Il granone “Agostinello”, tutto molisano, può, insieme con altre iniziative, rilanciare le aree interne.
Cereali, prima di tutto pane e pasta, cioè il nostro cibo
quotidiano, fondamentale da sempre, insieme con l’olio di oliva, il vino, le
verdure e la frutta, per i popoli del Mediterraneo.
A Matrice, dicevo, all’altezza della stazione ferroviaria, lungo
il braccio Cortile-Centocelle, che raccordava il tratturo Castel di Sangro –
Lucera con quello che da Celano arrivava a Foggia, non lontano da quel luogo
magico segnato dalla stupenda chiesa di Santa Maria della Strada (sec. XII) con
la sua leggenda del re Bove e del masso del diavolo.
Questa volta con un mais tutto nostro l’”Agostinello”, che
si semina a maggio e matura ad agosto per dare all’amante della “tolle”
(pannocchia), quella bollita,il piacere
di sgranare un qualcosa dal delicato sapore ma dal gusto intenso, piacevole o, per
i più esigenti, quella buttata sulla brace o tenuta con un ferro per non
bruciarsi. Che dire poi della pizza di granone “Agostinello” sotto la coppa per
tagliarla a metà (preparata dalle signore Cofelice)) e imbottirla di peperoni
fritti o, volendo, renderla famosa con le verdure (pizz’è foje), un piatto che,
al pari della polenta e altri derivati da questo mais o dalla sua farina.
merita, una volta formulato il disciplinare di produzione del mais “Agostinello”,
il riconoscimento di una indicazione geografica, Dop o Igp.
Altri piatti come la polenta al sugo di pomodoro, preparata
per i partecipanti all’incontro voluto dall’Associazione “Arca Sannita”, che ha
sede a Ferrazzano, mi ha saziato di bontà.
Solo chi ha in mano i Psr e, di questi tempi, anche le
organizzazioni professionali credono alla bontà dei risultati del Psr, una
volta erogati i fondi a disposizione e che, come si sa, finiranno nel 2020.
C’è da dire che questi programmi, come altri finanziamenti
della Ue, hanno reso il coltivatore quello che prendeva da una mano i soldi,
impegnando per una parte anche i suoi, e, con l’altra, passava il tutto all’industria
dei trattori e delle attrezzature, a quelle della chimica e alle banche.
Infatti, con tutti i soldi erogati nessun coltivatore, a differenza dell’industria,
della finanza e delle multinazionali, si è vestito con abiti d’oro. Anzi, dal
2004, l’anno che ha fatto esplodere la crisi dell’agricoltura che ha anticipato
di qualche anno la crisi più generale a dimostrazione di un sistema fallito, con
il coltivatore che ha pagato questa crisi
a caro prezzo, l’abbandono dell’attività, spesso cacciato da espropriazioni per
dare spazio ad altre attività sul proprio terreno, molte delle quali
speculative e fonti di tangenti.
Ecco che ripartire dalla terra - come vogliono fare i
giovani di San Giovanni in Galdo e i sindaci di questo paese e di quello
vicino, Campodipietra; Michele Tanno con l’Arca Sannita; Cofelice e i
coltivatori rimasti - è una necessità se si vogliono creare esempi convincenti
per allargare il campo e coinvolgere altri protagonisti.
Esempi convincenti anche per la politica e i gruppi
dirigenti di questa nostra Regione, che non ancora hanno capito che il loro
domani dipende da una svolta, soprattutto culturale, che è quella di partire
dalle risorse e dai valori del territorio e che solo salvaguardando, tutelando,
utilizzando e valorizzando questo prezioso bene comune, si può tornare a
camminare insieme e affrontare il futuro con la conoscenza e il sogno del
domani.
pasqualedilena@gmail.com
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