, di più, quella meridionale "naviga" in un mare burrascoso e i
"soloni", "sparando" profezie che mai si potranno concretizzare, vogliono
convincere di aver trovata (??) la soluzione. È come essere passeggeri sul
transatlantico "Titanic" che imbarca acqua, l'orchestra suona e si fa finta di
nulla, tanto, dice qualcuno: ... ci salveremo.
L'unica
cosa che resta da fare a livello regionale a questo punto è quella di far
quadrato. Arrivare a fare una pianificazione coesa per uno sviluppo di stretta
intesa con l'agroalimentare ed il settore turistico; unirci ed impegnarci,
tutti, ad operare insieme affinché il vero Made in Molise funzioni ma in
concreto e non come "Piacere Molise".
Fare
in modo che al coltivatore non diano manco le briciole (di guadagno). come a
Lazzaro,
ma
un prezzo giusto che possa ristorarlo.
Ci stiamo rendendo conto che
l'Italia sta diventando sempre più una nazione che consuma prodotti alimentari
ma senza il lavoro dei suoi contadini, dei suoi "cafoni"?
Quest'ultimi diminuiscono di
numero proprio a causa dei prezzi globalizzati, di sottocosto, delle loro
derrate visto che l'agroindustria pretende i prodotti, oggi tanto di moda:
buoni, belli, salubri e pure nutraceutici ma a prezzi da Terzo
Mondo.
Ci stanno imponendo formaggi
senza il nostro latte, pasta senza il nostro grano, succhi di frutta senza le
nostre arance, salumi senza i nostri maiali, etc. Ciò non può essere più
accettabile.
"Usano" il Made in Italy
per etichettare prodotti,
con minima parte di prodotto nazionale, che provengono da Paesi europei e non.
Queste imposizioni approvate da una burocrazia asfissiante ed anomala non
possono essere più sostenibili.
Si sta facendo passare il concetto, per verità già da molto tempo, che i meravigliosi prodotti della nostra tradizione alimentare siano soltanto ed esclusivamente merito dei grandi trasformatori; minimizzando o ignorando completamente "i tanti cafoni" che col sacrificio giornaliero danno vita, danno corpo, alle nostre inimitabili delizie.
Se
non c'è il prodotto del vero made in Italy, se non c'è "il cafone" che lo
produce, non potrà mai esserci l'agroalimentare vero italiano di cui tanti
"im..prenditori" ne vanno orgogliosi!
Bisogna rendersi conto che il cibo che arriva sulle tavole degli italiani è prodotto da altri e tanti "poveri cristi", contadini o braccianti che siano, da altri territori sfruttati dal neoliberismo globalizzato.
La
globalizzazione è una delle procedure più subdole che ha permesso ai potenti di
sfruttare i deboli in ogni parte del mondo.
Ancora
non si comprende che questo viaggio fattoci intraprendere col processo di
globalizzazione è stato un viaggio con molti più naufraghi che
naviganti?
E’
sotto gli occhi di tutti lo sfascio ma tanti negano l'evidenza.
Ed è così che sulle nostre tavole, grazie alla GDO (grande
distribuzione organizzata) principale canale di vendita che tende sempre a
pagare di meno, il prodotto nazionale autoctono sta diventando una chimera; ci
sono sempre meno derrate di produzione italiana, (fagioli dall'Argentina, ceci
dal Messico, lenticchie dal Canada, dagli USA, nocciole dalla Turchia, grano
duro dagli USA, dal Canada, olio di oliva dal Marocco,
ecc.).
Questo
punto focale non è mai inserito nell'ottica complessiva che analizza le cause;
si sorvola.
Logica conseguenza è il fallimento delle nostre aziende
agricole. Gli innumerevoli sacrifici fatti per migliorare le nostre aziende
sia in macchinari che in infrastrutture, con il crollo dei prezzi (bloccati,
se non peggio, rimasti agli anni ottanta del secolo scorso) ed il continuo
aumento dei costi di produzione ci ha "portati in braccio" alle banche che hanno
avuto il compito di selezionare chi dovrà sopravvivere e chi dovrà morire.
Questo non è altro che il frutto di decenni di una politica agricola nazionale
che non ha saputo rispondere alle trasformazioni avutesi e vergognosamente ha
delegato al mercato lo sporco compito di tagliare il numero delle imprese.
Esempi? Zuccherifici, allevamenti avicoli, di bovini, di suini, cooperative
ortofrutticole, ecc.
Motivo? Inutile girarci intorno: mancanza di programmazione
territoriale dovuta alla inoperatività politica la quale continua ancora ad
esercitare un effetto calmierante sull'inflazione che tuttavia non riesce a
trasferirsi al consumatore finale. Noi vendiamo in centesimi le nostre derrate,
"loro" le vendono in euro. L'agricoltura nazionale è stata sempre merce di
scambio, barattata, a vantaggio di altri settori produttivi. Il settore agricolo
viene immolato sull'altare della realpolitik, a conferma che è considerato meno
strategico rispetto ad altri settori. È stata, ed ancora lo è, la "cenerentola"
delle varie situazioni venutesi a creare. Forse un concetto non si è compreso:
si è di fronte ad un dramma sociale di ragguardevole
gravità.
Si
vuole una agricoltura ma senza agricoltori. Questa è la politica che impera,
controllata dalle grandi aziende multinazionali dove il profitto è al primo
posto mentre i "cafoni" e le loro aziende sono all'ultimo.
La
globalizzazione neoliberista ha, a poco a poco, trasformata l'agricoltura
stessa, avvelenandola (concimazioni, agrofarmaci, sementi) ed impoverendo chi
ci lavora (prezzi di vendita sempre più bassi).
Vergognosamente
i raccolti sono considerati come merci e non più come risorse utili all'umanità
per alimentarla.
Se una nazione non riesce a difendere la sua agricoltura
perderà la sua sovranità alimentare e quindi il suo futuro no potrà che essere
fosco.
Saremo sempre più invasi da
cibo industriale senza qualità alcuna e mangeremo prodotti che manco
lontanamente si potrebbero paragonare ai nostri; globalizzati nel sapore, poco
nutrienti e per nulla salutari.
Diventeremo
una società malata.Un
Sta
ad ognuno, con il proprio grado di responsabilità adoperarsi, impegnarsi,
affinché ciò non avvenga, per noi ma soprattutto per le generazioni future. È
nostro dovere tutelarle.
Termoli,
29 gennaio 2019
Giorgio
Scarlato
Comitato
spontaneo agricolo
"Uniti per non morire"
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