W LE RANE
se uno passa per il nuovo parcheggio, nato vecchio, del centro storico, subito dopo il calar della sera, gli viene di cantare, parafrasando una stupenda canzone dialettale larinese, “E’bballe pa peschiere è nate n’armonia ruospe e ranocchie vanne ‘mpazziie ca se vonne marità”. Un coro di rane, un gracidare, con toni così alti, che non avevamo mai sentito prima, né al cigno né al fiume, e, neanche nelle pozzanghere dei tanti rivoli e valloni che segnano il territorio larinese. Non sappiamo se è la peschiera che amplifica questo canto, unico e monotono, delle rane, come si sa animali anfibi, cioè capaci di stare a lungo nell’acqua e di respirare all’aperto, su una ninfea che affiora con il suo fragile fiore; oppure è quel luogo stupendo, l’inizio del valloncello, che ci riporta lontano nel tempo. All’orto di zia Adelina, al fuso di zia Loreta e, quasi ultimo, all’orto di zio Eugenio e agli oliveti dei Cristinziani e, poco più in alto, dei Galuppi ad ombreggiare le erbe officinali di Don