L’agricoltura muore per mancanza di scelte politiche non di risorse.
di Giorgio Scarlato - coltivatore di Palata in provincia di Campobasso sempre pronto a
portare il suo contributo per spiegare il mondo di cui è un protagonista e per
denunciare i limiti culturali e politici di una classe dirigente dell’Italia e
del Molise che ricadono sull’agricoltura e sono tanta parte della crisi che
vive il Paese.
Nell’attuale
situazione di crisi nazionale, e questo da anni, c’è il settore agricolo
colpito in modo grave e particolarmente preoccupante che sempre più si
affossa.
Non è facile fare il contadino oggi in Italia e in modo particolare in
Molise.
Vessazioni fiscali (gli ultimi
appesantimenti : l’IMU sui terreni e l’abbattimento delle agevolazioni sul
gasolio agricolo); “credit crunch”, la stretta creditizia (che ha colpito
in modo particolare il Sud Italia ) che ha ridotto l’accesso al credito (
rating agricolo basso, ossia la classificazione del rischio finanziario) a
causa del maggior costo sugli interessi e dalla assenza di meccanismi di
garanzia efficienti; la concorrenza, europea e mondiale, accanita e senza un
minimo di parità concorrenziale ( prodotti chimici vietati in Italia ma
consentiti da leggi-deroga in altre nazioni) con le relative derrate
importate e quindi vendute legalmente nel nostro Paese. Ciò è scoraggiante.Ma
che mondo è, che modo di confronto commerciale si applica in Italia? Evidente
che è una guerra ad armi impari e la catastrofe agricola è sotto gli occhi di
tutti.
Perché per il contadino italiano c’è il
divieto di usare tale prodotto chimico (se nuoce alla salute è giusto che
lo si vieti) e poi si importano produzioni agricole, spagnole, canadesi o
americane che siano, trattate con quei prodotti vietati in Italia mentre le
nostre derrate marciscono sugli alberi, nei campi? ? E’ lecito? Che prodotti si
importano? Di che qualità? Perché non si usano identici parametri per
tutti?Questo è il modo, la maniera di tutelare il lavoro agricolo, la salubrità
alimentare, tutelare il consumatore e quindi la sua salute?
Aggiunti alla concorrenza sleale ed accanita
basata da agricolture industriali latifondiste, dallo sfruttamento della
manodopera, dalla mancanza di diritti civili porta a far sì che le aziende
agricole nostrane chiudano.
A questo punto il quadro è chiaro: è un
problema di scelte politiche, non di risorse (“stimolano “ le importazioni ed
affossano il prodotto nazionale).O peggio: scelte di politiche nazionali miopi
volute o dettate da imposizioni delle multinazionali, dai “poteri forti” e
quindi di scelte obbligate alla “loro” sottomissione, al “loro” asservimento?
Il reddito agricolo italiano, diminuisce
di anno in anno. Ad esempio l’11% in meno solo nel 2013. I ricavi dalle
vendite delle derrate non compensano minimamente i costi sostenuti per
produrle. Territori irrigui che prima erano interessati a colture di pregio
quali barbabietole da zucchero, pomidoro da industria, finocchi, produzioni
sotto le serre, etc. ora sono ricoperti da colture povere quali grano
duro, favino, pisello proteico, girasole se non addirittura incolte. Ed anche
qui entrano i costi alti delle gabelle dei consorzi di bonifica.
Ogni tre minuti un’azienda
agricola italiana chiude i battenti: o perché fallita o perché svenduta.
Nei tribunali, specialmente quelli del
Meridione, di elenchi ce ne sono. Basti pensare che tantissime
aziende nel Mezzogiorno, compreso il Molise, non sono più in “bonis” ben 700
mila su 980 mila. 700.000 aziende sono “incagliate” (con problemi di pagamento)
o in “sofferenza” (soggette a procedure concorsuali tipo fallimento,
liquidazione).Le colpe? Dello Stato, assente e per qualche verso folle,
istituzionalmente parlando, che da decenni non protegge il settore agricolo
nazionale con leggi e regolamenti seri, atte a tutelare le produzioni
nazionali; anzi barattato con tutto e dai tanti governi succedutisi
negli ultimi 25 anni.
Il “made in Italy”? Solo parole non
supportate da concretezze. Si parla ma non lo si tutela.
E’ di qualche settimana fa che (forse in
occasione dell’Expò 2015?), per bocca del ministro delle Politiche agricole
Martina, grazie ad un apposito decreto, è stata istituita la “Cabina di regia
sulla pasta” per promuovere e sostenere la competitività dell’intera filiera,
dalla produzione primaria del frumento fino alla trasformazione della pasta
attraverso l’incentivazione, lo stimolo e il supporto ad accordi di filiera tra
coltivatori di grano e produttori di pasta per il sostegno alle coltivazioni di
grano duro di qualità. Sarà la volta buona? Potrebbe essere altrettanto
per il comparto lattiero-caseario, per quello bovino, per quello suino, etc..?
Anche in Molise il Comitato agricolo
“Uniti per non morire”, nel suo piccolo, in modo costante, lo ribadisce da ben
5 anni; da ben 3 assessori regionali al ramo. Si è cercato di aprire
un tavolo di confronto, stimolando le Istituzioni regionali, per un
accordo di filiera tra cerealicoltori aggregati, mugnai, pastai e panificatori
della regione per ridare valore alla materia prima regionale attraverso la
produzione di paste e pani tradizionali ottenuti solo con grano locale. Inutilmente.
Scarso interesse privato o disinteresse pubblico? La realtà è che ad oggi nulla
c’è di concreto.
Diversamente, nella vicina Puglia,
la Regione si è fatta garante tra le parti, contribuendo nella
concretizzazione dell’accordo con qualche industria pastaia locale.
Per far in modo che il nostro Molise si
risvegli da questo lungo letargo, bisogna far sì che cresca anche l’indotto
agricolo. Il nostro territorio, la ricca biodiversità, il rispetto delle regole
e dell’ambiente, sono fondamentali a produrre la materia prima di qualità che
occorre affinché ciò possa avvenire.
Bisogna dare gli stimoli giusti,
indirizzi, regole da rispettare e coalizzazione.
L’industria di trasformazione locale di
conseguenza potrà così fregiarsi realmente dei suoi prodotti trasformati. Ci
saranno vantaggi, anche economici, per tutti. Solo così potranno unirsi la
tipicità legata alla regionalizzazione, la genuinità, la qualità, la salubrità
dei prodotti trasformati.
Valorizzazione che porterebbe ad un
connubio vincente tra il settore agricolo e quello agroalimentare e al
definitivo sviluppo del settore turistico.
Solo così il contadino con la sua terra,
la sua cultura e le sue tradizioni potrà e sarà in grado di svolgere in modo
completo il suo compito: la sostenibilità ambientale, la sovranità alimentare,
la dignità sociale e la difesa dell’occupazione. Caso contrario e di
esempi reali già ce ne sono, scenderanno in campo i ”prenditori”, e non
gli imprenditori, che compreranno a prezzi stracciati, le nostre
aziende. Quali? Criminalità organizzata, capitali finanziari e multinazionali.
I loro interessi? Sfruttamento delle
terre in modo scriteriato, senza rispetto per l’ambiente e vantaggi economici
immediati. Il resto non conta. Il “land grabbing”. Il “land grabbing” o
meglio l’accaparramento delle terre che, come un tarlo, ha già iniziato ad
entrare pure nella nostra regione. Fermiamolo: siamo ancora in tempo per farlo.
Come? Con una programmazione seria, reale e funzionante; calata sulle effettive
necessità e realtà del territorio.
Diversamente, entreremo anche noi
a far parte di quella grande schiera di emigranti ma, questa volta, in
casa nostra. Altri non aspettano che questo. Sta ad ognuno di noi
adoperarsi affinché ciò non avvenga.
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