La millenaria storia di Larino, non una consolazione ma possibilità per un nuovo domani
Il piazzale dove un tempo c'era la grande Torre |
Quel topo di cantieri e di discariche, non di librerie, che
è il mio caro amico Berardo Mastrogiuseppe, mi ha fatto omaggio della fotocopia
di un ritaglio di “Molise Nuovo”, un periodico regionale pubblicato a Roma, e, precisamente,
del n° 3 del 1952, Anno 5°, che riporta un interessante artico lodi Giuseppe
Orazio de Gennaro, già sindaco di Larino nei primi anni ’60. Un appunto per la
Storia del Molise riferito a “ La Congiura larinese del 1679 e la liberazione
della municipalità dai feudatari”.
Una storia di 339 anni fa, poco più di due decenni dopo la
micidiale epidemia del 1656, che ridusse Larino a una città di 400 abitanti,
con la scomparsa del patriziato
formato da sei o sette famiglie (de Cornacchiellis, Sorella, Espinosa, de
Raimondi, de Obscuris, de Palma, e, probabilmente de Misseriis
e de Scimato), salva la sola famiglia dei Palma.
Un patriziato,
visto che Larino, diversamente da altre località confinanti, non è mai stato un
feudo, “nel vero senso della parola.
E, così, io che della storia ne sento solo il fascino, incuriosito dalla lettura del bell’articolo
del Cav. Giuseppe Orazio, più noto come barone, sono entrato nel racconto di un
passato di questa mia città sempre più sorprendente per la ricchezza della sua
Storia, ben raccontata da altri illustri cultori come Giuseppe Mammarella,
Napoleone Stelluti, e altri. E’ la storia, con la cultura, un valore importante
del territorio, la nostra identità, alla quale bisogna aggiungere il paesaggio,
l’ambiente, le tradizioni e le fondamentali risorse legate all’agricoltura,
quali il cibo e, a Larino, da sempre. Il gentile olio di oliva.
Ho letto della congiura avvenuta in Larino nel 1679, che “va
inquadrata storicamente nei prodromi di quel vasto movimento dottrinario e
rivoluzionario che doveva portare all’abolizione della feudalità del Regno.
Essa appartiene alla migliore storia nazionale del periodo e costituisce la più
bella pagina della Storia Larinese che è pur ricca di fasti millenari”.
In pratica il patriziato
locale, sostenuto anche dal clero, “approfittando
anche della lontananza del potere Regio residente a Madrid”, prese l’iniziativa
di far fuori il “ladrone di Larino”, il Duca don Francesco Maria Carafa della Stadera, e, così, “spezzare definitivamente anche il simbolo della
giurisdizione feudale della città”. Tutto avvenne – scrive il dotto barone - mentre
rientrava dal suo feudo di Campomarino, in un punto strategico, la salita nei
pressi del Convento dei cappuccini che - me la ricordo bene - era davvero dura farla, come ricordo la croce
in legno, piantata nel mezzo di due querce secolari, che ombreggiavano il tratto dove dovevi scendere dalla bicicletta e portarla a mano o
dal carretto e stare dietro a spingere per aiutare il cavallo a spingere per
superarlo.
La vendetta dei Carafa, con il processo contro i ribelli
dinanzi alla Corte criminale di Lucera, la cittadina della Daunia che, con
Larino, ha un rapporto antico. Io l’ho ritrovato nel dialetto comune quando ho
presentato il mio libro “U penziere” nella città dove inizia e termina il
Tratturo che, passando per Campobasso nel Molise, collega Castel di Sangro in Abruzzo. Le dure rappresaglie e la consorteria
dei Palma asserragliata entro la torre più alta, quella dell’Episcopio, posta a
sud est di fronte alla casa che, oggi, con una pietra di marmo ricorda la sede
del primo Seminario della Cristianità. Una torre che, per vendetta, è stata rasa
al suolo, che, ai miei tempi, era diventato il giardino dove noi bambini dell’
asilo giocavamo.
La morte della moglie di Don Antonio Palma, incinta, che,
dopo tre ore dal parto cesareo perde il figlio. Il bambino che Alessandro Dumas, con la sua fantasia di
romanziere fa vivere fino a renderlo protagonista, un secolo dopo, dei moti del
1799, l’amore di Luisa San Felice nel romanzo “Il regno insanguinato”.
Leggo che Dumas era amico del barone don Carlo Magliano di
Larino e che Antonio de Palma,
approfittando dell’inverno, si rifugiò a Sarcuno in provincia di Matera, dove
si risposò con Antonietta di Maggio e, quando i figli nati dalle seconde nozze,
una volta placate le acque, tornarono a
Larino hanno dto origine a un’altra famiglia, non più Palma, ma Maggio-Palma.
La conclusione dell’articolo è la liberazione di Larino dai
feudatari, tant’è che, quando dalla vicina Casacalenda arrivavano nella città
frentana, diventavano “primi inter pares”
con “i Patrizi Larinati liberi Signori
di un libero municipio”.
Un’interessante storia che mi ha fatto dire, riportandomi all’attualità
di questa mia città, l’importanza di vivere il racconto della storia millenaria,
se esso stimola, però, la voglia di futuro. Un futuro che farà tornare Larino ad essere quella che è sempre stata, una
capitale, un punto di riferimento, prima
di tutto per il suo circondario. La città dell’olio per eccellenza, il luogo
che ha ancora intorno la campagna e nella sua agricoltura, oggi più che mai, la
sua grande risorsa. e nella sostenibilità del suo territorio il futuro.
La nascita del Biodistretto
dei Laghi Frentani è una grande
occasione da non perdere e da non mettere nelle mani di chi pensa ad altro, non
ha programmi, o, peggio, sostiene chi ha imbrattato un paesaggio stupendo ed ha
spogliato la città e il suo circondario di risorse importanti, come l’ospedale,
lo zuccherificio e, ultimo, il Consorzio di bonifica.
Si tratta di pensare alla Storia e farla vivere per dare ad
essa la continuità che merita con le idee, i progetti, i programmi e le
necessarie strategie, con le azioni che hanno nella lungimiranza la sola
possibilità per essere realizzate.
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