Il ruolo della donna nella Chiesa cattolica
di
Umberto Berardo
Crediamo
sia indubitabile che la Chiesa cattolica, pur essendo femminile quanto al
genere grammaticale, è stata e tuttora è esclusivamente maschile in relazione
al diritto canonico.
Tale
situazione è stata a nostro avviso determinata non tanto o non solo dall'evolversi
delle tradizioni ecclesiali quanto piuttosto da letture non sempre legate al
fondamento essenziale delle Scritture.
Talune
ostinate fedeltà e interpretazioni letterali di passi di Genesi e soprattutto
di quelli delle lettere paoline hanno portato nella Chiesa la donna ad assumere
una condizione di netta subordinazione rispetto all'uomo nei ruoli e nelle
funzioni.
Probabilmente
il peccato originale, commesso inizialmente dalla donna secondo il racconto
biblico, con le conseguenze descritte in Gn 3,16, ha determinato in molte
epoche storiche un'asimmetria di ruolo tra i due generi relegando la donna stessa
a quello di madre e di compagna sottomessa all'uomo.
In
effetti il Vecchio Testamento, se si escludono alcuni personaggi femminili di
rilievo e l'esaltazione della donna nei Salmi e nel Cantico dei Cantici, disegna
una società patriarcale e maschilista in linea con i tempi e la stessa cosa
avviene con San Paolo che, mentre nella Lettera ai Galati 3,28 tratteggia l'uguaglianza del
genere umano superando qualsiasi differenza e nella Lettera ai Romani 16 e
nella Prima Lettera ai Corinzi sembra riconoscere il servizio di diaconessa e di
profetessa ad alcune donne, poi sempre nella Prima lettera ai Corinzi in 11,3-9
e 14,34-35 immagina per esse una condizione di umiliante sottomissione
all'uomo.
È
una concezione di sudditanza della donna che ritroviamo poi nel pensiero di
Agostino di Ippona e di Tommaso d'Aquino.
Occorre
certo approfondire se il ruolo di diaconesse nella Chiesa fino al IV secolo
fosse solo funzionale o con ordinazione sacramentale, ma è certo che la loro
collaborazione con presbiteri e vescovi era davvero fattiva.
Tale
ruolo è poi scomparso sia nella Chiesa ortodossa che in quella cattolica,
mentre esiste in quelle della Riforma.
Si
dimentica che la missione di Gesù di Nazareth supera qualsiasi relazione
unicamente maschile e viene accompagnata costantemente dalla presenza femminile
negli anni della predicazione fino al momento della morte ed a quello della
resurrezione provando così che la donna è stata parte essenziale della comunità
della fede come d'altra parte attestano il brano 15,28 del Vangelo di Matteo, in
cui il Maestro rivolge il più grande elogio per una grande fede vera ad una
donna Cananea, e molti passi degli Atti degli apostoli, ma come è evidente
plasticamente soprattutto dal fatto che il figlio di Dio entra nella storia per
merito di sua madre Maria.
In
ogni caso dopo il IV secolo si compie una condizione di emarginazione della
donna nella Chiesa nonostante figure eccezionali d'impegno ecclesiale,
culturale ed umano come quelle di Teresa d'Avila, prima donna Dottore della
Chiesa, Cristina di Svezia, Teresa di Lisieux, Maria Teresa Goretti, Edith
Stein e madre Teresa di Calcutta per fare solo degli esempi.
Né
il Concilio Vaticano II, né la Mulieres Dignitatem di Giovanni Paolo II, né un
documento dell'allora cardinale Joseph Ratzinger sono riusciti a dare davvero
dignità alla donna e ad inserirla negli ambiti in cui si prendono decisioni
importanti nella Chiesa.
D'altronde
anche il ruolo più attivo previsto per i laici dall'impulso rinnovatore del
Vaticano II è stato solo in parte reso concreto e vive attualmente una sorta di
stallo in una Chiesa che fa fatica a ripensare la sua struttura rendendola più
partecipata.
La
pienezza della condivisione decisionale delle donne nei diversi consessi di
tale ordine è davvero marginale, mentre a guardar bene l'impegno delle stesse è
prevalente in funzioni essenziali quali l'ospitalità, la catechesi, il soccorso
ai malati, agli anziani, ai bisognosi, il servizio nella preghiera, il lavoro
amministrativo e contabile oltre a quello più somigliante ad una servitù che
riguarda mansioni di supporto in lavori domestici per membri della gerarchia.
Se
vogliamo allora superare il principio di dipendenza, che forse è in parte anche
responsabile di crisi di vocazioni e di tanti abbandoni dalle Congregazioni
religiose, dobbiamo sostituirlo con quello d'interdipendenza e di pari dignità
di genere.
Papa
Francesco in una recente udienza plenaria con l'Unione Internazionale delle
Superiori Generali ha non solo avanzato l'idea dell'istituzione di una
commissione che studi il tema del diaconato femminile, ma ha affermato con
estrema chiarezza "Mi preoccupa il persistere nelle
società di una certa mentalità maschilista, mi preoccupa che nella stessa
Chiesa il servizio a cui ciascuno è chiamato, per le donne, si trasformi a
volte in servitù” e in
un'intervista al gesuita padre Antonio Spadaro ha precisato che “Bisogna lavorare di più per fare una profonda teologia della donna. Solo
compiendo questo passaggio si potrà riflettere meglio sulla funzione della
donna all’interno della Chiesa”.
Sono parole importanti per sostenere l'emancipazione della donna che
ovviamente non va clericalizzata, ma valorizzata nei carismi, rispettata nella
dignità ed accolta con la sua autorevolezza in tutti i consessi in cui si
prendono decisioni importanti per il popolo di Dio.
Stiamo parlando degli organismi consultivi e decisionali anche vicini al
papa in cui è giusto che ci sia la contemporanea presenza di uomini e donne.
Questo cammino di emancipazione della donna ha sempre incontrato corpose
resistenze da parte di quanti lo ritengono dirompente per le logiche legate
alla tradizione, ma occorre perseguirlo con tenacia perché il "genio
femminile", come lo ha chiamato papa Francesco nella Evangelii Gaudium del
2013, sicuramente potrà essere lievito per trasformazioni positive nel percorso
della Chiesa rispetto ai temi dell'evangelizzazione e della promozione umana.
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