Mondo del vino in allerta. Alcune utili riflessioni per risollevarsi dalla crisi
Si è pigiato troppo il piede sull’acceleratore del prezzo, esagerando; ma il consumatore, appena ha potuto, ha punito con la disaffezione. I cambiamenti non sono stati colti, ma solo subiti. L'analisi di Pasquale Di Lena
di Pasquale Di Lena
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Chiusa la vendemmia e, di fronte ai risultati dello scorso anno, incassato un segno “meno” per quanto riguarda la quantità, e un segno “più” per la qualità dei nostri vini; consolati dal dato che le bollicine italiane, alla distanza, hanno battuto quelle francesi, c’è da riflettere sulla crisi che vive il mondo del vino e, purtroppo, tutti i comparti della nostra agricoltura.
La crisi globale dell’economia è, di sicuro, una ragione importante della crisi del comparto, ma non la sola, visto che non mancano le colpe di un mondo che, troppo a lungo ha pensato di avere (scusate il gioco delle parole) il mondo in mano, pigiando troppo il piede sull’acceleratore del prezzo, fino alla presunzione, che il consumatore, appena ha potuto, ha punito con la disaffezione.
La presunzione della qualità come riserva di caccia di pochi eletti (aziende e territori) e non come un leitmotiv del vino, per dare ad esso quella immagine, che ha sempre avuto, di accompagnare i pasti quotidiani e di essere tutti i giorni sulla tavola del consumatore.
Sappiamo bene che c’è subito chi ci vuole ricordare che sono cambiate profondamente le abitudini delle famiglie e del consumatore per le mille ragioni che la società dei consumi esprime da tempo, anche se sempre più con grandi difficoltà. Una serie di elementi a noi ben noti che ci permettono comunque di sviluppare il nostro ragionamento, per esempio quello di non aver utilizzato, ma solo subiti, questi cambiamenti.
E’ fuori luogo pensare alla conflittualità dell’interprofessione e delle Unioni e Federazioni dove convivono interessi contrapposti, che vedono vincenti quelli delle bevande industriali su quelli della bevanda vino? O, anche, alla perdita del ruolo di un mondo, quello cooperativo, soprattutto del Mezzogiorno d’Italia, che non ha saputo, non dico prima, ma neanche dopo, trovare una soluzione alla fine, imposta dal mercato, di essere serbatoio dell’industria vitivinicola delle regione del Centro Nord? E perche no, alla perdita di una grande opportunità della vitivinicoltura meridionale di rendere questi vini, nel rispetto di un giusto rapporto qualità-prezzo, uno strumento di grande penetrazione sui mercati? Soprattutto quelli nuovi, vissuti da qualche miliardo di potenziali consumatori, superando la timidezza e i ritardi con cui ci si è rapportati con questi mercati, dove il consumatore non conosce il vino?
Parliamo di masse di consumatori, e non solo di una elite, che, grazie alle possibilità finanziare e a quelle di essere in giro per il mondo, il vino già lo conosce e lo beve.
Educare questi consumatori al vino è cosa non facile, ma non impossibile, se si ha voglia di mettere in campo tutte le azioni che li possono avviare all’uso del vino, partendo dalle tipologie di vino che, meglio di altre, possono rendere questo passaggio il più naturale possibile e, per di più, vissuto anche con entusiasmo.
In parole semplici abituare questi consumatori, abituati a bere bevande gassate, a vivere il vino che richiama queste bevande, e dare ad esso la cultura che il vino esprime e le tradizioni espresse dall’origine.
Bastava ripetere la penetrazione negli anni ’80 del mercato americano, per capire i vantaggi che si possono avere, visto che negli Usa il consumo di vino è aumentato in questi anni e va bene, da azioni di marketing studiate e mirate.
Mercati che potevano già compensare le perdite di consumo in Italia e nel vecchio mondo, anche se continuare solo a registrare queste perdite si rischia di renderle prima croniche e poi definitive.
C’è chi addebita la crisi al fatto che la produzione ha superato la domanda di vino. Per quanto ci è dato ricordare, questo aspetto è una costante del mondo del vino italiano ed europeo, ieri frutto di politiche errate e oggi di comportamenti sbagliati del mondo del vino.
Gli ultimi dati parlano di un ulteriore calo dei consumi che tocca, non a caso, il vino comune e quello delle Igt, cioè la massa dei consumatori: ciò che vuol dire la quotidianità del vino, la tavola che, se oggi non mette a disposizione il pranzo, offre la cena che altre bevande accompagnano e non il vino, e ciò per non aver dato a questa massa di consumatori garanzie di qualità e di un adeguato rapporto qualità-prezzo.
Un mondo che, a un certo punto, spinto dalle guide e dalle riviste specializzate, che hanno deciso le scelte anche della ristorazione, oltre che del consumatore, è letteralmente impazzito portando alle stelle i prezzi e, per di più, pensando solo a un gruppo di consumatori.
Una malattia che ancora dura e dalla quale il mondo del vino non sembra, per ora, in grado di liberarsi.
Per anni si è parlato di educare il consumatore, in particolare i giovani, ma se si toglie l’iniziativa “Vino e Giovani”, promossa dall’Enoteca Italiana e dal Ministero delle Politiche agricole, quale altra grande iniziativa è stato portata avanti dal mondo del vino? Poche e per di più sporadiche, riducendo “Vino e Giovani” a un goccia nel mare.
Resta una priorità, fondamentale per noi, far riprendere al vino il suo cammino di bevanda che accompagna l’uomo; si lega ai piatti di una cucina per dare ad essi cultura e sapori; che offre storie e voglia di dialogare; mette in campo identità che il territorio esprime, se si vogliono rilanciare i consumi e bloccare le perdite dovute anche alle misure di prevenzione dell’alcolismo.
Informare e educare il consumatore deve diventare una costante delle azioni delle istituzioni e dei produttori, la base per uscire dalla crisi dei consumi e per affrontare le sfide del mercato. Un mercato globale che, per quello che ci è dato capire, mette a disposizione due strade, quella dove passa la quantità e, con essa, anche la qualità espressa dalle nuove tecnologie, e quella dove passa la peculiarità, espressa da un territorio e da un produttore, che una parte crescente di consumatori si può permettere, ciò che fa capire che bisogna insistere su questa strada ma con una dose di umiltà che, negli ultimi tempi, è venuta a mancare.
Continuare a volere escludere la prima strada aggrava la crisi e il rischio è di renderla ancor più strutturale nel breve tempo.
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