IL GUSTO DEL DOMANI
Il mio amico Walter Gasperini mi ha fatto gentilmente omaggio
del bel libro “Storia di un Territorio Val di Cornia: ecco la Docg” , che lui
ha pensato e curato, dove si può leggere anche una mia nota, quale contributo
alla storia di questo riconoscimento, e un mio articolo pubblicato sulla pagina
“Agricoltura” de L’Unità, il giornale con il quale allora collaboravo.
La “storia di un territorio” importante, qual è Campiglia
Marittima, Monteverdi Marittimo, Piombino, San Vincenzo, Sasseta e Suvereto
in Val Di Cornia, la Maremma livornese
che apre a quella grossetana.
Luoghi stupendi, con le dolci colline che si specchiano nel
grande mare, che ho avuto la fortuna di conoscere e vivere traendo insegnamenti
preziosi da una serie di personaggi che sono nell’angolo bello della mia
memoria.
E’ la “Storia di un vino” che nasce con un nome sbagliato “Ghibello”,
per poi chiamarsi “Ghimbergo”, sempre legato al territorio di Suvereto, per poi
allargarsi agli altri Comuni e avere il riconoscimento Doc “Val di Cornia”,
oggi Docg.
Oggi, ai tanti amici di allora, in primo luogo Walter Gasperini,
un sindaco bravo a cogliere con anticipo i profondi cambiamenti del tempo, in
particolare la fine della mezzadria che aveva segnato in lungo e il largo la
Toscana, devo aggiungere altri: Rossano Pazzagli, anche lui sindaco di
Suvereto, che ho conosciuto qui nel Molise come professore dell’Unimol, sempre presente
sul territorio; Giancarlo Bini, uno straordinario personaggio del mondo della
cucina, del vino (emerito componente della commissione di assaggio dell’enoteca
italiana di Siena) e, in particolare, dell’olio e, infine, ma non ultimo,
Alberto Grimelli, editore e direttore di Teatro Naturale, il settimanale on
line che mi vede suo collaboratore da sempre.
Mi piace, per i miei cari lettori che hanno la pazienza di
leggere i miei articoli, riportare qui la nota “Il gusto del domani”che ho
avuto il piacere di firmare e che è a pagina 30/33 del libro di Walter
Gasperini, pubblicato da Eurpolis.
IL GUSTO DEL DOMANI
Fino alla metà degli anni ’80 occuparsi di vino in Toscana
voleva dire avere come riferimenti certi il Chianti, Chianti Classico, Brunello
di Montalcino, Vino Nobile di Montepulciano, e la Vernaccia di San Gimignano.
Per quelli che avevano avuto il tempo di leggere il bellissimo libro di
Federico Melis “i vini italiani nel medioevo”, voleva dire pensare anche ai
vini del Contado Pistoiese e quelli delle Colline Lucchesi - Valdinievole con
il “Montecarlo”, allora il vino bianco più famoso in assoluto.
Della Maremma, grossetana e livornese, si cantava
soprattutto e se ne parlava anche, ma non del vino, se non per quel Sassicaia,
nella terra di Castagneto Carducci - Bolgheri, che, già allora, faceva
impazzire il mondo dei degustatori come a rappresentare l’eccezione di una
regola che portava a considerare il vino italiano non all’altezza di quello
francese.
Una prima svolta all’immagine del nostro vino la dà il
riconoscimento, nel 1980, della Docg per quattro vini, due piemontesi
(Barbaresco e Barolo) e due toscani (Brunello di Montalcino e Vino Nobile di
Montepulciano). in particolare, il grande lavoro svolto, nell’anno 1982, dal
Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano e, dalla Camera di Commercio di
Siena, con l’Enoteca Italiana che dà il suo contributo, per l’immissione sul
mercato di questa Docg con un anno d anticipo di fronte al Barbaresco e tre
anni di fronte agli altri due.
Una svolta, dicevo, che porta a rendere più facile il
percorso della qualità tracciato con il Dpr 930 del 1963 e a svegliare il mondo
del vino che, fino ad allora, soprattutto per opera degli industriali,
continuava a porre ostacoli sulla strada della qualità, giacché questi la
vedevano come un freno alla loro azione. Ci penserà il metanolo e la paura
diffusa tra i su citati industriali del vino a togliere definitivamente gli
ostacoli ancora rimasti e, così, dare al vino italiano la possibilità di
vivere, senza più riserve, l’immagine della qualità e, con essa, i primati
conquistati sui più importanti mercati del mondo.
Un’aria nuova quella che ha caratterizzato tutti gli anni
’80, che, personalmente, grazie soprattutto all’Ente Mostra Vini – Enoteca
Italiana di Siena, ho avuto la fortuna di respirare a pieni polmoni, lavorando,
quale Segretario Generale del prestigioso Ente, a fianco di due straordinari
costruttori, i presidenti Luciano Mencaraglia e Riccardo Margheriti. Due
personalità che meritano di essere ringraziati
per quello che hanno dato al vino italiano con il rilancio di
un’Istituzione prestigiosa, nata nel 1933, e della sua Enoteca di cui oggi, non
solo il vino, ma l’insieme dell’agroalimentare italiano ha più
che mai bisogno.
Sentirsi un giorno, poco tempo dopo il mio impegno all’Ente
Mostra Vini – Enoteca italiana di Siena, chiamare dal sindaco di Suvereto,
Walter Gasperini, che mi raccontava del suo Ghibello/Ghimbergo, è stata per me
una piacevole sorpresa e, nell’arco di qualche giorno, l’occasione di una
scoperta, davvero bella, di un territorio che conoscevo poco e di un Comune che
non conoscevo affatto.
Ghibello/Ghimbergo, un vino da tavola, prodotto da una
decina di aziende poco più, che, fino ad allora, producevano per l’autoconsumo
o per la vendita del vino sfuso. Ghibello/Ghimbergo, il vino che, agli inizi
degli anni ’80, apre un discorso non facile, ma che, nel tempo, ha avuto
ragione grazie alla lungimiranza di un sindaco e dei suoi collaboratori che
hanno fortemente creduto e puntato su questa e altre risorse del territorio,
sapendo di non averne altre.
Siamo negli anni in cui si registra una grave crisi
dell’agricoltura, con la Toscana che paga un prezzo più alto perché il periodo
coincide con la fine della mezzadria. Sono, però, proprio i vecchi mezzadri,
impegnati nelle istituzioni ai vari livelli, a trovare le soluzioni e quello
della scommessa su un vino al quale, come prima si diceva, viene dato il nome
Ghibello, a ricordare il momento più alto del ruolo dei Comuni. Una scelta che
ha il significato di una fiducia nel proprio territorio, con i suoi valori e le
sue risorse, quali la storia, la cultura, l’agricoltura con la sua centralità,
la bellezza del paesaggio e la ricchezza della biodiversità, ma, anche, le
antiche tradizioni che diventano le ragioni di una programmazione che, a
Suvereto, come in atri luoghi della Toscana, si diffonde a macchia d’olio,
contribuendo al successo di un marchio, Toscana, sempre più vincente sul
mercato globale.
Elementi che, alla luce della pesante crisi strutturale che
attanaglia questo nostro Paese dal 2008, mostrano tutta la loro attualità, nel
momento in cui diventano l’occasione di una grande riflessione e la soluzione
possibile per mettere mano seriamente al fallimento di un sistema, che ruba e
spreca fino a mettere in dubbio il domani stesso del pianeta.
Elementi che fanno capire bene anche le ragioni che sono
alla base di una vera e propria rivoluzione che vede il vino e la Toscana
grandi protagonisti, grazie anche all’Enoteca Italiana, fucina di tante
iniziative, tutte vincenti, in particolare quella della nascita a Siena, nel
giorno della primavera del 1987, dell’Associazione Nazionale delle Città del
Vino.
È proprio un figlio di Suvereto, Rossano Pazzagli, già
sindaco e amministratore della su citata associazione, professore di storia
moderna presso l’Università del Molise e, spesso, in giro nei piccoli comuni di
questa mia amata terra a parlare di territorio e agricoltura, a riprendere e
sviluppare queste ragioni. Lo fa con un bellissimo libro “Il Buonpaese –
Territorio e gusto nell’Italia in declino ”, uscito di recente per la Felici
Editori di Ghezzano in provincia di Pisa, dove ripercorre la storia dei primi
25anni di vita della prima Associazione che mette insieme i comuni, cioè i
titolari del territorio, e rende la vite un passamano che spazia, senza
soluzioni di continuità, in lungo e in largo nell’Enotria tellus, il Paese del Vino.
Ho avuto la fortuna di raccogliere quest’idea progettuale,
presentata a Siena da Elio Archimede in occasione di un convegno, organizzato a
Siena, nel 1986, dall’Enoteca su “Vino e Turismo” e di realizzarla con l’entusiasmo
del Sen. Riccardo Margheriti e l’aiuto dei miei bravi collaboratori, tra i
quali l’indimenticabile Giorgio Guagliumi che ha dato un contributo notevole
alla nascita di tante altre iniziative che quell’incontro e il tema “Vino e
Turismo” hanno stimolato.
La fortuna anche di aver diretto i primi sei anni di vita di
quest’Associazione mi fa dire, con Rossano Pazzagli, con il quale vivo
interessanti incontri nel Molise, che essa nasce dal basso, cioè da esperienze
come quelle di Suvereto che puntano sul proprio territorio, la sola miniera che
uno ha in mano per costruire un nuovo possibile domani.
Ricordo che Suvereto fu uno dei primi comuni a dare la sua
adesione a quest’Associazione, nata nel primo giorno della primavera del 1987,
ma che, per ragioni di statuto delle Città del vino, che dava la possibilità
solo ai comuni inseriti con il loro territorio in un disciplinare Doc o Docg,
dovette rinviare al riconoscimento della Doc “Val di Cornia” .
Oggi Suvereto è non solo Città del Vino ma anche Città dell’Olio,
l’altra Associazione sponsorizzata dall’Enoteca e nata a Larino nel Molise nel
1994, ma anche il simbolo della difesa e salvaguardia dei piccoli comuni che
un’Italia smemorata vorrebbe cancellare o annullare in un altro più grande.
Un’esperienza, quella di Suvereto, che mi ha coinvolto
molto, sin dal primo incontro con il sindaco Gasperini e un altro personaggio
importante, Marco Stefanini, un enologo capace, appassionato, instancabile che
aveva la responsabilità della condotta enologica, altra straordinaria idea nata
per assistere le aziende agricole e, in particolare, quelle viticole, a
scegliere la qualità e dare ai loro vini prima la denominazione “Ghibello” e
poi “Ghimbergo”, in modo da identificare la sua origine con il territorio
comunale di Suvereto. Una denominazione a carattere comunale con un
disciplinare di produzione importante per i controlli in esso previsti., che
anticipa di qualche lustro la De.Co., la Denominazione comunale, prevista
dalla legge 142 del 1990.
L’intento, con il riconoscimento di una denominazione comunale, cioè di un marchio di
origine del territorio, di stimolare certo le aziende a produrre vino di
qualità per garantire il consumatore,
ma, soprattutto, importante occasione di dialogo tra l’istituzione locale e il
mondo dei produttori e gli stessi consumatori per camminare insieme lungo il
percorso della qualità.
Una grande forza che
ha permesso di superare senza danni il cambiamento del nome “Ghibello”, che
qualcuno aveva già registrato altrove in toscana, in “Ghimbergo”, il vino che
poi, con l’ampliamento della zona, ha aperto la strada alla nascita, nel
novembre del 1989, della Doc Val di Cornia.
Ricordo bene la pubblica audizione a Suvereto, il 7 giugno
1988, per il riconoscimento della Doc “Val Di Cornia”del Comitato Nazionale
Vini a D.O., in occasione della XXIl Settimana dei Vini di Siena e, il giorno
dopo, la visita, con i componenti del Comitato, i giornalisti e gli opinion
leaders, ospiti della manifestazione,
alla Costa degli Etruschi e, poi, un omaggio a Castagneto
Carducci-Bolgheri per il suo “rosato” e il suo “Sassicaia”.
Un momento importante, decisivo per la vitivinicoltura di
quest’angolo stupendo della Toscana e, soprattutto, per Suvereto che aveva
puntato sulla vitivinicoltura e data fiducia, non solo ai vitivinicoltori del
suo territorio ma di tutta la Val di Cornia. Tant’è che, l’anno dopo la
pubblica audizione, ottiene la Doc e, dopo venti anni da quel riconoscimento,
la Docg con il suo “Rosso della Val Di Cornia o Val di Cornia rosso” e il
“Suvereto”nelle sue quattro tipologie tutte a base di uve rosse.
Un percorso virtuoso, ricco di conquiste e risultati
importanti che spettano a tutti i protagonisti di un’avventura che dura ormai
da trent’anni, che nasce e si sviluppa grazie alla lungimiranza di Gasperini e
di quanti con lui hanno creduto e scommesso sulle bontà del proprio territorio
dando ad esso, attraverso il vino, il gusto del domani.
Pasquale Di Lena
Il libro può essere richiesto a
EUROPOLIS
Srl via G. Matteotti, 39 57022 DONORATICO (LI)
Email:
scalzini@hotmail.com
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