Il mondo del vino si gioca tutto
E’ necessario allargare la base produttiva, anziché ridurla. Per affrontare le nuove sfide, ci vogliono idee e progetti mirati. E uno stop alle mode. Se al Vinitaly ci si è galvanizzati per il successo dell’export, in realtà occorre far ritornare il vino bevanda di tutti i giorni nel mercato interno. In poco più di trent’anni si è ridotto di due terzi il consumo pro capite degli italianidi Pasquale Di Lena
Avere fiducia e sperare è una risorsa straordinaria per andare avanti. Pensare positivo è una forza per non cedere al primo ostacolo, ma soprattutto per sopportare i momenti difficili come sono quelli che vive il mondo dalle patacche e dalle bolle scoppiate nel 2008.
È importante sapersi piegare come il giunco quando c’è la piena per poi risollevarsi al primo sole. Senza, però, esagerare.
Mantenere i piedi per terra e avere sempre chiara la strada che serve per raggiungere i traguardi possibili da raggiungere, senza illusioni che possono diventare fonti di errori difficili poi da recuperare. In pratica, evitare di fare come fanno i governi che stanno pagando la crisi a caro prezzo che, con i loro esperti, un giorno sì e un giorno no, parlano di ripresa e a furia di praticare questo gioco non fanno altro che rendere più pesante la crisi e più lontana la sottolineata ripresa, se mai ci sarà nel momento in cui si continua a portare avanti uno sviluppo che si basa tutto sul depauperamento del pianeta con la distruzione delle sue risorse.
Il mondo del vino, dopo il grande incontro annuale del Vinitaly di qualche giorno fa, deve evitare di cadere nelle contraddizioni dei governi occidentali, il nostro in particolare, e avere il quadro della situazione ben chiaro. Cosa possibile solo se si torna alla programmazione delle azioni che servono per allargare la base produttiva e non ridurla; per affrontare le nuove sfide con idee e progetti mirati e non seguendo le mode che, come si sa, vanno e vengono; se si ha ben presente quello che offre oggi e in prospettiva il mercato, che ha bisogno di essere incalzato e non lasciato alla spontaneità come è successo e, putroppo, continua a succedere.
A partire dal mercato interno che – lo dimostra il dato a caduta libera dei consumi – sta perdendo, per mancanza di una visione complessiva ridotta da tempo a spicchi, masse di consumatori e, con esse, la quotidianità del vino, che, non è solo un valore economico, ma anche sociale e culturale per un prodotto da sempre fedele compagno dell’uomo. Non importa se re o povero, colto o ignorante.
In questo modo, in poco più di trent’anni si è ridotto di due terzi il consumo pro capite degli italiani a vantaggio di altre bevande, alcune delle quali hanno già preso possesso della quotidianità con l’offerta da parte delle aziende produttrici, che hanno capito il valore della consuetudine, di confezioni da litro per la tavola.
Una verità, tant’è che la vecchia tovaglia a quadrettoni rossi e bianchi, con al centro il fiasco, la bottiglia o il bottiglione, è già un lontano ricordo.
Stante a questo stato di abbandono della quotidianità con l’industria di bevande alternative che va a prendere il posto a tavola lasciato libero dalle scelte del mondo del vino, c’è da aspettarsi che la situazione continui a precipitare, lasciando alla sola esportazione le speranze del settore che, come ci hanno fatto capire gli echi che sono rimbalzati dall’ultimo Vinitaly di Verona, si sono trasformate in un grido di soddisfazione.
Una esportazione lasciata nelle mani di pochi e, nella generalità dei casi, frutto di improvvisazione, un male che crea concorrenze e sovrapposizioni perdenti nel tempo, se è vero che si scelgono i mercati che vanno di moda e si trascurano quelli che hanno potenzialità enormi da esprimere. Mercati, questi, che hanno forte bisogno di attenzione e, soprattutto, di strategie adeguate di marketing, a partire dalla comunicazione, che quasi sempre viene sottovalutata per la fretta di cogliere i risultati subito, senza la calma di aspettare.
Si paga la mancanza di una regia istituzionale e di una cultura, quella delle sinergie, per la semplice ragione che quei pochi che contano riescono comunque a fare i loro affari e non vogliono che altri si approprino di risultati che sentono esclusivi.
Il dato che il 94% degli 87 milioni di euro del budget stanziato lo scorso anno da Bruxelles si sia riversato su due Paesi, Usa (67%) e Canada (27%), sta a dimostrare quanto abbiamo prima affermato, ciò che dà il senso di una miopia che è quella poi che porta a mostrare gli entusiasmi che sono rimbalzati da Verona.
I dati dell’export sono certamente esaltanti e registrano, con 22 milioni di ettolitri di vino collocati su vecchi e nuovi mercati e un valore vicino ai 4 miliardi euro, il grande primato dell’Italia. Ma se questo risultato positivo appaga e non lascia pensare alle potenzialità che sono da fare esprimere a un mondo che ha bisogno di vino, rischia di produrre l’effetto boomerang, soprattutto perché non porta a operare per una sua introduzione su un mercato dove c’è un consumatore che deve adattarsi al gusto di questa antica bevanda-alimento.
C’è, invece, la necessità di pensare a come rendere questo nuovo consumatore un abituale amico del vino e fargli vivere il piacere della quotidianità e il gusto della sua capacità di adattarsi alle pietanze per renderle ancor più appetitose. Un’attenzione che rende ancora più facile e ricco l’approccio con il consumatore abbiente e colto, sempre più viaggiatore e, come tale, posto in condizione di conoscere il vino, che ha le possibilità e la voglia di avere e bere i grandi vini e di gustare la grande cucina italiana sulla scia dei successi della dieta mediterranea. In particolare, il suo riconoscimento di patrimonio dell’umanità con un’immagine esaltante, ricca di risvolti culturali che premiano i mille territori italiani vocati alla produzione delle eccellenze Dop e Igp, o Doc e Docg, li salvano, spesso, dall’aggressione del cemento che è espressione di avidità più che di necessità.
Se si ha cura del consumatore e del valore della quotidianità con la offerta - cosa possibile oggi - di un vino che ha un giusto rapporto qualità-prezzo, aumentano le possibilità di conquistare il consumatore esigente di immagine e di peculiarità, che il vigneto Italia è in grado di dare ovunque con la sua ricca biodiversità e diversità di territori, le capacità dei nostri bravi tecnici e la professionalità dei produttori.
In pratica, una fava per due piccioni e, con essi, il rilancio certo della viticoltura senza il pensiero della prossima liberalizzazione dei vigneti, ma solo della sua attesa per arricchire il territorio di ambienti e di paesaggi, che sono sempre più fonti importanti di quel turismo di qualità di cui ha forte bisogno il nostro Paese per rilanciare la competitività in questo campo e risalire le posizioni perse in questi anni, per supponenza e stupidità.
di Pasquale Di Lena
Avere fiducia e sperare è una risorsa straordinaria per andare avanti. Pensare positivo è una forza per non cedere al primo ostacolo, ma soprattutto per sopportare i momenti difficili come sono quelli che vive il mondo dalle patacche e dalle bolle scoppiate nel 2008.
È importante sapersi piegare come il giunco quando c’è la piena per poi risollevarsi al primo sole. Senza, però, esagerare.
Mantenere i piedi per terra e avere sempre chiara la strada che serve per raggiungere i traguardi possibili da raggiungere, senza illusioni che possono diventare fonti di errori difficili poi da recuperare. In pratica, evitare di fare come fanno i governi che stanno pagando la crisi a caro prezzo che, con i loro esperti, un giorno sì e un giorno no, parlano di ripresa e a furia di praticare questo gioco non fanno altro che rendere più pesante la crisi e più lontana la sottolineata ripresa, se mai ci sarà nel momento in cui si continua a portare avanti uno sviluppo che si basa tutto sul depauperamento del pianeta con la distruzione delle sue risorse.
Il mondo del vino, dopo il grande incontro annuale del Vinitaly di qualche giorno fa, deve evitare di cadere nelle contraddizioni dei governi occidentali, il nostro in particolare, e avere il quadro della situazione ben chiaro. Cosa possibile solo se si torna alla programmazione delle azioni che servono per allargare la base produttiva e non ridurla; per affrontare le nuove sfide con idee e progetti mirati e non seguendo le mode che, come si sa, vanno e vengono; se si ha ben presente quello che offre oggi e in prospettiva il mercato, che ha bisogno di essere incalzato e non lasciato alla spontaneità come è successo e, putroppo, continua a succedere.
A partire dal mercato interno che – lo dimostra il dato a caduta libera dei consumi – sta perdendo, per mancanza di una visione complessiva ridotta da tempo a spicchi, masse di consumatori e, con esse, la quotidianità del vino, che, non è solo un valore economico, ma anche sociale e culturale per un prodotto da sempre fedele compagno dell’uomo. Non importa se re o povero, colto o ignorante.
In questo modo, in poco più di trent’anni si è ridotto di due terzi il consumo pro capite degli italiani a vantaggio di altre bevande, alcune delle quali hanno già preso possesso della quotidianità con l’offerta da parte delle aziende produttrici, che hanno capito il valore della consuetudine, di confezioni da litro per la tavola.
Una verità, tant’è che la vecchia tovaglia a quadrettoni rossi e bianchi, con al centro il fiasco, la bottiglia o il bottiglione, è già un lontano ricordo.
Stante a questo stato di abbandono della quotidianità con l’industria di bevande alternative che va a prendere il posto a tavola lasciato libero dalle scelte del mondo del vino, c’è da aspettarsi che la situazione continui a precipitare, lasciando alla sola esportazione le speranze del settore che, come ci hanno fatto capire gli echi che sono rimbalzati dall’ultimo Vinitaly di Verona, si sono trasformate in un grido di soddisfazione.
Una esportazione lasciata nelle mani di pochi e, nella generalità dei casi, frutto di improvvisazione, un male che crea concorrenze e sovrapposizioni perdenti nel tempo, se è vero che si scelgono i mercati che vanno di moda e si trascurano quelli che hanno potenzialità enormi da esprimere. Mercati, questi, che hanno forte bisogno di attenzione e, soprattutto, di strategie adeguate di marketing, a partire dalla comunicazione, che quasi sempre viene sottovalutata per la fretta di cogliere i risultati subito, senza la calma di aspettare.
Si paga la mancanza di una regia istituzionale e di una cultura, quella delle sinergie, per la semplice ragione che quei pochi che contano riescono comunque a fare i loro affari e non vogliono che altri si approprino di risultati che sentono esclusivi.
Il dato che il 94% degli 87 milioni di euro del budget stanziato lo scorso anno da Bruxelles si sia riversato su due Paesi, Usa (67%) e Canada (27%), sta a dimostrare quanto abbiamo prima affermato, ciò che dà il senso di una miopia che è quella poi che porta a mostrare gli entusiasmi che sono rimbalzati da Verona.
I dati dell’export sono certamente esaltanti e registrano, con 22 milioni di ettolitri di vino collocati su vecchi e nuovi mercati e un valore vicino ai 4 miliardi euro, il grande primato dell’Italia. Ma se questo risultato positivo appaga e non lascia pensare alle potenzialità che sono da fare esprimere a un mondo che ha bisogno di vino, rischia di produrre l’effetto boomerang, soprattutto perché non porta a operare per una sua introduzione su un mercato dove c’è un consumatore che deve adattarsi al gusto di questa antica bevanda-alimento.
C’è, invece, la necessità di pensare a come rendere questo nuovo consumatore un abituale amico del vino e fargli vivere il piacere della quotidianità e il gusto della sua capacità di adattarsi alle pietanze per renderle ancor più appetitose. Un’attenzione che rende ancora più facile e ricco l’approccio con il consumatore abbiente e colto, sempre più viaggiatore e, come tale, posto in condizione di conoscere il vino, che ha le possibilità e la voglia di avere e bere i grandi vini e di gustare la grande cucina italiana sulla scia dei successi della dieta mediterranea. In particolare, il suo riconoscimento di patrimonio dell’umanità con un’immagine esaltante, ricca di risvolti culturali che premiano i mille territori italiani vocati alla produzione delle eccellenze Dop e Igp, o Doc e Docg, li salvano, spesso, dall’aggressione del cemento che è espressione di avidità più che di necessità.
Se si ha cura del consumatore e del valore della quotidianità con la offerta - cosa possibile oggi - di un vino che ha un giusto rapporto qualità-prezzo, aumentano le possibilità di conquistare il consumatore esigente di immagine e di peculiarità, che il vigneto Italia è in grado di dare ovunque con la sua ricca biodiversità e diversità di territori, le capacità dei nostri bravi tecnici e la professionalità dei produttori.
In pratica, una fava per due piccioni e, con essi, il rilancio certo della viticoltura senza il pensiero della prossima liberalizzazione dei vigneti, ma solo della sua attesa per arricchire il territorio di ambienti e di paesaggi, che sono sempre più fonti importanti di quel turismo di qualità di cui ha forte bisogno il nostro Paese per rilanciare la competitività in questo campo e risalire le posizioni perse in questi anni, per supponenza e stupidità.
di Pasquale Di Lena
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