Nelle sale ''Petit Paysan'', il film che sostiene il mondo rurale
L’originalità dell’opera è quella di raccontare un mondo vivo ma fragile, romantico ma combattivo, realizzando un thriller incalzante e avvincente nella dimensione di un allevamento “etico”. Una dimensione che rimane in sottofondo lasciando emergere una realtà aziendale in cui l’allevatore ha ancora rispetto per i propri animali, punta a fare qualità, lotta e combatte contro avversità ordinarie e straordinarie, come accade in ogni allevamento vero, fatto di gente vera, di rapporti veri, di impegno, dedizione e passione.
La storia, ambientata agli albori dell’epidemia della Mucca Pazza, conduce lo spettatore nelle apprensioni di Pierre, nelle sue preoccupazioni ed ansie, che lo portano a non perdersi un telegiornale, con l’idea ormai fissa al rischio-Bse, e a variare pian piano le sue abitudini, in maniera incosciente, ad essere spesso in stalla per valutare il comportamento delle sue bestie, sino alla scoperta della positività per uno dei suoi capi. Qui il pensiero dell’allevatore si fa ossessione, davanti alla prospettiva dell’abbattimento collettivo di tutta la mandria, che diventa sempre più concreta.
Il film, che sbarcherà nelle sale italiane il 22 marzo con la NoMad distribuzione, in partnership con l'Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell'Abruzzo e del Molise e la Confederazione Italiana Allevatori, ha ottenuto il patrocinio di Slow Food Italia, e circolerà anche negli istituti agrari, in virtù del suo alto valore didattico. Tra le tematiche sollevate, emergono il trattamento etico degli animali da produzione, l'attaccamento degli allevatori rurali al proprio lavoro, vissuto in una dimensione spesso totalizzante. E così a Petit Paysan va il merito di portare ad un ampio pubblico il tema del ritorno alla vita di campagna da parte delle giovani generazioni, che sono impegnate a scrivere oggi il capitolo dell'imprenditoria agricola del futuro.
Intervistato, dopo la presentazione della pellicola, il regista ha svelato non poche ragioni che lo hanno spinto ad intraprendere questa produzione e una carriera da regista che forse non era neanche nei suoi programmi. Parlando della sua famiglia, della loro fattoria con caseificio, situata a Droyes, fra Reims e Nancy, Charuel ha detto che «sono sopravvissuti alla crisi casearia grazie al duro lavoro, a piccoli investimenti e a prestiti».
«Ci vuole molta intelligenza e tanto impego quotidiano per sopravvivere», ha poi aggiunto il regista. «Petit Paysan parla della grande pressione che si vive in un'azienda agricola: si lavora sette giorni alla settimana, bisogna mungere le vacche due volte al giorno, tutto l'anno, tutta la tua vita». Ma non solo: «Il film tratta anche dei rapporti con i genitori che sono sempre fra i piedi, sul peso di quel patrimonio. Si va a mungere come se si andasse a pregare, di mattina e alla sera. Essere un produttore di latte è una vocazione», non una professione, o un mestiere.
«Il mio discorso», conclude il regista francese, lanciando un bel messaggio di speranza, «è oggi meno pessimistico che all'inizio della scrittura del film, cinque anni fa. Ho la sensazione che le persone si chiedano sempre più spesso cosa stanno mangiando. E questo lascia sperare che una rinascita di questo mondo sia possibile».
QualeFormaggio. n° 3del 29 gennaio 2018
Il trailer di NoMad per il mercato italiano è visionabile cliccando qui
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