Tagli alla Pac, quanto rischiano gli agricoltori italiani?


Per capire quanto i tagli alla Pac incideranno sulle aziende agricole italiane, abbiamo cercato di capire oggi quanto i bilanci delle varie tipologie di aziende agricole dipendono da Bruxelles

 da  Agronotizie       di Tommaso Cinquemani


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Il peso della Pac sui bilanci aziendali varia molto
Fonte foto: © Stramyk Igor - Fotolia

L'Unione europea ha deciso di disinvestire dalla Politica agricola comune. La proposta di bilancio pluriennale avanzata dalla Commissione europea propone un taglio del 5% dei fondi destinati alla Pac. Ma da qui alla fine del 2019, quando verosimilmente il Consiglio Ue approverà il bilancio, le cifre possono cambiare. Le aziende agricole italiane dovranno dunque fronteggiare una contrazione degli aiuti che, in mancanza di correttivi, penalizzerà di più le aziende agricole che oggi percepiscono sussidi maggiori.
Capire quanto incide la Pac sui bilanci delle nostre imprese non è semplice e le percentuali si sprecano, alcuni parlano di un 10% e altri si spingono fino al 40%. Ma, dati alla mano, quanto pesano gli aiuti europei nel portafogli degli agricoltori? Abbiamo provato a fare chiarezza chiedendo aiuto a Paolo Sckokai, professore della facoltà di Scienze agrarie dell’Università Cattolica di Piacenza.
"La riforma della Pac e la proposta di bilancio sono ancora lontani dall'essere approvati e dunque prevedere quale sarà l'impatto sui conti delle nostre imprese è molto difficile", spiega Sckokai. "Vero è che il peso della Pac sui bilanci delle aziende agricole è molto variabile, da quasi nullo per certe tipologie di aziende fino a molto consistente per altre, arrivando anche a al 40%".
Capire attraverso quali strumenti Bruxelles sovvenziona le nostre aziende non è affatto semplice, perché differenti strumenti si stratificano l'uno sull'altro e si incrociano con la storicità degli aiuti percepiti dalle singole aziende.

Gli aiuti Pac: due Pilastri

Cerchiamo dunque di fare chiarezza. Come gli agricoltori sanno la Pac è suddivisa in due Pilastri, con il Primo che assorbe circa il 75% delle risorse. All'interno troviamo il pagamento di base, che viene erogato senza particolari oneri da parte dell'agricoltore (e vale per circa il 57% del budget). C'è poi il famigerato greening (che vale il 30%), che richiede si mettano in atto comportamenti di tipo ecologico come la rotazione delle colture e il mantenimento di fasce di interesse ecologico. Poi ci sono aiuti specifici, come quelli ai giovani agricoltori, destinati ad incentivare un ricambio generazionale. Oppure i pagamenti accoppiati, che sono erogati ai produttori di specifiche colture (in Italia ulivo, grano duro, colture proteiche, ovini da carne e bovini da latte).
Agli aiuti diretti da Bruxelles si sommano poi quelli che provengono dai Piani di sviluppo rurale, a gestione regionale, che prevedono ad esempio sovvenzioni per chi produce in regime di biologico, oppure per chi fa minima lavorazione, oppure per chi ha aperto una nuova azienda. Proprio questo secondo Pilastro è quello a cui la Commissione europea vuole dare maggiormente peso nella prossima programmazione.
"Da questo quadro risulta evidente come ormai gli aiuti Pac siano svincolati dalla tipologia di coltura che insiste sui terreni. Anche se i titoli che l'azienda può vantare si basano sullo storico colturale dell'azienda stessa", spiega Sckokai.

Il peso della Pac a seconda delle colture

Eppure, tenendo in conto lo storico aziendale, si può stabilire quanto la Pac incide sulle singole colture. Dai dati estrapolati dallo studio "Direct payments and competitiveness. Assessing redistributive effects of internal convergence in Italy" pubblicato sul sito del Rica (Rete di informazione contabile agricola), si evince come la vite da vino sia la coltura che meno è sostenuta da Bruxelles (circa il 2%), mentre l'olivicoltura è in cima alla classifica con oltre il 25% di incidenza delle sovvenzioni Pac (Primo pilastro) sul reddito aziendale.
Tabella incidenza del Primo pilastro Pac sul reddito aziendale
L'incidenza del Primo pilastro Pac sul reddito aziendale
(Fonte foto: elaborazione Paolo Sckokai)
Sui cereali siamo intorno al 24% di incidenza, seguono le altre colture estensive (16,5%) e le imprese zootecniche, ferme all'11%. La frutticoltura e la produzione di latte si attestano al 5% di incidenza delle sovvenzioni del Primo pilastro sul reddito aziendale, mentre per l'orticoltura scendiamo al 4%. Insieme alla viticoltura si fermano al 2% anche le imprese avicole (Dati 2014).
Ma se le sovvenzioni Pac sono in gran parte svincolate dalla coltura aziendale, come si spiega questa variabilità? "Dipende dal fatto che i titoli alla base delle sovvenzioni risalgono ad un periodo della Pac in cui c'era una correlazione diretta tra coltura ed entità della sovvenzione. I titoli sono dunque rimasti immutati anche se nel frattempo l'azienda ha modificato l'indirizzo colturale", spiega Sckokai.
Nell'attuale programmazione esiste un meccanismo di mitigazione delle differenze ed è prevedibile che anche nella successiva si vada verso una omogenizzazione dell'impatto della Pac sui bilanci aziendali.
Nel testo proposto dalla Commissione Ue c'è poi la volontà di privilegiare le piccole imprese agricole rispetto alle grandi. Per questo verrà posto un tetto di 100mila euro alle sovvenzioni ricevibili da una singola impresa agricola (a prescindere dal suo ettaraggio) e il valore degli aiuti diminuirà progressivamente una volta superati i 60mila euro.

Commenti

  1. Se i mancati aiuti riguarderanno le spese per concimi, antiparassitari, medicinali e potenti macchine agricole che per l'agricoltura contadina rappresentano solo debiti, ci guadagnerà la nostra agricoltura e a rimetterci saranno le multinazionali, che, da anni, stanno facendo affari d'oro e tutti a spese del coltivatore. Un processo assecondato dal silenzio delle organizzazioni professionali. C'è bisogno che gli aiuti vengano dati solo a un nuovo modo di fare agricoltura, cioè all'insegna della sostenibilità e non dello sfruttamento del terreno fino alla sterilizzazione dello stesso: rilancio del pascolo e delle piccole stalle contadine e non al sostegno della zootecnia e delle colture super intensive.

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