La transizione negata
da Ambientenonsolo

Di Fabio Cavallari
Gli articoli di Fabio Cavallari per Ambientenonsolo
Viviamo un tempo in cui la parola transizione sembra una fiaba raccontata a bambini che devono addormentarsi in fretta. Ci avevano detto che il futuro sarebbe stato verde, che avremmo ridotto le emissioni, che la cura del pianeta sarebbe diventata la nuova religione civile. Ci avevano promesso che le nostre città sarebbero state percorse da silenzi elettrici, che il sole e il vento avrebbero reso inutile la fame del carbone. E invece no. Un negazionista ha assunto la guida del Paese più potente del mondo e la prima cosa che ha fatto è stata ridare cittadinanza al fossile, al carbone, al petrolio. Lo fa non per ignoranza, ma per potere. Non per mancanza di dati, ma per scelta politica. Non è un errore, è un messaggio. È dire: non importa il vostro allarme, non importa la scienza, non importa la foresta che brucia. Conta solo il profitto, conta solo l’industria, conta solo il consenso immediato.
Il simbolo è più potente dei numeri. Perché, se la prima economia mondiale cancella il linguaggio della transizione, allora tutto il resto vacilla. È come dire a miliardi di uomini e donne: arrendetevi, la corsa verso il futuro può attendere. L’Europa appare fragile, con i suoi piani di riduzione delle emissioni, con i suoi investimenti sulle rinnovabili che paiono già troppo piccoli, con le sue regole che sembrano macigni burocratici. L’Italia appare smarrita, a metà tra un entusiasmo di facciata per il green e la tentazione antica di piegarsi al petrolio, al gas, ai rigassificatori. È la stessa tentazione che negli anni Settanta fece dire che senza energia fossile non c’è sviluppo, dimenticando che senza aria pulita non c’è vita.
La verità è che la transizione non è mai stata solo ecologica. È politica, culturale, spirituale. È decidere se il mondo che lasciamo sarà un luogo respirabile o un deserto tossico. È capire se il progresso significa accumulare potenza o custodire la vita. E oggi questo bivio sembra negato. Si preferisce tornare indietro, ripetere il gesto antico di scavare sottoterra e bruciare, come se il fuoco fosse ancora la nostra unica salvezza.
C’è un dolore collettivo in questo. Un dolore che non si vede nei mercati finanziari, che non appare nelle statistiche, ma che scava nella coscienza. È il dolore di una generazione che ha creduto alle promesse verdi e si trova di fronte al ritorno del nero. È il dolore dei giovani che manifestano nelle piazze e si sentono irrisi da governi che scelgono la strada opposta. È il dolore dei bambini che guardano un cielo già malato e non sanno dare un nome al respiro che manca. È il dolore di chi sa che il tempo è breve, che non abbiamo secoli, che i polmoni della Terra tossiscono già adesso.
La transizione negata è una ferita che non si rimargina. Non è solo un errore politico: è un tradimento. È la dimostrazione che, ancora una volta, il potere preferisce la velocità al respiro, il profitto alla cura, la fiamma che divora al seme che cresce. Ma questa volta la posta in gioco non è un ciclo economico o un decennio politico: è la vita stessa. Perché negare la transizione significa condannare il futuro a diventare cenere prima ancora di nascere.
In Italia 14,4 mln di persone in povertà ma
RispondiEliminaGoverno Meloni finanzia industria del fossile e riarmo”
Le cifre del riarmo: +23 mld in 3 anni; 140 mld in 15 anni; 20% import da Israele
“Oltre 23 miliardi in più per la spesa militare in tre anni e quasi 140 nei prossimi 15