IL MOLISE ANCORA UNA VOLTA UN ESEMPIO PER L’OLIVICOLTURA ITALIANA
Se ben colta questa opportunità il Molise può tornare ad
essere, così com’è stato il 17 dicembre del 1994, a Larino, con la costituzione
dell’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, un esempio capace di coinvolgere
e mobilitare le regioni olivicole del nostro Paese.
In pratica uno straordinario laboratorio che ha in un
programma, sostenuto da una forte progettualità e da una precisa e puntuale
strategia di marketing, la forza di mettere a disposizione - degli
olivicoltori, frantoiani, la stessa industria olearia e il quadro complesso
istituzionale - risultati capaci di cogliere le potenzialità che il mercato è
in grado di esprimere. Si tratta di avere la voglia e la capacità di cogliere
queste potenzialità e di farle esprimere in pieno.
Tutto questo per onorare le firme che hanno suggellato il
protocollo firmato a Termoli nel giorno di apertura della manifestazione,
evitando di rendere falsi e, pertanto, inutili le parole e i discorsi fatti.
Firma del protocollo d'intesa
Città dell'Olio - Regione Molise
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Sogni, idee, progetti, coinvolgimenti degli attori sopra citati, tutto dentro una linea ben marcata da una programmazione, derivata dal recepimento del piano olivicolo nazionale e sostenuto dalle risorse del Psr, per progetti che servono al territorio e alla collettività, capaci di coniugare il rilancio di un’agricoltura in ginocchio con il lancio dei turismi, che proprio il territorio, con la sua storia, la sua cultura , i suoi paesaggi, le sue tradizioni e la bontà del suo cibo e della sua cucina, è in grado di esprimere.
La coltivazione arborea più diffusa, l’olivo, da sempre
testimone della quasi totalità della superficie regionale, può davvero
diventare il punto di partenza di una programmazione che guarda al futuro,
dando segnali e risposte possibili agli altri comparti dell’agricoltura che –
mi duole ripeterlo - è in profonda
crisi. Basta la situazione tragica della campagna del grano, appena terminata,
a dimostrare le sofferenze dei protagonisti di questo settore primario che rischia
di perdere la sua natura contadina.
Sono molti, anche per l’olivicoltura, i segnali
preoccupanti.
Dopo essere stato rinviato al mittente il progetto di una
stalla di 12.000 manze, cioè di una zootecnia industriale che avrebbe fatto
pagare prezzi altissimi ai valori ed alle risorse del territorio,
l’industrializzazione questa volta riguarda l’agricoltura, e, nel caso
specifico, proprio l’olivicoltura, con gli oliveti super intensivi che più di
un olivicoltore ha programmato e sta per realizzare, accarezzato dai vivaisti e
spinto dalle multinazionali spagnole che, così, impongono le loro varietà a
scapito della nostra ricchezza di biodiversità olivicola. Oliveti previsti e
perfino finanziati dal piano predisposto dal Ministero del’Agricoltura, che servono a rafforzare le gerarchie
all’interno della filiera e ad affossare definitivamente l’olivicoltura
contadina e il patrimonio di biodiversità, nel momento in cui tutto continuerà
ad essere nelle mani dell’industria olearia e delle multinazionali che, come si
sa, hanno un solo interesse, la quantità a scapito della qualità e, ancora
peggio, della diversità.
Se questo succede è la fine dell’olivicoltura e dei
territori più difficili, quelli collinari che, da sempre, sono sostenuti dagli
olivi. Fa rabbia pensare che a intraprendere questa strada sbagliata, siano
anche coltivatori arrabbiati della situazione che vive la nostra agricoltura e
la sua olivicoltura. Il quadro è quello
già visto in altre situazioni: si ritroveranno, dopo gli entusiasmi iniziali,
nelle mani degli industria e delle multinazionali, senza neanche accorgersene, così com’è
capitato nel passato per altri comparti dell’agricoltura e per la zootecnia.
Sta qui la necessità e l’urgenza di giocare d’anticipo dando
spazio a incontri e riflessioni, a idee e progetti, a programmi e strategie
capaci di affermare ancor più l’olivicoltura contadina contro un’olivicoltura
di rapina qual è quella superintensiva. Olivicoltura contadina, la sola capace
di recuperare e gestire gli oliveti oggi abbandonati, mantenere intatte la
storia e la cultura dell’olio, due elementi fondamentali per conquistare il
consumatore e affezionarlo all’uso del buon olio che, sempre più, ha la fama
della bontà e della buona salute.
Il Molise, come hanno dimostrato i tre giorni di Girolio
2016, ha tutto per diventare un esempio, uno straordinario laboratorio, che
mette a disposizione delle olivicolture delle altre regioni, i risultati più
importanti per un rilancio dell’olivicoltura e l’affermazione dei suoi oli con il
valore aggiunto equamente distribuito tra i diversi soggetti della filiera.
Questo perché niente sia, né come prima e, meno che mai,
come ora, quando il mondo contadino è tenuto completamente fuori dai processi
in atto.
pasqualedilena@gmail.com
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