Recuperare l’umiltà nell’epoca dell’apparire
di Umberto Berardo
Il termine umiltà deriva dal latino humilis, aggettivo che a sua volta viene dal nome humus
ovvero terra.
Le sue connotazioni semantiche sono diverse e vanno dalla consapevolezza della mortalità umana
secondo il detto cristiano “memento Homo quia pulvis es et in pulverem reverteris” (Ricordati,
uomo, che polvere tu sei e in polvere tornerai!) in Genesi 3,17-19, all’indicazione della bassa
condizione economica e culturale di una persona fino all’accezione che indica la qualità morale di
chi è modesto e non si ritiene mai migliore di altri.
Si dice che oggi l’umiltà pare sia sparita dai radar della comunicazione e del vivere quotidiano.
In realtà penso che sempre nella storia siano esistiti gli umili e i superbi.
È quanto ci viene testimoniato nell’arte, nella musica, nella saggistica ma soprattutto nella
letteratura.
In “La Madonna dei Pellegrini” di Caravaggio i piedi scalzi e sporchi dei viandanti rappresentano
proprio la semplicità nella devozione dei poveri.
Gli umili sono i protagonisti dei romanzi “I promessi sposi” di Manzoni, “I Malavoglia” di Verga,
“Fontamara” di Ignazio Silone ma anche di quasi tutte le opere di Pier Paolo Pasolini e delle
canzoni di Fabrizio De André o di Francesco Guccini.
Nella Divina Commedia troviamo poi gli esempi del re Davide e della Madonna.
Nel Cantico delle Creature di Francesco d’Assisi è l’acqua che simboleggia la grandezza e
l’utilità di questa dote umana.
L’umiltà può essere una condizione di emarginazione creata da una società egocentrica, ipocrita e
perbenista, ma anche la scelta di vita di quanti rifiutano le logiche dell’apparire per vivere nella
modestia ma anche nell’amore per gli altri orientandosi verso uno stile di vita sobrio, collaborativo,
capace di confronto e di revisione delle proprie convinzioni in una ricerca aperta della verità.
Molto spesso è stata ed è anche oggi considerata una qualità negativa e addirittura spregevole.
Aristotele scriveva: “Quanto più un uomo studia, tanto più diventa umile perché mentre impara
scopre l’immensità della sua ignoranza”.
A questo dovrebbe servire l’istruzione anche se talora conduce molte persone colte a una
supponenza certamente inaccettabile e a volte perfino detestabile.
La consapevolezza della settorialità e limitatezza nella conoscenza come nelle competenze non
può che essere un’opportunità per incrementare continuamente il nostro sapere comprendendo, per
dirla con Eduardo De Filippo, che “gli esami non finiscono mai”.
In generale nei testi delle grandi religioni monoteiste l’umiltà viene considerata un importante
valore positivo.
Nel Vangelo di Marco 10,42-45 Gesù guida gli apostoli a non cercare il potere opprimendo gli
altri, ma a porsi al servizio del prossimo sulla via dell’amore; d’altra parte la sua incarnazione è
stata un atto di umiliazione e la sua vita sulla Terra ha rappresentato la testimonianza di una
condizione materiale di assoluta povertà e disponibilità per portare la salvezza in un mondo dove la
libertà e l’eguaglianza non erano condizioni esistenziali per tutti.
La capacità di accettare il senso della propria limitatezza viene posta da Cristo proprio all’inizio
delle beatitudini con la fondamentale espressione “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno
dei cieli” (Mt 5,3).
In parole semplici è la modestia che può portaci fuori dall’arroganza generando purezza di cuore,
misericordia e capacità di acquisire tutte le altre virtù elencate poi nel Discorso della Montagna.
Paolo di Tarso nella Lettera ai Romani al capitolo 12 versetti 16 e 17 esprime questo pressante
invito ai credenti “Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo
alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi. Non rendete a
nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini. Non stimatevi
sapienti da voi stessi”.
È l’appello a rifuggire dalla superbia e a cercare il bene.
La presunzione come volontà d’innalzarsi al di sopra degli altri per sottometterli e discriminarli,
se non addirittura per annientarli, è l’origine di ogni male negli esseri umani.
Allora si giunge alla stima esagerata di se stessi, alla ricerca del prestigio e della gloria personale,
alla vanità, al desiderio di apparire e primeggiare, alla convinzione della propria infallibilità fino al
delirio di onnipotenza che crea le dittature generando tanto male in una umanità che non riesce più a
far fronte alla distruttività di armi che seminano morte e annientano ogni aspetto di civiltà.
Nell’epoca della comunicazione digitale siamo sempre più egocentrici e affascinati da valori
apparenti come la ricchezza, il denaro, il prestigio, la sensazionalità dell’apparire e della visibilità
sui media.
Si vivono così forme psicologiche pericolose di idolatria per il proprio ego che arrivano al
narcisismo e alla megalomania con continue esaltazioni delle proprie abilità e dei successi ottenuti.
Rincorriamo allora l’illusione della competenza assoluta e dell’infallibilità che ci spinge sempre
più verso l’alterigia di chi diventa incapace di riconoscere la propria limitatezza; pertanto
l’ammissione di un errore il quale può anche generare disastri è diventato un atto inconsueto e
controcorrente.
Nonostante la ricchezza dei mezzi d’informazione la nostra capacità d’imparare è purtroppo
limitata dalla presunzione di non riuscire più ad ascoltare, a confrontarsi e mettere in discussione il
proprio sapere.
È per questo che si preferisce rimanere chiusi nella realtà virtuale diventando incapaci di azioni
concrete e coerenti contro il male che ci circonda.
L’unico sogno diventa il proprio benessere anche se questo comporta la discriminazione di quelli
che una delle persone più umili che ho conosciuto, papa Francesco, definiva gli scartati.
L’umiltà al contrario ci permette di capire che la saggezza e la sapienza non sono in ciò che già
conosciamo, ma nell’arricchimento costante che ci viene da una ricerca aperta della verità senza
arroccarsi nelle certezze assolute.
Acquisendo coscienza della propria limitatezza, si genera allora dialogo, comprensione e
collaborazione orientandoci ad approfondire sempre ricerca e confronto sulla verità ma soprattutto
sull’onestà.
Considerare gli umili arrendevoli sarebbe un grave errore perché proprio essi, quando hanno
preso coscienza della loro condizione di sfruttamento, si sono mobilitati con passione per cambiare
le ingiustizie nella storia.
I cristiani delle prime comunità, il terzo stato nella Rivoluzione Francese, gli operai dell’industria
moderna e contemporanea, gli afroamericani nella lotta per i diritti umani negli Stati Uniti
d’America come i movimenti studenteschi del ’68 sono la dimostrazione di quanto ha scritto il
grande attivista e politico statunitense Malcom X sostenendo che “Di solito gli uomini quando sono
tristi non fanno niente: si limitano a piangere sulla propria situazione. Ma quando si arrabbiano,
allora si danno da fare per cambiare le cose”.
La virtù morale della modestia che riesce a guidarci nell’equilibrio comportamentale in ogni
azione non è certamente innata nell’essere umano, ma ha radici antropologiche in processi educativi
che richiedono un grande impegno della famiglia e della scuola che spesso sono assenti in questa
direzione.
L’educazione all’umiltà dovrebbe guidarci psicologicamente a saper valutare tutte le energie di
cui disponiamo, ma anche a saper riconoscere i limiti e le carenze che affliggono la nostra
personalità e connotano la fragilità di ogni essere umano per uscire con la maturità dai complessi
d’inferiorità o di superiorità raggiungendo consapevolezza e autocoscienza.
Credo che la capacità di prendere decisioni equilibrate a livello personale, sociale, politico e ad
ogni altro livello richieda davvero le doti della temperanza e dell’autocontrollo che sole possono
arricchirci permettendoci di riconoscere scelte sbagliate ed errori di valutazione nelle decisioni.
L’umiltà allora ci consentirà di non esaltarci, di non sentirci migliori di nessuno, di liberarci dalla
presunzione e dalla protervia che spesso ci portano alla mortificazione degli altri, di superare
l’orgoglio della certezza e dell’eccessiva sicurezza maturando in tal modo un comportamento
equilibrato e capace di guidarci alla mitezza, all’empatia, alla cooperazione sociale e alla
disponibilità nell’operare per il bene proprio come per quello altrui.
La definizione di questa dote non sarà mai completa né razionale.
Molto meglio è cercarla nella testimonianza di vita di quanti la vivono e possono rappresentarla
come simboli emblematici.
Questa tra l’altro mi sembra un’utile considerazione a livello pedagogico e didattico per quanti si
occupano a vario titolo di processi educativi.
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