L'impegno nel pacifismo
di
Umberto Berardo
Se
è vero che nella storia la guerra è stata considerata quasi uno stato abituale
per gli esseri umani ed ha fatto più notizia della pace, è altrettanto certo
che quest'ultima ha avuto i suoi cantori già da Esiodo o i suoi promotori in
Aristofane, Erodoto, Tacito, Francesco d'Assisi, Pietro Valdo, Erasmo da
Rotterdam, John Woolman, Jean Jacques Rousseau, Voltaire, Immanuel Kant, il
Mahatma Gandhi, Martin Luther King, Nelson Mandela, Giovanni XXIII, Ernesto
Balducci, don Tonino Bello, Gino Strada solo per citare alcuni tra i testimoni
più conosciuti.
Ovviamente
da cristiani vogliamo ricordare al riguardo il grande insegnamento di Gesù di
Nazareth.
Fondamentale
è stata in occidente l'opera "Il progetto di pace perpetua" pubblicata
nel 1713 dopo il trattato di Utrecht dall'abate Charles-Irénée Castel de Saint-Pierre, ritenuto da molti il primo
pacifista occidentale.
Il
pacifismo ha radici storiche e culturali nell'egualitarismo non violento
cristiano, nel pensiero delle religioni orientali, nell'illuminismo, nel
socialismo libertario e nella coscienza ecologica che rifiuta la globalizzazione
selvaggia e si propone a tutela di relazioni positive tra gli esseri umani ed
il territorio.
È
soprattutto dopo i due conflitti più terribili del Novecento e la Dichiarazione
Universale dei diritti dell'uomo del 1948 che intellettuali, politici, artisti
ed in generale cittadini si mobilitano per riflettere sulle strade da
percorrere per eliminare la guerra dal consesso mondiale dopo che con delle
rivoluzioni non violente come quelle di Gandhi, di Martin Luther King o di
Mandela era stato possibile segnare tappe importanti nella liberazione dei
popoli e nell'affermazione dei loro diritti.
Nasce
così quello che abitualmente viene definito il movimento pacifista che in
Italia cresce intorno a figure come don Lorenzo Milani, Aldo Capitini, Danilo
Dolci, Alex Zanotelli, Antonino Drago e che si rafforza nei movimenti del Commercio
equo e solidale, dei Beati costruttori di pace, del Movimento internazionale
della Riconciliazione, di Pax Christi, del Forum Sociale Mondiale.
Il
pacifismo può fondarsi su basi etiche da parte di chi ritiene in generale la
violenza moralmente inaccettabile, ma anche su presupposti pragmatici di quanti
pensano che la violenza stessa sia inefficace nella soluzione dei conflitti e
per la costruzione della pace nella società.
La
legittima difesa della libertà e dei diritti dal militarismo e dall'oppressione
si fonda sul concetto e la pratica della lotta popolare non violenta di Gandhi
che ha visto elaborazioni strategiche molto concrete sul piano dell'obiezione
di coscienza al servizio ed alle spese militari, della disobbedienza civile e
del boicottaggio di tutto ciò che è indirizzato alla guerra, all'oppressione
dei popoli ed a stati d'ingiustizia sociale.
Non
mancano tra i pacifisti quelli che individuano casi estremi in cui la violenza
possa essere usata nella legittima difesa o per impedire genocidi in atto.
Di
sicuro, a partire dalla secessione dei plebei sul Monte Sacro a Roma nel 494
a.C. fino all'indipendenza dell'India o a quella della Norvegia, le strategie
pacifiche e non violente hanno dato nel corso della storia risultati positivi e
talora insperati.
Già
durante la guerra del Vietnam in Europa ci fu una poderosa capacità di
mobilitazione delle masse giovanili contro quel conflitto e ne siamo stati
parte attiva proprio con il M.I.R. con un'azione promossa in piazza San Pietro
a Roma per chiedere al papa di farsi portavoce di pace nell'incontro con il
presidente americano Nixon.
Negli
anni successivi milioni di persone si sono mobilitate sul conflitto
arabo-israeliano, sull'occupazione americana dell'Iraq, dell'Afganistan come
sulle repressioni della Russia nei confronti delle popolazioni dell'Europa
orientale o di quelle della Turchia e di
Saddam Hussein nei confronti dei Curdi.
Già
sugli attentati dell'Isis questa mobilitazione si è attenuata ed oggi, rispetto
a quella che papa Francesco chiama la terza guerra mondiale a puntate in atto,
il movimento pacifista sembra addirittura assente o dissolto.
L'inferno
della guerra nel mondo ha purtroppo moltissimi teatri e noi tutti abbiamo il
dovere, di fronte alle immagini che ad esempio ci giungono dalla Siria, dalla
Palestina o dall'Africa, d'impedire massacri che rappresentano davvero la
negazione di ogni forma di umanità.
Dopo
la guerra del golfo solo qualche piazza è tornata ad infiammarsi di attivismo
per impedire il massacro dei palestinesi e la stessa marcia annuale
Perugia-Assisi corre il rischio di diventare solo simbolica.
Dopo
anni di forte sensibilizzazione per il disarmo nucleare e per la riduzione
delle spese militari, oggi si assiste impotenti a quella che papa Francesco
chiama la globalizzazione dell'indifferenza rispetto alle catastrofi create da
quelle che vengono ipocritamente definite guerre preventive, umanitarie o operazioni
di polizia internazionale.
La
dissoluzione del pacifismo è probabilmente parte di quella crisi della sinistra
che ne era stata l'anima insieme al mondo cattolico ed a quello sindacale.
Le
cause forse vanno ricercate nell'inadeguatezza movimentista di andare oltre le
manifestazioni e rafforzare la capacità elaborativa di analisi politica in un
momento in cui assistiamo ad una forte involuzione e depotenziamento del
sistema democratico con parlamenti nazionali che stanno sempre più cedendo
poteri ad istituzioni sovranazionali spesso non legittimate sul piano
elettorale o a centri di potere come FMI, BCE, NATO, WTO, società di rating e
fondi d'investimento che si servono delle guerre come sistemi permanenti di
dominio sulle materie prime e sul movimento di capitali a livello finanziario.
Poiché
la politica sembra piegata alle ragioni della guerra, diventata oltretutto una
forma estrema e disumana di economia, occorre in immediato creare nuclei operativi
del movimento pacifista sul territorio anche in piccole realtà per continuare l'opera
di educazione e coscientizzazione sulla promozione della pace nel mondo in un
intreccio sinergico con quanti si oppongono a processi di globalizzazione
neoliberista ed operano per costruire un rapporto di convivenza pacifica tra
gli esseri umani e di rispetto di essi con il territorio al fine di raggiungere
una coesistenza fondata sulla giustizia sociale.
Riprendere
le fila di un'operatività non è facile, ma significa intanto cominciare a
vedersi sistematicamente per progettare sistemi di sensibilizzazione sulle piazze
virtuali, ma soprattutto su quelle reali cercando di coinvolgere la maggior
parte possibile di soggetti.
Il
primo impegno dev'essere indirizzato in una proposta definita di revisione in
senso democratico degli organismi e delle funzioni dell'ONU.
Occorre
altresì continuare l'opera di elaborazione d'idee pragmatiche per rendere
sempre più concreta ed attuale la strategia di azione e difesa popolare non
violenta che significa lottare il militarismo, la xenofobia, le discriminazioni,
ma anche cercare le strategie per spegnere i fuochi di guerra e ridare al
pacifismo la dimensione mondiale che ha avuto in passato.
Il
movimento ha necessità di trovare rappresentanza sempre più larga in nuove
forme organizzate a livello nazionale ed internazionale.
La
rete pacifista deve avere poi una dimensione europea e mondiale con l'individuazione
di un'agenzia per la pace cui i diversi movimenti locali possano fare
riferimento.
In
un ordine mondiale che non sa dare stabilità, pace e giustizia, ma che invita
alla difesa personale con un processo di militarizzazione individuale e
sociale, noi pensiamo che la difesa popolare non violenta con proposte concrete
ed opportune possa essere di grande efficacia, sul piano preventivo e
strutturale, nell'opposizione alla guerra.
Riannodare
le fila dell'impegno, tornare a sventolare le bandiere arcobaleno che
accendevano l'entusiasmo delle masse, parlare di pace e di non violenza è già
di per sé educativo; se a questo aggiungeremo la necessità che ognuno non
proclami la pace, ma la viva come valore di rispetto per la vita, la libertà, i
diritti e l'uguaglianza tra gli esseri umani, avremo la speranza di non vedere
più le immagini atroci di violenza create ancora nel mondo.
Di
fronte al diffondersi pericoloso dei giochi di guerra abbiamo il dovere di
riassumere impegni di responsabilità, di riallacciare sinergie operative e di
esserci per impedire che la disumanità, frutto dell'egoismo e della malvagità,
distrugga questo pianeta.
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