I disastri della guerra
di Umberto Berardo
La guerra nasce da una delle convinzioni più errate dell’umanità ovvero dall’idea che quando non
si riesce a trovare una soluzione a un conflitto attraverso il confronto, la mediazione e la sintesi
allora si deve imporre all’altro un’uscita dallo scontro attraverso un’imposizione violenta del
proprio modo di pensare.
Credo che la storia insegni a sufficienza come la guerra non solo non abbia risolto alcun
problema, ma anzi sempre contribuito a generarne altri determinando negli sconfitti desideri di
rivalsa nei confronti di chi si è imposto con la prepotenza e l’aggressività.
Senza dilungarsi basta ricordare come l’umiliante trattato di Versailles per la Germania dopo la
prima guerra mondiale sia riuscito a generare nel popolo tedesco la volontà di rivincita e abbia
contribuito insieme ad altre cause alla nascita del nazismo e all’origine del secondo conflitto
mondiale.
La guerra tuttavia rimane una costante nella storia dell’umanità e ogni volta c’è sempre chi ne
cerca una giustificazione.
Tra le sue cause più comuni troviamo le dispute economiche e commerciali, la volontà di
appropriarsi di risorse di altri territori conquistandoli, la radicalità e le controversie ideologiche e
religiose, la brama di potere, il desiderio di conquista nella logica imperialista come il controllo di
rotte mercantili o di aree geopolitiche.
Si sostiene giustamente che in genere le guerre abbiano origine da sistemi politici dittatoriali o
autocratici, ma ciò non è sempre vero come ad esempio dimostra la seconda guerra del golfo
iniziata nel 2003 contro Saddam Hussein con motivazioni senza alcun fondamento realistico dagli
Stati Uniti d’America, Paese da molti considerato una delle più grandi democrazie al mondo.
Ci sono epoche in cui la pace ha tenuto intere aree geografiche nella serenità mentre in altre
abbiamo avuto guerre durate tantissimi anni che hanno portato morte, devastazioni di interi territori
e in molti casi hanno determinato deportazioni, massacri e veri e propri genocidi.
Sigmund Freud ci ha spiegato che all’origine di un evento bellico c’è il prevalere di Thanatos, la
pulsione di distruzione e di morte, sull’Eros, energia psichica per la libido e la vita.
Al riguardo egli aggiunge come talora le due pulsioni si intreccino in un’aggressività distruttiva
che riesce a condurci verso il buio della ragione e a spostare le nostre angosce depressive e
paranoiche verso un nemico esterno.
Allora giungiamo addirittura a vedere la guerra come qualcosa che può generare cambiamenti
positivi per le popolazioni al punto che Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento
Futurista, riuscì a definirla “la sola igiene del mondo” esaltandola come causa prima di progresso.
Le modalità di conduzione dei conflitti armati oggi coinvolgono non solo gli eserciti, come
avveniva un tempo, ma sempre più colpiscono le popolazioni civili.
Ciò che sta avvenendo ad esempio in guerre come quelle in Sud-Sudan, a Gaza o in Ucraina ci
parla di una spaventosa disumanità delle azioni belliche sempre più dirette su agglomerati umani
con il ricorso anche a crimini assolutamente ingiustificabili come quelli di colpire scuole, ospedali e
perfino convogli con gli aiuti umanitari.
L’arma nucleare poi dovrebbe convincere tutti che, contro le logiche guerrafondaie di chi spinge
al riarmo, l’unica via per la pace non può che essere quella di un disarmo cui dovrebbe condurci il
nostro senso di responsabilità di fronte ai paesaggi devastati, alle migliaia di morti e alle atrocità
fisiche e psicologiche generate dalle tante guerre disseminate ovunque nel mondo.
Dovremmo riflettere molto sul senso d’incertezza e di angoscia che vive chi vi è direttamente
coinvolto e questo dovrebbe essere sufficiente per condurci a una cancellazione per sempre della
violenza nella soluzione dei conflitti.
Il tentativo di creare degli organismi internazionali come l’ONU o la Corte Penale Internazionale
sta purtroppo naufragando di fronte alle loro strutture discutibili e inefficienti, ma anche per una
sostanziale inadeguatezza a far valere le ragioni a fondamento del diritto internazionale.
L’incapacità di mettere in cantiere le riforme da più parti avanzate sta rendendo queste
organizzazioni pressoché inutili.
Il diritto all’autodifesa è sicuramente innegabile in tutti i casi in cui si è aggrediti o colpiti nei
diritti umani, ma il problema è capire quali debbano essere i metodi più razionali per farlo.
Al riguardo la comunità internazionale non ha trovato fin qui una soluzione praticabile e
condivisa.
L’idea della difesa popolare non violenta alternativa a quella militare, teorizzata dal Mahatma
Gandhi e fatta propria poi da Martin Luther King e da tanti movimenti pacifisti, ha definito da anni
le forme e le tattiche di resistenza all’aggressività, alla prepotenza e alla negazione dei diritti
attraverso sistemi di non collaborazione e di boicottaggio.
Il problema è che tale metodo di lotta non è stato mai parte del sistema culturale e politico perché
non è diventato tema educativo nella famiglia, nella scuola e nelle altre agenzie educative.
Di fronte all’inumanità delle guerre in corso poi la politica rimane spesso in silenzio guardando
più agli interessi economici che alla garanzia dei diritti umani né si è dimostrata capace finora di
dare realisticamente spazio alla diplomazia.
Le proposte di soluzione dei leaders mondiali sui conflitti aperti guardano purtroppo almeno fin
qui ancora e solo alla difesa degli interessi di chi li ha originati e appaiono davvero irricevibili per la
loro irrazionalità comunicata tra l’altro senza ritegno a popolazioni piegate dall’occupazione e dalla
violenza dei bombardamenti che generano distruzione, morte e un’ignobile situazione umanitaria.
Non comprendere i giochi interessati dei potenti in questo momento in cui chiedono non la tregua
subito e negoziati veri, ma unicamente la resa dei deboli sarebbe da sprovveduti e irresponsabili.
La storia dovrebbe farci comprendere che quando le condizioni per un cessate il fuoco sono
dettate da Paesi aggressori o da altri che appaiono chiaramente loro sodali non si riesce ad arrivare
alla pace e non si rafforza né la democrazia e tantomeno la giustizia sociale, ma si creano i
presupposti per l’affermazione della logica del più forte calpestando così i principi che fondano uno
stato di diritto.
C’è chi ha scritto che gli incontri tra alcuni leaders politici in Vaticano dopo i funerali del Papa
potrebbero aprire nuove prospettive nella soluzione dei gravi problemi posti dalle guerre in corso.
Se siamo a una svolta e non davanti ad affermazioni di circostanza lo verificheremo presto.
Abbiamo avuto di sicuro per dodici anni una sola persona che si è spesa senza riserve e con
chiarezza per la pace cercando di riproporre fino a stancarsi la via di una diplomazia onesta ed equa.
Parlo di papa Francesco che ci ha lasciato da qualche giorno orfani di un grande sostegno
spirituale, morale e perfino politico.
Ci ha sempre ricordato che “la guerra è ignobile, è il trionfo della menzogna” e non usciremo dai
conflitti se non con il superamento di rivalità e antagonismi nella convinzione che nessuno può
salvarsi da solo.
Ha ripetuto ossessivamente che la prima condizione per un cessate il fuoco che possa portare alla
pace è riconoscere i diritti dell’altro.
Credo che alcune dichiarazioni tratte dal suo ultimo messaggio al mondo nell’Angelus di Pasqua
2025 rappresentino il suo testamento spirituale per questa nostra umanità che non riesce ad uscire
dal precipizio in cui è sprofondata.
Nel testo che segue troviamo dei passaggi che spero possano guidare tutti noi a prendere
coscienza della necessità di superare il male studiando con pazienza e amore le vie possibili per
uscire dall’odio e dalle contrapposizioni che dividono i popoli orientandoci al disarmo come ci
indica il Papa.
“Quanta volontà di morte vediamo ogni giorno nei tanti conflitti che interessano diverse parti del
mondo! Quanta violenza vediamo spesso anche nelle famiglie, nei confronti delle donne o dei
bambini! Quanto disprezzo si nutre a volte verso i più deboli, gli emarginati, i migranti!
Vorrei che tornassimo a sperare che la pace è possibile!
Faccio appello a tutti quanti nel mondo hanno responsabilità politiche a non cedere alla logica
della paura che chiude, ma a usare le risorse a disposizione per aiutare i bisognosi, combattere la
fame e favorire iniziative che promuovano lo sviluppo. Sono queste le “armi” della pace: quelle che
costruiscono il futuro invece di seminare morte!”.
Seguire questi suoi accorati appelli derivanti dal messaggio evangelico non può assolutamente
portarci a fare di questa importante figura spirituale un’icona o un santino da usare strumentalmente
come hanno fatto taluni anche al suo funerale, ma richiede da parte nostra la responsabilità
d’indirizzare il mondo verso la strada della speranza indicata da questo grande Papa che si è sempre
preoccupato di dare all’umanità altri valori rispetto a quelli che ci sta prospettando questo
capitalismo decadente.
Rispetto ai miti del potere, della ricchezza e dell’arroganza dentro e fuori la Chiesa Francesco ha
proposto e vissuto le virtù evangeliche della mitezza, della povertà e della condivisione.
Tutto ciò può anche apparirci utopico in questa nostra epoca dove i totem sembrano essere il
denaro e il prestigio, ma la proposta di papa Francesco è l’unica prospettiva che può salvare
l’umanità se, lontani dall’indifferenza, sapremo studiare i sistemi per affermarla intanto riempiendo
le piazze di tutto il mondo contro la violenza e chi la pone in essere.
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