Sinodo: tanto impegno, poca svolta reale


 


di Umberto Berardo



Dopo quelle del novembre 2024 e dell’aprile scorso che avevano visto profonde spaccature su

diverse questioni affrontate nel cammino sinodale voluto da papa Francesco al punto di giungere al

ritiro del testo conclusivo per evitarne la bocciatura, la terza assemblea, tenutasi a Roma il 25

ottobre 2025, ha approvato con 781 voti favorevoli e 28 contrari su 809 votanti il documento

intitolato “Lievito di pace e di speranza” che raccoglie il lavoro di quattro anni delle chiese

diocesane ed è costituito da centoventiquattro proposte che dovrebbero servire a rinnovare la

Chiesa.

Anche in questa occasione non sono mancate critiche e opposizioni anche con voti contrari

soprattutto per le parti riguardanti iniziative su Lgbt, convivenze e unioni civili, condizione e ruolo

dei laici come delle donne nella Chiesa, stipendi ai collaboratori e un ipotetico ministero della cura,

dell’ascolto e dell’accompagnamento.

Qualcuno ha scritto che dal Sinodo uscirebbero rafforzati gli organismi di partecipazione a

cominciare dai Consigli Pastorali la cui obbligatorietà e le cui modalità costitutive vengono invece

ancora rimandate a decisioni future della CEI.

Il cardinale Matteo Zuppi dopo l’approvazione del documento ha spiegato che “è ora compito dei

pastori assumere tutto, individuare priorità, coinvolgere forze vecchie e nuove per dare corpo alle

parole collegialità e sinodalità. La prossima Assemblea generale della Cei avrà proprio la

discussione su questo documento come tema portante”.

C’è da chiedersi in questa assunzione di compiti decisionali dei pastori quale sarà invece il ruolo

dei laici.

Il prelato ha anche precisato che il percorso sinodale “ci aiuta a proteggere la Chiesa dal penoso

protagonismo individuale, dall’esibizione delle proprie originalità, da un pensiero stantio ridotto a

ideologia, ben diverso dal mettere a servizio tutto se stessi e dal camminare con responsabilità e

passione assieme”.

Sono affermazioni chiare dirette a quanti cercano con presunzione, senza grande umiltà e spirito

di servizio di indicare vie nuove nel percorso di corresponsabilità decisionale dentro la comunità

ecclesiale.

Solo che nella Chiesa sono anche tanti i laici che mettono a disposizione il proprio impegno con

modestia, spirito di servizio ma anche senza rinuncia a proposte di cambiamento utili alla

costruzione di una ricchezza relazionale tra clero e laicato.

Dopo anni di lavoro con elaborazioni di proposte concrete sul tema della sinodalità non nascondo

la mia grande delusione dopo la lettura del documento conclusivo “Lievito di pace e di speranza”;

io vi leggo infatti ancora una serie di semplici desiderata che non lasciano intravvedere alcuna reale

svolta sui molteplici suggerimenti proposti nelle commissioni sinodali diocesane rispetto alle tante

questioni relative alla struttura della Chiesa, al ruolo di presenza e di responsabilità dei laici negli

organismi ecclesiali, alla dignità della donna, alla liturgia e alla responsabilità sociale della

comunità ecclesiale in questo momento così difficile per l’umanità non solo sul piano religioso, ma

anche su quello culturale ed etico.

Insomma si resta sconfortati profondamente davanti al genericismo del documento e all’assenza

di scelte su problemi aperti e non più rinviabili.

Si ha come la sensazione che il dialogo e il confronto avviati nelle commissioni sinodali possano

rimanere bloccati come d’altronde è già avvenuto rispetto alle speranze generate dal Concilio

Vaticano II.

Interrogarsi sulle cause e sulle soluzioni alla crisi di partecipazione dei cristiani sul piano

spirituale, culturale e sociale sarebbe quanto mai opportuno mentre ancora oggi ad ogni livello

siamo circondati al riguardo da silenzio e indifferenza.


Rimandare ancora le scelte, come si evince dal documento, dopo anni di studio, confronto ed

elaborazioni concrete per disegnare una sinodalità reale sarebbe davvero incomprensibile e

inaccettabile.

Non solo davanti alle chiese vuote ma soprattutto di fronte all’abbandono dei principi di vita

trasmessi da Gesù nel Vangelo da parte di tanti credenti è davvero indispensabile chiedersi se le

cause del fenomeno, oltre al dilagare di un individualismo egoistico e materialista di stampo

neoliberista, non vadano ricercate anche nel nostro stile di vita di cristiani non più fedeli alla Parola

di Dio e nei paradigmi obsoleti di trasmissione della fede da parte di una Chiesa che nella struttura

gerarchica costruita attraverso i secoli, nel linguaggio, nei riti e nell’approccio relazionale non

riesce più a incidere nella società con una testimonianza credibile.

Ho grande rispetto per i delegati diocesani che hanno votato il documento conclusivo del sinodo,

ma non credo si possa accettare tutta una serie di proposizioni le quali rinviano ancora una volta

decisioni indispensabili per rendere la Chiesa fedele e testimone attendibile del Vangelo.

Mentre ad esempio c’è grande chiarezza su una posizione netta contro la politica del riarmo

invitando al disinvestimento dagli istituti di credito coinvolti nella produzione e nel commercio di

armi, sui cappellani militari ci si esprime vagamente con il semplice auspicio di un “ripensamento”

del loro ruolo.

La stessa genericità, per fare qualche altro esempio, troviamo sui percorsi di catechismo in

preparazione ai sacramenti dell’iniziazione cristiana e sulla necessità di un maggiore

coinvolgimento delle donne nei processi decisionali e negli organismi pastorali.

Papa Leone XIV ha ragione a sostenere che le “tensioni che attraversano la vita della Chiesa, tra

unità e diversità, tradizione e novità, autorità e partecipazione” vanno risolte senza

“contrapposizioni ideologiche e polarizzazioni dannose” e che occorre “lasciarle fecondare dallo

Spirito, perché siano armonizzate e orientate verso un discernimento comune”; tuttavia credo sia

necessario superare la contraddizione tra una struttura ecclesiale attualmente ingessata da una

gerarchia verticistica e maschilista come da definizioni discutibili di ruoli e questo desiderio di

sinodalità che senza riforme adeguate rischia di apparire del tutto anacronistico.

Come sostiene giustamente la teologa Serena Noceti in un’intervista su Avvenire rilasciata a

Mariangela Parisi “dobbiamo affrontare con coraggio alcuni meccanismi di blocco, che ci

ancorano a forme del passato non più adeguate”.

Abbiamo allora la necessità non di difendere o di ricercare nella Chiesa ruoli di prestigio o di

potere, ma di orientarci tutti a un servizio gratuito, sinergico e operativo in grado di rendere sempre

più efficace la trasmissione della fede.

Questo è il nostro dovere di credenti cercando di operare sempre con umiltà e capacità di

confronto.

Credo sia ineccepibile quanto ha affermato papa Leone XIV concludendo l’omelia nella messa

celebrata a Roma per il Giubileo delle équipe sinodali e degli organismi di partecipazione.

Il Pontefice, invocando la comunione come bene supremo della Chiesa, ha sostenuto che “Regola

suprema è l’amore. Nessuno è chiamato a comandare, tutti sono chiamati a servire; nessuno deve

imporre le proprie idee, tutti dobbiamo reciprocamente ascoltarci; nessuno è escluso, tutti siamo

chiamati a partecipare; nessuno possiede la verità tutta intera, tutti dobbiamo umilmente cercarla e

cercarla insieme”.

Solo che dopo quattro anni di lavoro per il Sinodo le vie di un tale percorso di confronto e di

ricerca non sembrano aver generato né nuovi paradigmi e tantomeno metodologie operative.

Il futuro quindi non può che guidarci a decisioni reali capaci di rendere la Chiesa immagine

vivente del Vangelo.

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