Dossier “Trivella selvaggia” di Goletta Verde: nei mari italiani 70 nuove piattaforme petrolifere
Attualmente,
10.266 km2 di mare italiano sono oggetto di 19 permessi di ricerca petrolifera
già rilasciati
[ 30 luglio 2012 ] da Greenreport
Goletta
Verde ha presentato oggi a Trani il dossier "Trivella Selvaggia" che
punta i riflettori sulla minaccia delle estrazioni petrolifere e presenta i
numeri ed i rischi della ricerca dell'oro nero per le coste italiane, nel quale
si legge che «non accenna a fermarsi la corsa al petrolio in Italia e i pirati
dell'oro nero minacciano sempre di più il mare italiano. Nei mari del Belpaese
sono già attive 9 piattaforme di estrazione petrolifera ma, grazie ai colpi di
spugna normativi dell'ultimo anno, a partire da quello previsto dal recente
decreto Sviluppo promosso dal ministro Corrado Passera e in via di approvazione
definitiva dal Parlamento, si potrebbero aggiungere almeno altre 70 trivelle.
Attualmente, 10.266 km2 di mare italiano sono oggetto di 19 permessi di ricerca
petrolifera già rilasciati (gli ultimi due sono stati sbloccati il 15 giugno
scorso nel tratto abruzzese di Adriatico di fronte la costa tra Vasto e
Ortona); 17.644 km2 di mare minacciati da 41 richieste di ricerca
petrolifera non ancora rilasciate ma in attesa di valutazione e autorizzazione
da parte del Ministero dello Sviluppo Economico. In definitiva, tra aree già
trivellate e quelle che a breve rischiano la stessa sorte, si tratta di circa
29.700 kmq di mare, una superficie più grande di quella della regione
Sardegna».
I dati del
dossier sono stati elaborati sulla base dei numeri pubblicati sul sito del
ministero dello sviluppo economico, e secondo Legambiente «Indicano un quadro
allarmante che rischia di ipotecare seriamente il futuro del mare italiano e
delle attività economiche connesse, a partire dal turismo di qualità e dalla
pesca sostenibile, con rischi di incidenti che non vale la pena di correre, a
maggior ragione considerando i quantitativi irrisori presenti nei fondali
marini italiani».
Le 9
piattaforme petrolifere attive in Italia operano in base a concessioni che
riguardano 1.786 kmq di mare situate principalmente in Adriatico, a largo della
costa abruzzese, marchigiana, di fronte a quella brindisina e nel Canale di
Sicilia. Il dossier sottolinea che «A queste aree marine interessate dalle
trivelle se ne potrebbero aggiungere altre: attualmente le richieste e i
permessi per la ricerca di petrolio in mare riguardano soprattutto l'Adriatico
centro meridionale, il Canale di Sicilia e il mar Ionio (quest'ultimo è tornato
all'attenzione delle compagnie petrolifere dopo che nel 2011 una norma ad hoc
ha riaperto la strada alle trivelle anche nel golfo di Taranto), infine, un
ultimo permesso di ricerca rilasciato riguarda anche il golfo di Oristano in
Sardegna. Oltre a ciò, bisogna considerare che sui mari italiani gravano anche
7 richieste di estrazione di petrolio dove le fasi di ricerca hanno portato ad
un esito positivo (3 nel canale di Sicilia, 2 davanti alle coste abruzzesi, 1
di fronte alle Marche e 1 nel mar Ionio) e 3 istanze di prospezione (si tratta
della prima fase dell'iter autorizzativo, seguita da quella relativa alla
ricerca di petrolio ed poi da quella che porta alla sua estrazione) che
riguardano sostanzialmente tutto l'Adriatico da Ravenna al Salento, presentate
nel 2011 dall'inglese Spectrum Geolimited e dalla Petroleum Geo Service Asia
Pacific, con sede a Singapore, che rischiano di allargare di altri 45mila kmq
l'area del mare italiano battuta dalle navi delle compagnie in cerca di
petrolio. Riguardo il basso Adriatico, inoltre, si attende l'esito della
sentenza del Tar Lazio che si esprimerà sul ricorso proposto dalle associazioni
ambientaliste, tra cui Legambiente, discusso lo scorso 22 marzo,
sull'annullamento di ben due permessi di ricerca idrocarburi al largo delle
Isole Tremiti presentati dalla società Petroceltic Italia Srl».
Francesco
Tarantini, presidente di Legambiente Puglia, ha detto: «La Puglia dice un
chiaro e secco no alle trivelle. La nostra posizione rimane ferma, nonostante
le minacce costanti, le ultime delle quali risalgono al marzo ed al giugno
2011, quando la Spectrum Geolimited e la Petroleum Geo Service Asia
Pacific hanno avanzato nuove richieste di prospezione al inistero con l'intento
di estendere i loro interessi nel nord della costa pugliese, al largo del mare
della provincia di Andria, Barletta e Trani. A questo proposito, la richiesta
della Petroleum Geo Service Asia Pacific ha ricevuto il parere sfavorevole
della Regione Puglia, formalizzato con una delibera del 3 luglio scorso,
ricevendo anche il parere contrario di tutte le amministrazioni locali che si
affacciano sulla costa interessata dall'istanza di prospezione. Anche se il
parere degli enti locali non è vincolante ai fini del rilascio dei permessi di
prospezione, ricerca o coltivazione di idrocarburi in mare, la forte
opposizione è comunque un importante segnale per i ministeri competenti al
rilascio delle autorizzazioni necessarie, che ci auguriamo venga preso in
considerazione. Il mare è infatti un'importantissima risorsa non solo
ambientale ma anche economica per le comunità costiere, per questo è
prioritario tener conto del loro parere nel rilascio di nuove concessioni per
la ricerca e l'estrazione di petrolio. Continueremo a manifestare il nostro
dissenso e ci auguriamo che, come in Puglia, anche nelle altre regioni, il
coinvolgimento e la netta opposizione a nuove trivelle in mare da parte delle
amministrazioni locali diventi sempre più forte e contribuisca a fermare questi
progetti irrazionali».
I favori ai
petrolieri non si limitano solo al via libera alle trivelle bloccate due anni
fa, secondo Lehgambiente, «A questo si aggiunge anche l'irrisorio incremento
delle royalties, previsto e propagandato per supportare attività di
salvaguardia del mare e di sicurezza delle operazioni offshore da parte degli
enti competenti. Si passa infatti dall'attuale 4% al 7%, percentuali che fanno
sorridere rispetto a quelle praticate nel resto del mondo dove oscillano tra il
20% e l'80%. Si tratta di condizioni molto vantaggiose che ovviamente
richiamano nel nostro Paese molte compagnie straniere: delle 41 istanze per
permessi di ricerca attualmente in valutazione, infatti, solo 3 fanno capo a
compagnie italiane (2 ad Eni e 1 aEnel) mentre tutte le altre sono richieste
provenienti da società straniere».
Il Cigno
Verde da sempre afferma che «Continuare a puntare sull'energia fossile sia non
solo rischioso per l'ambiente e la salute dei cittadini ma anche un
investimento miope ed anacronistico. E poi il gioco non vale la candela, partendo
proprio dalle riserve accertate nel nostro Paese confrontate con i dati
relativi al consumo di petrolio che in Italia è diminuito, complice soprattutto
la crisi economica, ma anche i primi effetti delle politiche di efficienza.
Secondo l'Unione Petrolifera infatti, nel 2011 il consumo di petrolio è stato
di 72 milioni di tonnellate, mentre nel primo semestre 2012 viene evidenziato
un calo del 10% dei consumi (pari a 31,8 milioni di tonnellate) rispetto al
primo semestre 2011 (oltre 35 milioni di tonnellata). Le ultime stime del
Ministero dello Sviluppo Economico aggiornate a dicembre 2011 indicano come
certa la presenza nei fondali marini di solo 10,3 milioni di tonnellate
di petrolio che, ai consumi attuali, sarebberosufficienti per il fabbisogno
nazionale per sole 7 settimane. Non solo: anche attingendo al totale delle
riserve certe, comprese quelle presenti nel sottosuolo italiano, concentrate
soprattutto in Basilicata, nel complesso verrebbero consumate in appena 13
mesi. Questi dati dimostrano l'assoluta insensatezza del rilancio delle
attività estrattive previsto nella nuova Strategia energetica nazionale
prospettata dal ministro Passera, in cui uno dei pilastri sembra essere proprio
la spinta verso nuove trivelle volte a creare 15 miliardi di euro di
investimento e 25mila nuovi posti di lavoro. Un settore destinato ad esaurirsi
in pochi anni, come sostenuto dallo stesso ministero nel Rapporto annuale 2012
della sua Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche: "Il
rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi
cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas
e 14 per l'olio"».
Inoltre la
strategia energetica nazionale di cui si parla da tanto tempo è ancora in gran
parte ignota ma gli ambientalisti fanno notare che «Intanto l'impegno a
snellire le procedure e facilitare l'approvazione di nuovi permessi di ricerca
o di coltivazione nel mare italiano sembra essere andato avanti celermente.
L'ultima pericolosa falla aperta nella rete di protezione delle coste italiane
dai rischi di incidente da estrazione petrolifera è stata aperta dall'articolo
35 del decreto Sviluppo. Un provvedimento che da una parte aumenta a 12
miglia la fascia di divieto ma solo per le nuove richieste di estrazione di
idrocarburi a mare e dall'altra fa ripartire tutti i procedimenti autorizzatori
per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati
dal decreto legislativo 128/2010, approvato dopo l'incidente alla piattaforma
Deepwater Horizon nel golfo del Messico». Goletta Verde dice che «E' proprio
per questa folle novità normativa che nell'edizione 2012 di Goletta Verde
Legambiente ha deciso di assegnare la Bandiera nera al ministro Corrado
Passera, il poco ambito vessillo che consegniamo ai nuovi pirati del mare che
mettono a rischio il futuro del mare e delle coste del nostro Paese».
Stefano
Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente, spiega che «Sull'energia il
ministro Passera sta portando il nostro Paese in un vicolo cieco. Ha approvato
i nuovi decreti di incentivazione per il fotovoltaico e le altre rinnovabili
elettriche riempiendo il settore di burocrazia e paletti inutili e mettendo in
serio pericolo un settore strategico per ridurre la dipendenza dall'estero, le
emissioni di gas serra e inquinanti nonché per contribuire a far uscire il
nostro Paese dalla crisi. Nel frattempo, non ha ancora approvato il decreto
sulle rinnovabili termiche e non perde occasioni per dimostrarsi fautore del
passato energetico fondato sulle fossili, come ha dimostrato non solo sulla
riapertura alle vecchie richieste di trivellazioni di petrolio in mare ma anche
con il tentativo di tenere in vita impianti termoelettrici in stato comatoso
come le vecchie centrali a olio combustibile che andrebbero invece dismesse una
volta per tutte. Lo sviluppo economico e l'uscita dalla crisi passa per una
strada diversa, quella fondata sullo sviluppo delle rinnovabili e di serie
politiche di efficienza in tutti i settori, a partire da quello dei trasporti,
primo consumatore dei derivati del petrolio nel nostro Paese, che potrebbe
portare nei prossimi anni i nuovi occupati a 250 mila unità. Parliamo cioè di
numeri dieci volte superiori a quelli ottenuti grazie alle nuove trivellazioni
e soprattutto parliamo di garantire uno sviluppo futuro, anche sul piano
economico, sicuramente molto più sostenibile e duraturo dei soli 14 anni che ad
oggi sono propagandati con la paradossale rincorsa allo scarsissimo oro nero
made in Italy».
Commenti
Posta un commento