Il progresso: utile e inutile.


 

di Nicola Picchione


 Siamo presi dalle contingenze del presente, dalla cronaca, di tanti problemi pratici.

Dovremmo fare a volte i minatori di noi stessi, andare alla radice dei mali che ci affliggono.

Attribuiamo agli altri difetti e colpe soprattutto a chi non pensa come noi . Il diverso e lo straniero ci

spaventano: rompono il nostro equilibrio, la nostra pace, intaccano le nostre idee. E tuttavia sono la

molla del progresso,smuovono le acque.

Incapaci di autocritica ci riteniamo superiori finendo col pretendere che gli altri assumano i

nostri modelli di vita e di società. La nostra civiltà è fondata sostanzialmente sull'utilitarismo che

tende ad asservire tutto ai nostri interessi immediati, cielo terra mare animali persone e popoli. Il

nostro metro di misura è la tecnologia che ci fa sentire superiori. Ha detto Levi Strauss: “Ogni

cultura dovrebbe provare gratitudine per le altre”.

Nicola Chiaromonte dice che il progresso scientifico del quale siamo fieri avrebbe dovuto

procedere insieme con il progresso intellettuale e morale anzi esso avrebbe dovuto trascinare questi

altri due. Tutto questo non è avvenuto e stiamo precipitando in una progressiva crisi sociale

intellettuale e morale malgrado il continuo progresso tecnologico. In una parola, in una crisi

culturale profonda che disorienta i giovani e toglie loro la speranza. La natura non è più la casa che

ci ospita e che dobbiamo curare ma è strumento da sottomettere nell'illusione di dominarla.

Non renderci conto dei mali che produciamo è un'aggravante: il malato che si ritiene sano

non si cura.

Siamo ipnotizzati dall'utilitarismo e dall'efficientismo: tutto deve “servire” a qualcosa con

meno sforzo possibile e la scuola deve preparare a diventare operatori specializzati. Modello api o

formiche. Sempre più imprigionati nel “negozio” cioè negli affari, senza permetterci il vitale “ozio”

cioè il tempo libero per gli amici la famiglia la cultura. Abbiamo dimenticato il gioco come parte

fondamentale della vita: prima come paidia spensierata nei bambini poi come ludus regolamentato,

parte importante della cultura (Huizinga: “la cultura sorge in forma ludica” ) e parte fondamentale

della socialità. Oggi giochiamo con il computer in solitudine o guardiamo gli altri giocare in tve

osiamo chiamarci sportivi.

Paradossalmente il liberalismo che esalta l'individuo ha trasformato l'individuo in schiavo

della produttività: tutti sia chi è in basso nella scala sociale che gli stessi alti dirigenti (in pratica

l'operaio e il padrone di una volta) sono al servizio del mercato che non perdona chi ha scarso

rendimento. Per continuare a produrre bisogna consumare ciò che si è prodotto. Non importa se ciò

comporta spreco delle risorse naturali e sovraccarico di rifiuti, vita come produzione di beni che non

portano sempre al bene. Il tempo per produrre e consumare, la cultura come inutilità.

Agnes Heller ha detto: «Se qualcuno dovesse chiedermi, come filosofa, che cosa si dovrebbe

imparare al liceo, risponderei: “Prima di tutto, solo cose ‘inutili’, greco antico, latino, matematica

pura e filosofia. Tutto quello che è inutile nella vita. Il bello è che così, all’età di 18 anni, si ha un

bagaglio di sapere inutile con cui si può fare tutto. Mentre col sapere utile si possono fare solo

piccole cose». Fausto Pellecchia ha affermato:”I guerriglieri della filosofia imparano a maneggiare

l’arma più potente e radicale, quella del pensiero».

Il computer impigrisce la nostra mente, la scuola efficentista all'americana fa tecnici

preparati nel loro campo ma limitati per il resto: api e formiche. La scuola umanistica classica tende

a trascurare il sapere scientifico che invece è parte fondamentale della cultura. Scienza e filosofia

sono complementari e nutrono la mente una cercando di rispondere ai come (come è fatto...) l'altra

ai perché (perché è fatto..).

Siamo distratti dal sapere finto impacchettato nella rete, la nostra curiosità si esaurisce nel

pettegolezzo, la nostra memoria inaridisce, si vive in un fuggevole presente senza preparare il

futuro, la nostra partecipazione alla vita sociale si lascia andare alla corrente che ci porta dove vuole

chi gestisce il potere: la passività e l'ignoranza. Siamo una società apparentemente forte ma


sempre più debole affidata agli strumenti più che a sé stessa, passiva senza autocritica. Corriamo

verso la luna ma rischiamo di precipitare in un baratro. Finanche la religione trascura la spiritualità,

allontana gli occhi dal Cielo e guarda in basso.

Non ci parliamo più guardandoci ma separati da uno strumento. L'amore è divenuto possesso

e dominio dell'altro: prendere invece di dare. Siamo dominati da un falso sapere che non penetra

dentro di noi ma ci sta davanti, su uno schermo elettronico che rappresenta il teatro della vita e del

mondo e sostituisce le persone, le strade, le piazze, gli incontri.

Ci ripetiamo da anni queste considerazioni che appaiono ormai banali ma non riusciamo a

metterle in pratica.

Se non correggiamo il nostro cammino e facciamo pace con noi stessi con gli altri e con la

natura il futuro ci riserba brutte sorprese.

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