Il Molise come Macondo.
Un signore molisano, partito per
andare oltreoceano quaranta - cinquanta anni fa, non ha mai fatto ritorno in
Molise e non ha seguito le vicende politiche della nostra regione. Preso dalla
nostalgia, decide di fare un viaggio nella terra di origine e lo fa in questa fase preelettorale. Ascoltando
i nomi dei potenziali candidati alla Regione o al Parlamento ha un sobbalzo ed arriva
alla conclusione che il Molise è una terra magica nella quale esiste il dono
dell’immortalità. Almeno in politica.
Infatti, associa immediatamente il
cognome Frattura a Fernando, Di Giacomo a Pietro, Iorio a Raffaele, Ruta a Nunzio, Vitagliano a Giuseppe, Totaro a Mario,
Veneziale a Gabriele. E la lista potrebbe continuare.
L’iniziale stupore si trasforma rapidamente
nel convincimento che nella terra che aveva lasciato esiste una ereditarietà delle
cariche istituzionali e che, contrariamente a quanto aveva immaginato, è
rientrato in un Molise che fa fatica a trasformarsi in una regione avanzata, attardato a livelli rurali o post
rurali, pre-moderni, dove dominano ancora clan familiari. Constata che la
politica è fondata su una cooptazione familistica e clientelare
e non conosce il criterio della selezione meritocratica. Soprattutto la politica, infatti, sembra
riprodurre situazioni che riportano indietro nel tempo, a quei rapporti sociali
e di produzione tipici del vecchio Mezzogiorno preindustriale in cui una
ristretta cerchia di latifondisti si contrapponeva ai contadini salariati che
da essi dipendevano senza alcuna speranza di emancipazione. Insomma una realtà
quasi feudale.
Il Molise come Macondo, la
immaginaria cittadina della Colombia caraibica di Cent'anni di solitudine che narra la storia delle sette
generazioni della famiglia Buendia, ambientata in un microcosmo arcano e
segregato in cui la linea di demarcazione fra vivi e morti non è affatto
nitida, il tutto sullo sfondo di un drammatico messaggio di isolamento e
arretratezza.
Il nostro “turista di ritorno” realizza
che il Molise assomiglia ad una palude la cui bonifica sembra una vera e
propria impresa perché manca di una
classe dirigente in grado di gestire una equilibrata modernizzazione; che
nel Molise la politica è un incubo democratico: lo è per
i cittadini che dalla politica si attendono legittimamente un miglioramento
della vita civile e quotidiana e che invece non ottengono mai (a parte pochi
fortunati) e lo è per quelle coscienze infelici che guardano con rassegnata
impotenza allo sperpero del denaro pubblico, al malgoverno, alla corruzione,
alle prepotenze dei privilegiati e ai loro ingiusti profitti e al comportamento
della magistratura e delle forze dell’ordine che quasi sempre volgono lo
sguardo altrove.
Intuisce che la politica molisana è fatta di intrighi,
agguati, tradimenti, separazioni ed improvvise riappacificazioni, vendette,
regolamenti di conti; è umorale, senza progetti e senza disegni strategici.
Come spesso accade al Sud. E’ legata alle persone e non alle organizzazioni e
soprattutto guarda agli affari. Per questo motivo si verificano così frequenti e spregiudicati cambi di casacca.
La politica come sovrastruttura
fondata sui giochi di corridoio, che trascura gli impegni presi con gli lettori, i quali vengono considerati non cittadini ma sudditi o, al massimo,
clienti.
Il nostro corregionale si spiega
perché non si è mai sviluppata una vera e propria opinione pubblica, a sua
volta indispensabile per esprimere scelte politiche basate su valori e
ideologie, e perché in Molise non esiste un voto di opinione ma solo di
interesse.
Non fa alcuno sforzo per
individuare la risposta alla totale indifferenza dei giovani nei confronti
della politica. E, pur avendo grande nostalgia dei caciocavalli e delle
mozzarelle, senza alcun indugio, e senza alcun rimpianto, prenota il primo volo
utile per ripartire.
Campobasso 18.12.2017
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