Le radici
La globalizzazione tende a cancellare il senso di appartenenza ad una piccola comunità.
L’esasperazione odierna del senso di libertà tende a sciogliere i legami di appartenenza molto localizzata e al rispetto delle norme da essa imposte ma allo stesso tempo ci ruba una parte di identità.
Tutto ciò che prima ci radicava- in un territorio, in una tradizione, in una fede, in un dialetto- oggi tende ad essere annullato. Sembra una conquista ma comporta anche perdite: è ridotta la solidarietà di gruppo, è ridotto il rispetto degli altri, è esaltato l'individualismo, si riduce o si perde il senso di appartenenza a un gruppo socialmente coeso sostituito dal raggruppamento per bande tenuto insieme da interessi comuni di ordine pratico con un legame volubile e sostanzialmente antisociale.
Si perde, in sostanza, quel senso che i greci chiamavano ethos il quale comprende il luogo nel quale si nasce e si cresce, la lingua appresa (che chiamiamo dialetto), le regole sociali (ethos ha la stessa radice di ethicos, etico). D'altra parte un ambiente piccolo e chiuso ha anche vari aspetti negativi: la scarsa comunicazione con l';esterno frena lo sviluppo anche culturale e tende a rafforzare i propri preconcetti.
di appartenenza a un gruppo disorienta e crea un senso di perdizione come astronauti persi nello
spazio. Rinunciando di appartenere a un gruppo (alle idee di quel gruppo, ai pregi e difetti di quel
gruppo) si rischia di perdere una identità già minata dalla generalizzazione della tecnologia e
dell’economia oltre alla perdita di ideali. E' una sorta di entropia culturale che tende ad annullare
le differenze che invece sono alla base del progresso. Un processo lungo quanto la storia
dell'uomo – dalla piccola tribù alla globalizzazione- che è inevitabile ma contrasta con la tendenza
a mantenere le caratteristiche di gruppo. Quando il territorio viene inglobato in un altro più vasto,
il suo gruppo sociale viene assorbito e lentamente scompaiono le sue caratteristiche. Si può
cercare di resistere a questa tendenza, ci si aggrappa ad alcune tradizioni – la cucina, le sagre, i
canti popolari sempre più messi da parte– ma inevitabilmente il nuovo tende a sommergere il
vecchio. Si modificano la lingua, i comportamenti. E' un processo che ha sempre segnato il
cammino dell'uomo ma con andamento a volte molto lento quasi inavvertibile quando un territorio
ha pochi contatti con l'esterno ma che in questa epoca nella quale tutto è veloce ha subito una
improvvisa accelerazione che crea squilibri. I dialetti- cioè le lingue locali- cedono il passo alla
lingua nazionale che a sua volta accetta parole di altre lingue, di solito quelle dei paesi dominanti.
Tutto questo non è riuscito sinora ad estinguere il senso di appartenenza ad un territorio, ad un
paese anche se la resistenza al nuovo può variare notevolmente: ciò che è nuovo può apparire
avanzato e tende a sopprimere ciò che c'era prima. Il senso di appartenenza a un territorio e a
conservare l'ethos non contrasta con sentirsi appartenenti a una comunità più allargata, non
comporta un nazionalismo che tende a isolare da altri popoli. Dovremmo saper essere allo stesso
tempo cittadini del mondo e di una nazione senza essere nazionalisti e di un paese senza
permanere in un orizzonte chiuso.
Ricordare, però, le nostre radici ci aiuta a capire noi stessi: ci portiamo dietro almeno
parte di quelle radici- consapevolmente o no- che nel bene e nel male continuano a darci una
connotazione pur nella globalizzazione. Quelle radici – le più profonde, nascoste nel nostro
inconscio- possono assopirsi, nascondersi ma sono pronte a riemergere. Chi è andato via dal suo
paese può anche rifiutarle, sentirsene liberato e aperto al nuovo ma si illude: esse tornano a galla
nei momenti più imprevisti, soprattutto dinanzi alle difficoltà. Restano in noi anche quando ci
siamo allontanati per sempre e tendiamo a trasmetterle finanche quando ne riconosciamo i limiti e
cerchiamo di liberarcene. E' come una piccola casa di tartaruga che ci portiamo dietro che poi le
generazioni successive consumano e polverizzano. Alcune radici affondano nei secoli e nei
millenni. Usi e visioni degli antichi greci e romani non solo rappresentano l'humus sotterraneo ma
riaffiorano nella mentalità e negli usi dei paesi del Sud almeno sino a quando l'onda esterna arriva
a portarle via a volte non senza traumi se le innovazioni sono troppo rapide per essere ben digerite
e assimilate.
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foto di Nicola Picchione "da Santacroce di Magliano verso la Puglia |
Sino a metà del secolo scorso alcuni comportamenti a Bonefro (ma non solo a Bonefro
al quale mi riferisco in particolare) richiamavano quelli antichi dei greci: il modo di piangere i
morti da parte delle donne; il senso della vita e della morte e il ruolo determinante attribuito al
destino: quante volte sentivo le donne ripetere di fronte a una disgrazia: era destino, un modo per
accettare il dolore e le perdite. Finanche il modo di passeggiare in piazza e discutere: ricordo le
persone a piccoli gruppi- due o tre- passeggiare lentamente sul marciapiede e poi soffermarsi per
sottolineare una affermazione. Agorizonta era chiamato dai greci questo modo che esprimeva
l'agorazein un verbo che indicava l'uscire di casa incontrare gli amici in piazza (agorà) e mettersi a
discutere del più e del meno ma quasi sempre di argomenti importanti, di problemi sociali e di
politica dopo il silenziamento fascista. Era un comportamento comune a chi aveva studiato e
anche ad artigiani e contadini.
Il paese considerato come un insieme che vive una vita comune dove tutti si
conoscono e tutti sanno o credono di sapere tutto degli altri, chiuso all'esterno ma aperto al suo
interno in una sorta di vita comune come se nelle strade circolasse una linfa vitale. A uno che
fosse venuto dalla città alcuni comportamenti potevano sembrare irriguardosi come un tentativo di
intrigarsi delle questioni degli altri invece erano un modo per comunicare anch'esso antico. Chi
passava e vedeva una persona seduta fuori a prendere il sole le si rivolgeva con una domanda:
“Che fai?” oppure chi era seduto chiedeva a chi passava:”Dove vai?”. Era semplicemente una
forma di contatto sociale, amichevole non di curiosità. Lo ritrovi in Platone: “Dove vai Socrate e
donde vieni?” leggi in un dialogo. Nessuno si aspettava si conoscere le faccende dell'altro e la
risposta era standardizzata:“ Che vuoi fare!” oppure: ”Vado a fare un servizio”. E poteva essere
solo un saluto passeggero oppure un modo per discorrere se il passante si fermava un momento a
parlare. Era come se il paese respirasse e parlasse con rumori suoni voci e anche odori che
circolavano e riempivano l'aria tra casa e casa. Sin da piccoli si percepiva questa sensazione di
vitalità, di movimento, di vivere insieme. Nelle sere d'estate vedevi piccoli gruppi davanti casa sul
marciapiedi; mettevano fuori le sedie e chiacchieravano godendo il fresco. Tutto questo faceva
parte di quell' ethos cui accennavo. Si imparava anche sin da piccoli una lezione importante nel
vedere lavorare nelle botteghe e nei campi: bisogna lavorare e guadagnarsi il necessario, nulla
viene senza lavoro. Imparavi anche soprattutto dalle madri a spendere con oculatezza il danaro, a
non sprecare ciò che hai in casa. Imparavi ad apprezzare ciò che avevi, imparavi il rapporto con gli
animali e con la natura. Imparavi a difenderti quando eri per strada a giocare. Era il modo del
paese che ti insegnava a vivere, a rispettare gli altri. Imparavi anche ad avere una visione distorta
del mondo: tendevi a diffidare del forestiero e ad avere un'idea autoritaria dei rapporti umani.
L'uomo che domina sulla donna e la donna che sa di dover ubbidire e la gerarchia dell'età oltre a
quella del sesso. Finivi col credere che quelle regole fossero universali e invarianti, un mondo
quasi impenetrabile che invece si disfece in buona parte e rapidamente anche se l'isolamento
indotto dai modelli sociali successivi e dalle nuove tecnologie non lo ha del tutto distrutto e ancora
rimane nei paesi una socialità che tende negli ultimi tempi a ravvivarsi e non pochi decidono di
lasciare la città e vivere in paese o addirittura in campagna.
E’ bene conoscere queste radici anche quando tendiamo a liberarcene. Esse sono parte di
noi, costituiscono la base del carattere generale sul quale poi ognuno aggiunge le proprie
particolari caratteristiche. Non sono né un bene né un male: sono e basta. A volte tornano a galla
come nei magrebini di seconda generazione delle grandi città europee che pur essendo nati in
Europa si sentono diversi non solo perché sono trattati come diversi ma per le radici ereditate e
che sentono minacciate da un inglobamento culturale imposto che non accettano. Spesso con
integrazione non si intende soltanto accettare le leggi e le regole del vivere in società ma anche la
rinuncia alle proprie tradizioni e alla propria cultura. I contadini del Sud del nostro Paese trasferiti
al Nord hanno trovato pur nella diversità spesso notevole alcuni tratti in comune, alcune tradizioni
non molto diverse, la stessa cultura religiosa, parti comuni della storia, una lingua ormai comune
anche se con diverse inflessioni. Questo – dopo un periodo transitorio di reciproca diffidenza- li ha
portati ad integrarsi meglio e a sentirsi componenti non più di un piccolo territorio ma di uno Stato
e ha portato i loro figli ad integrarsi completamente, sacrificando solo la generazione di passaggio,
quella che aveva affollato i treni, che era stata tenuta lontana da chi li accoglieva con diffidenza. Il
lavoro in fabbrica ha sviluppato il senso di gruppo e di lotta in comune che non poteva avere il
piccolo contadino isolato nel suo campo. L'adeguamento degli italiani ai costumi degli altri popoli
dove erano emigrati forse deriva dall'abitudine ad adeguarsi ai costumi stranieri nella stessa terra
nativa continuamente invasa e dominata nei secoli ma spesso anche da una comunanza di idee
fondamentali: l'America è figlia culturale dell'Europa.
Integrazione spesso significa far prevalere una cultura sull'altra soprattutto quando si
sostiene una valutazione verticale, una gerarchia: si tende non solo a rimarcare le diversità
culturali ma anche a dare loro una valutazione qualitativa facendone una sorta di classifica nella
quale la nostra è “superiore” La società moderna dominata dalla febbre della produttività
preferisce esaltare la cultura tecnico-scientifica che tende ad impadronirsi dell'idea di progresso.
Pasolini aveva richiamato l'attenzione sul significato diverso delle parole “sviluppo” e
“progresso”. La prima indica l'avanzare scientifico e tecnico, la seconda ha significato sociale e
culturale. Non coincidono, hanno vie diverse che spesso vengono confuse e si finisce col chiamare
progresso quello che è avanzamento scientifico e tecnico. Lo sviluppo finisce con trascurare fattori
fondamentali come il rapporto umano, quello con la natura e dà una pericolosa sensazione di
potenza mentre accresce la fragilità. Le radici alle quali accenno tendono a richiamare ad una
realtà meno artificiale e più vicina al rapporto con la natura. Per questo è opportuno parlarne
attraverso ricordi finché ci sono ancora testimoni del passato. Ha detto Gustav Mahler: la
tradizione non significa venerare la cenere ma mantenere vivo il fuoco.
Buonasera dott. Di Lena, condivido questo articolo in linea con i temi a noi cari...mi ha dato tanta speranza questo progetto🙏🏻 Annamaria Fratangelo
RispondiEliminaCaro le radici annaffiate regolarmente concimate fanno Crescere diritto l albero. L albero sta, l individuo si muove cambia si arricchisce nel suo ambiente si forma ma deve superare le sue radici ha bisogno di confrontarsi con altre culture. Ha bisogno di un processo di crescita personale di arricchirsi di esperienze nuove sorretto dalle lezioni del passato deve guardare oltre verso nuove responsabilità e consapevolezze senza rinnegare le radici ma evolvendosi da esse e ampliandole. Siamo vissuti in un contesto nel quale abbiamo sperimentato amicizie esperienze ed emozioni ma siamo andati oltre curiosando mostrando attenzione. Il lavoro mi ha portato altrove, Bitonto mi genero Pisticci mi adottò ora vivo tra Roma e Firenze ove vivono le mie figlie . Questo mi ha allenato a cercare altre relazioni utili alla conoscenza e alla crescita. Si sosta nella vita ma si riparte oltre i propri confini e si scoprono tradizioni stili di vita cambiamenti che si susseguono veloci.. quanto delle nostre radici è rimasto? Non molto poco o nulla dipende dall ambiente in cui siamo nati e da quello che ci ha accolti. Possiamo diventare combattenti o integrati più soli, violenti, strani., uomini di ventura mercanti politici. Molto contribuisce il tessuto sociale culturale economico. Solo i morti diceva Levi non cambiano più e non spingono altre radici" . Disponiamo di input ibridi che abbiamo accettato. Placet experiri dicevano i latini piace sperimentare per vedere l effetto che fa. Soltanto superando le radici possiamo scoprire noi stessi la nostra natura chi siamo un carissimo saluto
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