Trump impone, l’Europa esegue

 di Umberto Berardo



Già il fatto che l’Unione Europea accetti d’incontrare Donald Trump in una sua residenza privata

in Scozia piuttosto che in una sede istituzionale ci parla con chiarezza dei rapporti di forza esistenti

sui dazi tra gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea.

Perfino nelle riprese televisive abbiamo visto la presidente della Commissione Europea lodare la

capacità negoziale di Trump che non stava facendo altro che imporre le sue condizioni.

In quell’incontro non abbiamo visto una trattativa, ma semplicemente una resa.

Intanto gli accordi che sarebbero emersi sono al momento di carattere verbale non esistendo

finora nulla di formalizzato e dunque essi non sono affatto vincolanti per i Paesi del Vecchio

Continente che cercheranno in ogni modo di tutelare i propri prodotti commerciali.

Dalle voci che continuano a circolare sui media le intese raggiunte fra Donald Trump e Ursula

von der Leyen vedrebbero dazi del 15% per la maggior parte dei prodotti europei esportati oltre

Atlantico tra i quali sembra figurino perfino i farmaci.

Ancora non è chiaro se tale base d’imposizione ricomprende i dazi precedenti che in media erano

intorno al 4,8% per alcuni beni e quali prodotti potrebbero essere esentati.

Ci troviamo comunque davanti a una linea di azione unilaterale di Trump che sostiene di dover

riequilibrare i rapporti commerciali con l’Europa, ma che invece sta bullizzando in merito molti

Paesi del mondo con il principale scopo di distrarre l’opinione pubblica dai guai delle inchieste

giudiziarie sul suo passato, ridurre il debito pubblico americano, ricostruire l’industria americana

che aveva delocalizzato altrove e favorire la pressione fiscale interna a beneficio della popolazione

più ricca che ha finanziato la sua campagna elettorale.

Nel confronto in Scozia la von der Leyen non ha avanzato alcuna contromisura verso i prodotti

USA esportati da noi.

La tariffa del 15% intanto è di pura facciata perché in realtà essa è sicuramente più alta se

pensiamo che l’Unione Europea si dovrebbe impegnare per tre anni all’acquisto di ben 750 miliardi

di euro di prodotti come petrolio, gas naturale liquido, forniture energetiche nucleari ma anche di un

quantitativo di armamenti già previsti all’interno della Nato e investimenti negli Stati Uniti

d’America per ben 600 miliardi di euro.

Relativamente a tali impegni non si conoscono ancora dettagli su prezzi e quantità dei prodotti,

ma a ciò occorre aggiungere che per tali questioni non può impegnarsi la Commissione Europea

essendo esse di competenza dei singoli Stati e di aziende private.

Ci sono Paesi dell’Unione Europea i quali avrebbero già fatto sapere che non si sentiranno affatto

vincolati da tali accordi.

A partire dalla von der Leyen diversi esponenti politici europei considerano positive queste intese

sui dazi che metterebbero fine alle tensioni con Trump evitando una guerra commerciale.

In realtà, se aggiungiamo a tali imposte l’attuale svalutazione del dollaro rispetto all’euro e la

mancata riduzione di alcune barriere interne nella commercializzazione dei prodotti, per le aziende

europee la situazione prospettata rischia di essere un colpo durissimo soprattutto in aree dove la

deindustrializzazione porta già a una consistente diminuzione dei posti di lavoro.

È per tali ragioni che soprattutto Germania e Francia si sono espresse negativamente pur avendo

quei Paesi un qualche vantaggio per le auto o il Cognac.

La Meloni sostiene che occorre aspettare i dettagli, ma che nel complesso si tratterebbe di un

compromesso sostenibile.

Possibile che non si riesca a comprendere che da noi ci sarebbero miliardi di esportazioni a

rischio soprattutto nel settore agroalimentare, nell’alta moda e nella meccanica?

Schiacciati in particolare dagli aumenti elevati nel settore energetico determinati dalla

contrapposizione con la Russia, alcuni Stati Europei si stanno facendo bullizzare da Trump


rinunciando dunque anche a diversificare i propri acquisti di prodotti energetici dal Medioriente e

dall’Africa.

Le prime note fatte circolare sull’accordo dalla Commissione Europea e dalla Casa Bianca

presentano discrepanze in merito a farmaci, digital tax e chips.

Aspetteremo il documento comune, ma di sicuro non presenterà nulla di buono per il commercio

europeo che sarà molto penalizzato.

La verità è che l’Unione Europea senza una struttura politica forte, come potrebbe essere quella

federale, appare ancora debole e divisa e certo non è nelle migliori condizioni per dettare alcuna

linea sul piano degli scambi economici internazionali.

Ha già accettato da anni il neocolonialismo commerciale cinese e adesso subisce senza colpo

ferire quello americano.

Tra i primi a cercare il salvagente degli aiuti europei alle imprese più penalizzate dagli accordi

raggiunti in Scozia c’è proprio la nostra Presidente del Consiglio.

Mi auguro tanto che in alcuni Stati dell’Unione Europea non si faccia strada la volontà di saltare

dazi così onerosi attraverso intese riservate e nascoste con lo stesso Trump perché questo sarebbe

poi la dissoluzione di quanto a fatica si sta facendo per superare sovranismi e statalismi che da

sempre impediscono di costruire unità e coesione nel vecchio continente.

I politici europei che cercano accordi di compromesso con Trump ancora non aprono gli occhi

sulla chiara volontà dell’attuale presidente americano d’indebolirci utilizzandoci in funzione del

principio dell’American first.

La verità è che l’Unione Europea si dimostra ancora incapace di darsi una struttura coesa e

democratica né riesce a individuare una direzione politica che certo non può essere quella di buttare

risorse su armamenti, ma unicamente un’altra capace di guardare al bene delle popolazioni e a una

qualità di vita decente per tutti.

Per raggiungere questo obiettivo si deve prevedere un rinnovamento dei settori produttivi

guardando ad esempio a quello tecnologico per il quale siamo ancora a rimorchio di altri Paesi.

Di sicuro sottomettendoci pedissequamente al volere dei vari Trump, Putin e Netanyahu non

avremo alcun futuro per il bene dell’umanità.

Se allora non vogliamo essere sudditi di imperi decadenti vecchi e nuovi, governati da

democrazie apparenti o da regimi palesemente autoritari, abbiamo la necessità di cambiare

direzione in un’Europa che sta dimenticando i principi basilari della democrazia e della

condivisione previsti nel Manifesto di Ventotene redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto

Rossi.

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