Dieta Mediterranea e stili di vita tradizionali
L’altro
giorno a Oliveto Citra (SA), un piccolo delizioso paese che, con le sue minute
case, scivola sotto l’antico Castello e guarda il fiume che sfocia tra Eboli e
Paestum, il Sele, ha dato il mio personale contributo all’incontro “Dieta
Maditerranea e stili di vita tradizionali”, organizzato nell’ambito della XXXI
edizione del “Premio Sele d’oro Mezzogiorno”, ricco di interessanti iniziative.
Carmine
Pignata, sindaco di questa Città dell’Olio (una delle ventiquattro del
coordinamento campano) ha voluto presentarmi non solo come autore del libro
“Agricoltura e Territorio”, uscito nel 2012 per la collana “Cibo e identità”
dell’AGR Editori di Ripalimosani (Cb), ma, anche, come presidente onorario
dell’ANCO (Associazione Naz.le Città dell’Olio), dandomi, così, la possibilità
di iniziare il mio intervento con un saluto
del Molise e della mia Larino, culla (dicembre 1994) di una realtà che
oggi rappresenta oltre 350 comuni e enti associati.
La presenza
di un pubblico prevalentemente di giovani mi ha dato ancor più la stimolo a
parlare di territorio che, con la sua ruralità e la sua agricoltura, è tanta
parte degli stili di vita tradizionali che la Dieta Mediterranea raccoglie e
rappresenta e, per questo, dal 2011 riconosciuta dall’Unesco patrimonio
dell’Umanità per la sua valenza culturale e sociale.
Il
territorio, questo Bene Comune fondamentale, patrimonio inestimabile di risorse
e di valori, sempre più vittima sacrificale di un tipo di sviluppo, che la
pesante crisi, esplosa nel 2008, ha mostrato ormai decrepito, fallito.
E’ questo suo
stato di fallimento e, forse, la consapevolezza che c’è sempre meno da
sfruttare, che hanno incattivito ancor di più i protagonisti del crollo del
sistema, che, con più violenza di prima, continuano a perseverare lungo un
percorso che, se non viene fermato in tempo, va diritto verso il baratro nel
momento in cui continua a divorare fette importanti della Terra, che proprio in
questa settimana ha vissuta la sua Giornata.
Se è vero,
com’è vero, che quest’anno, la natura ha già dato tutto quello che poteva dare
il 13 di agosto, con un anticipo di sei giorni di fronte allo scorso anno, c’è
da pensare che un’altra fetta di pianeta è venuto a mancare. E, se
prossimamente questo accade il 30 di giugno c’è da dire, inoltre, che il giorno
in cui questo succederà, dobbiamo prendere atto che l’umanità ha bisogno di un
altro pianeta!
L’Amazzonia è
solo un esempio (il più clamoroso), dello sperpero di risorse naturali, dei
cambiamenti climatici, dei rischi che corre l’umanità.
Un processo
che rischia di diventare inarrestabile se, chi è vittima della situazione, soprattutto
le nuove generazioni, non si organizza e mette in piedi azioni, strategie che
diano vita a una vera e propria lotta di resistenza di cui la natura, la terra
ha bisogno.
E tutto
questo sfracello per il denaro e il potere!
Intanto, nel
mondo, ogni anno il pianeta perde 24 miliardi di tonnellate di terra fertile.
Un tasso di furto di suolo fertile tra le 10 e le 40 volte superiore – come
prima si diceva - alla capacità di rigenerazione. Parlo della terra, quella che
dovrebbe - come dichiara l’Expo 2015 - “nutrire il pianeta”, proprio quando
essa è sommersa da cemento e asfalto o scavata e trivellata. Come dire che la
mano destra non sa quello che fa la mano sinistra e viceversa.
Alla perdita di terreno fertile dovuto al
furto di territorio, è da aggiungere la perdita di quello, ormai esaurito,
sottoposto a eccessi di apporto chimico con il solo obiettivo di produrre quantità.
In pratica, una perdita netta di cibo che vede il nostro Paese già in deficit
del 20% il suo fabbisogno alimentare. Un dato preoccupante che può diventare
presto drammatico se non si pone fine, appunto, alla perdita di suolo.
Un vero e
proprio delitto contro un bene comune, che, in Italia, continua a registrare la
perdita di 8 metri quadri il secondo, ciò che vuol dire che, alla fine di un
anno, sparisce una superficie pari a 240.000 campi sportivi, che, nella
generalità dei casi, è quella più vocata all’agricoltura di qualità.
IL 6,7 del
territorio nazionale (dati 2012) è coperto da cemento e asfalto, con la pianura
padana, quella dei grandi formaggi e dei salumi e insaccati speciali
(prosciutto, mortadella, salumi), che ha un 16,4% del suo territorio
interessato dalla cementificazione. C’è da credere che il sud è al disotto della media e questo, da
fatto positivo può diventare negativo, perché il territorio è ancor più appetibile,
con tanti segnali (trivellazioni, elettrodotti e gasdotti, parchi eolici,
inceneritori biomasse e biogas), che
stanno a dimostrare che non c’è alcun intento da parte di chi governa il Paese,
di rilanciare il Meridione, ma, anzi, di affossarlo definitivamente sotto
colate di cemento ed asfalto.
Tutto questo
proprio quando c’è più bisogno del sud e della sua agricoltura, dei suoi
paesaggi e dei suoi ambienti, della sua storia e delle sue tradizioni, per
avviare quel nuovo tipo di sviluppo di cui ha bisogno il Paese. E c’è bisogno
di stili di vita all’insegna della sobrietà, così come detta la Dieta
Mediterranea, che tanto ci appartiene.
Ecco allora
che si sente davvero la necessità e l’urgenza di ridare all’agricoltura quel
suo ruolo di centralità, se si vuole assicurare al Paese il cibo di cui ha
bisogno e quello che serve per rispondere alla domanda di qualità che arriva
dalla nuova globalizzazione dei mercati.
Pensare al
territorio, al luogo, vuol dire dare senso e forza al significato dell’origine
della qualità che, sin dall’inizio di questo secolo, vede il nostro Paese primeggiare
con le indicazioni geografiche, Dop e Igp.
E questo,
soprattutto se si vuole liberare il futuro dai rischi di un indebitamento
pericoloso per la stessa autonomia e indipendenza del Paese.
pasqualedilena@gmail.com
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