Un piano di pace che sa di resa

di Umberto Berardo
Dunque la montagna ha partorito il secondo topolino. Dopo quello per Gaza dall’agenzia Axios abbiamo avuto il 21 novembre ’25 un piano di pace per l’Ucraina diffuso dal presidente degli Stati Uniti d’America. Scritto a fine ottobre dal responsabile dell’amministrazione statunitense Steve Witkoff con il contributo del segretario di Stato Marco Rubio e del genero di Donald Trump, è stato poi discusso con l’inviato speciale del governo russo Kirill Dmitriev. Appare un po’ grottesco che chi come il presidente americano riempie di armi il Pianeta possa adesso passare alla storia come la figura del pacificatore. Il testo in 28 punti nella prima stesura molto schematicamente prevede una definizione non proprio chiara e anzi assai discutibile delle tante questioni aperte. C’è la conferma della sovranità per l’Ucraina che dovrà rimanere tuttavia neutrale e per la quale è previsto un Fondo per lo Sviluppo, un impegno di non aggressione reciproca tra Russia, Ucraina e Paesi europei, un dialogo tra Russia e Nato con la mediazione USA per garantire la de-escalation e la sicurezza globale, una sottoscrizione dell’Ucraina di non entrare nella Nato di cui non potrà avere neppure truppe sul suo territorio, il rientro della Russia nel G8 e la sua reintegrazione nell’economia globale, la messa in funzione della centrale nucleare di Zaporizhzhia sotto la supervisione dell'Aiea ma con l'elettricità prodotta e distribuita equamente al 50% tra Russia e Ucraina, il riconoscimento di fatto anche dagli Stati Uniti come territorio russo di Crimea, Luhansk e Donetsk; si prevede anche che l'Ucraina possa entrare nell’Unione Europea, debba tenere elezioni entro 100 giorni, impegnarsi alla protezione delle minoranze linguistiche. ridurre le sue forze armate a non più di seicentomila unità senza sistemi d’arma a lungo raggio e ritirarle comunque al di là dell'Oblast di Donetsk in una fascia cuscinetto neutrale e demilitarizzata riconosciuta internazionalmente come territorio appartenente alla Federazione Russa; si riconosce infine la piena amnistia alle parti coinvolte per le loro azioni durante la guerra e si stabilisce la creazione di un Consiglio per la pace presieduto dal Presidente Donald Trump per monitorare l’attuazione del piano di pace. Secondo l’agenzia Reuters gli Stati Uniti avrebbero inizialmente imposto a Zelensky di accettare l’accordo di pace da loro mediato con la Russia entro giovedì 27 novembre minacciando diversamente d’interrompere ogni aiuto militare o di intelligence. In sintesi questo piano di pace avalla l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, riconosce a quest’ultima le conquiste territoriali eliminando ogni rischio di responsabilità giudiziaria e finanziaria mentre per la prima sono fissate condizioni davvero pesanti di sovranità limitata con la neutralità, la perdita di territori e le capacità difensive praticamente circoscritte con la smilitarizzazione. Si ricalcano fondamentalmente i criteri del format per Gaza riconoscendo la prepotenza della forza militare e calpestando il diritto internazionale che dovrebbe garantire ogni Stato nell’indipendenza, nella libertà e nell’autodeterminazione certamente in ogni caso con il rispetto delle minoranze e degli immigrati. Siamo davanti a un progetto assai discutibile per diversi motivi: ha ignorato le grandi organizzazioni internazionali come l’ONU, ha escluso nella sua predisposizione uno dei due contendenti e ha dimenticato l’Unione Europea mai coinvolta nelle trattative, viene presentato da due autocrati e costituisce per ora un’umiliazione per il popolo ucraino la cui sovranità rimane parziale e puramente formale per diversi aspetti quali la mancanza di piena libertà e autodecisione nelle scelte. Non credo dunque possa essere accettato nella sua attuale stesura perché si delineano compromessi molto pericolosi per il futuro della comunità internazionale e si immagina semplicemente una resa dell’Ucraina subordinando una finta pace alle imposizioni derivanti dalla violenza e dalla sopraffazione. Sarebbe il caso di ricordare, come per Il trattato di Versailles del 1919 dopo la prima guerra mondiale, che quando un piano di pace è stato fondato sull’umiliazione degli sconfitti nella storia ciò in genere ha determinato sempre rancori e vendette. In realtà è indubitabile che dietro la finzione della ricerca di una pace senza equità, giustizia e rispetto della dignità dei popoli s’intravvedono i desideri egoistici delle grandi potenze sulle terre rare e gli immensi giacimenti di ferro, titanio, litio e carbone come per gli impianti siderurgici e metallurgici del Donbass. Appare evidente che da russi e americani gli affari vengono posti al di sopra dei diritti. Dietro la politica di autocrati come Trump, Putin o Xi Jinping poi si nascondono le logiche di spartizione delle cosiddette zone d’influenza sul piano commerciale e geopolitico che stanno portando a tentativi neppure ancora dissimulati di destabilizzazione non solo di molti Stati ma ormai sempre più chiaramente della stessa Unione Europea. Siamo davanti a una ridefinizione assai discutibile del quadro politico mondiale! Leggendo i 28 punti del piano di pace dobbiamo prendere atto che la guerra in Ucraina non è scoppiata come molti pensano solo per la difesa delle popolazioni russofone del Donbass, le quali certo dovevano essere tutelate come prevedevano gli accordi di Minsk del 2014, ma anche e forse soprattutto per ragioni più profonde e molto mascherate quali le mire imperialistiche di Putin che già in precedenza si erano manifestate politicamente nella manipolazione delle elezioni in Georgia, Moldavia, Cecenia, Crimea, Siria e Africa ma anche direttamente con interventi militari. Secondo altri analisti ci sarebbero poi le responsabilità della NATO che avrebbe costruito e allargato posizioni conflittuali sul territorio di Stati dell’Europa orientale, ma di sicuro c’è stato e continua il silenzio sulle articolate operazioni russe di destrutturazione della democrazia nelle repubbliche Baltiche, in Moldavia, in Georgia, nella stessa Ucraina e perfino in Paesi dell’Europa Occidentale. È del tutto palese che occorra mettere fine a una guerra la quale ha visto finora centinaia di migliaia di morti tra civili e militari, tuttavia a una pace vera non si può arrivare da criteri d’imposizione quanto piuttosto da trattative tra le parti in conflitto coordinate da organizzazioni internazionali che nella fattispecie, almeno finora, sono state invece completamente ignorate. Se dunque siamo davanti a una bozza di trattativa capace di giungere a una tregua per avviare un confronto, l’iniziativa in corso può avere una funzione; se al contrario, come sembra, Trump vuole imporre dei diktat, allora credo che il percorso per la pace sarà ancora tortuoso e continuerà a seminare bombardamenti, morte e distruzione. Alcune agenzie ci hanno informato che diversi esponenti politici dell’Unione Europea avrebbero subito criticato il piano di pace di Trump rimarcando che in sede di negoziazione non si possono estromettere Bruxelles e Kiev. Sarebbero emerse al riguardo perplessità perfino tra gli esponenti del partito repubblicano negli USA. I Paesi del Vecchio Continente hanno poi pensato a una proposta di pace alternativa. Il problema è che, nell’incapacità di rafforzarsi e di dare origine agli Stati Uniti d’Europa, le divisioni politiche interne rendono l’UE sempre più debole e senza un ruolo riconosciuto a livello internazionale. Incalzato da molti Paesi occidentali, sabato sera 22 novembre ’25 Trump, con una dichiarazione un po’ confusa come nel suo stile, è tornato sui suoi passi ed ha annunciato che il testo del piano di pace non è definitivo e dunque potrebbe essere emendabile dalle parti coinvolte; ha annullato anche l’obbligo per Zelensky di comunicare l’accettazione del piano entro giovedì 27 novembre. Domenica 23 novembre ’25 a Ginevra in Svizzera si è avuto un incontro Ue-Usa-Kiev mentre a Johannesburg nell’incontro del G20 i leaders europei hanno cercato con urgenza di stabilire una linea comune incontrandosi poi lunedì 24 novembre ’25 per definire eventuali controproposte mentre la cosiddetta “coalizione dei volenterosi” che sostiene l’Ucraina ha tenuto una videochiamata per un confronto. Diversi i punti alternativi che circolano già nelle proposte europee provenienti dal summit di Ginevra: è prioritario giungere subito a una tregua; i confini tra gli Stati non possono essere modificati con la forza; non è accettabile la limitazione imposta alla consistenza delle forze armate ucraine né si può impedire a quel popolo di fare scelte libere di alleanza o d’inserimento in associazioni organizzazioni internazionali; l’Ucraina dev’essere risarcita e ricostruita anche con il fermo dei beni sovrani russi congelati a garanzia proprio di un indennizzo per i danni di guerra. I Paesi europei non rifiutano il piano di pace proposto inizialmente, tuttavia chiedono con alcune sfumature ma speriamo in maniera compatta che si preveda l’integrità territoriale e la piena sovranità dell’Ucraina, la sicurezza per la stabilità europea e una pace giusta e duratura. Dopo il piano della disfatta per l’Ucraina e della destabilizzazione dell’Unione Europea si è aperta dunque a Ginevra in un piano ridotto a 19 punti la possibilità di ridare spazio alla trattativa e alla diplomazia auspicando di definire soluzioni razionali per porre fine alla guerra, ma anche per eliminare la convinzione che l’Ucraina o qualsiasi altro Stato possano diventare territorio di spartizione delle grandi potenze mondiali. Mentre l’Unione Europea e soprattutto l’Ucraina lavorano a emendamenti capaci di costruire una base per il rispetto della dignità di tutti i popoli, la Russia insiste per mantenere le intese raggiunte tra Trump e Putin sostenendo che con Kiev non si deve assolutamente negoziare. L’idea di un piano di pace va in ogni caso accolta augurandoci che non siamo davanti a tattiche dilatorie per continuare i bombardamenti, ma essa va definita non secondo i criteri del profitto e degli affari quanto in linea con le logiche del diritto internazionale, Rimane ancora il problema del coinvolgimento delle popolazioni coinvolte rispetto a una possibile soluzione di questa assurda e tragica guerra. Se essa è nata per la difesa dei diritti delle popolazioni russofone del Donbass, troviamo allora le soluzioni adeguate al problema senza a mio avviso sostenere i desideri imperialistici di Putin che esulano dalla questione aperta nel 2014 e portano invece al rafforzamento dell’oligarchia e alla sopraffazione dei deboli. Il popolo ucraino, vittima della corruzione e dell'inefficienza politica interne che lo hanno portato ad avallare errori molto gravi dei suoi governi, ha sicuramente delle responsabilità nello scoppio della guerra, ma, come ho scritto di recente, ora è vittima soprattutto dell'imperialismo e della logica della forza esterna che nel nostro silenzio corresponsabile stanno pian piano cancellando il diritto internazionale. Poiché gli ucraini non sono figli di un Dio minore, credo vadano tutelati nei loro diritti, accompagnati in un percorso di democrazia reale e partecipata, ma comunque difesi nella libertà e nella piena indipendenza. Per essere efficace e giusto un piano di pace deve trovare un delicato equilibrio tra le necessità di sicurezza della Russia, la garanzia dei diritti delle popolazioni russofone ovunque esse vivano, l’esigenza d’integrità territoriale e di autodeterminazione dell'Ucraina e le richieste di stabilità delle nazioni europee. Ero e sarò tra quanti sono scesi in piazza e continueranno a farlo per fermare il genocidio di Gaza condannando la politica di Netanyahu, ma vorrei che in spirito di libertà di pensiero e di verità si rimarcassero gli errori della classe dirigente ucraina come la mentalità autocratica, liberticida e antidemocratica di Putin operando perché entrambi i popoli siano indirizzati verso una società libera, giusta e democratica. Se siamo dunque intervenuti finalmente e lodevolmente sulla questione palestinese perché consideriamo la guerra un atto disumano, non possiamo rimanere indifferenti rispetto a situazioni analoghe che avvengono in altri territori. Il silenzio di questi giorni rispetto ai bombardamenti russi anche sulla popolazione civile lascia molto amareggiati. Impegnare le parti coinvolte nella guerra in una trattativa per la pace si può e si deve fare mettendo a tacere le armi. Credo che il rispetto della vita umana non possa mai giustificare chi ricorre alla violenza per negare diritti altrui o peggio ancora per sopraffare e uccidere. Attivarsi allora per giungere a una pace reale senza interessi e finzioni è quantomai opportuno!

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