di Umberto Berardo
Apprendere la morte di papa Francesco avvenuta lunedì di pasquetta alle ore 7,35 ha provocato in
me una tristezza infinita.
Non nascondo di aver pianto.
Ho molto amato questo Papa e chi segue le riflessioni che ogni tanto rendo pubbliche sa tutta la
stima che ho manifestato sempre per lui.
Credo che la figura di Francesco non sia appartenuta solo ai cristiani, ma abbia entusiasmato tutti
quelli che sono impegnati nella difesa dei diritti umani nel mondo.
Nella Chiesa ha rappresentato un soffio di freschezza e di grande umanità.
Ci ha riportato ai fondamenti del Kerigma maturando la nostra fede tante volte incerta o
evanescente, ma è stato anche una voce cristallina che si è sempre levata con forza in questa nostra
società che purtroppo sempre più spesso è crollata nelle certezze e nei valori sotto il peso
dell’egocentrismo o peggio ancora della barbarie.
Di fronte alla volontà di potenza, di sopraffazione, di umiliazione e addirittura perfino di
annientamento dell’altro abbiamo trovato in lui chi era capace di affermare con la parola e con
l’esempio di vita senza infingimenti i valori da porre a fondamento dell’esistenza perché i caposaldi
della società non cadessero in frantumi.
Allora ecco i suoi appelli all’onestà, alla non violenza, all’accoglienza, alla condivisione, alla
pace, alla giustizia sociale.
Durante la pandemia mi alzavo tutti i giorni molto presto per seguire in televisione le sue
celebrazioni eucaristiche da Santa Marta ascoltando incantato le sue omelie nelle quali il messaggio
evangelico era sempre collegato all’invito ad operare perché la Parola di Dio diventasse seme di
amore per tutti, ma in particolare per quanti vivono situazioni di emarginazione o peggio ancora di
esclusione dai diritti umani.
La chiarezza delle sue posizioni sugli eventi di attualità non ha avuto eguali anche a costo di
urtare la suscettibilità di tanti esponenti di una politica incapace sempre più spesso di rappresentare
e risolvere i gravi problemi esistenti.
Leggendo i suoi documenti, ma soprattutto ascoltando la sua voce dolcissima, suadente, delicata,
ho sempre pensato che quest’uomo straordinario è stato davvero l’unico capace fino in fondo di
rompere gli schemi e i paradigmi neoliberisti della competizione per guidare la storia verso le
dimensioni della condivisione e della gratuità così presenti nelle pagine del Vangelo.
La sacralità della vita umana e della fraternità sono i concetti che ricorrono in tutte le sue quattro
encicliche e nelle sette esortazioni apostoliche.
Il suo pontificato, durato dodici anni, si può definire davvero un grande regalo del Signore alla
Chiesa, ma direi al mondo.
È stato un Papa attivo, innovatore e per tanti aspetti rivoluzionario nel tentativo di rendere la
Chiesa sempre più fedele alla Parola di Dio e testimone della verità.
Il suo impegno a debellare il fenomeno della pedofilia, a condurre il popolo di Dio verso un
cammino sinodale, a cercare le vie di nuovi ruoli di responsabilità dei laici all’interno della struttura
e dei ministeri della Chiesa e a disegnare l’immagine di un Dio misericordioso e amorevole con
l’organizzazione del Giubileo rimarrà un dono prezioso per il futuro dei cristiani nel mondo.
Si era voluto chiamare Francesco non solo per indicare la via di una scelta di povertà come
capacità di accontentarsi dell’essenziale, ma anche come esigenza di liberarsi da ogni forma di
potere ridando forza all’invito di Gesù di essere piuttosto al servizio degli altri.
La sua più grande speranza è stata quella che nel mondo si potesse realizzare una grande
fratellanza capace di eliminare ogni discriminazione e ingiustizia.
Dalla parte conservatrice, ma anche da tanti sedicenti progressisti, non sono mancate le
contestazioni al suo pontificato, ma Francesco è rimasto sempre fedele alla sua missione di
annuncio della Parola e di testimonianza della verità.
Nel suo ultimo messaggio al mondo nella domenica di Pasqua, davanti a una piazza gremita di
fedeli, il Papa è tornato a condannare la disumanità delle guerre, ma soprattutto a invocare il cessate
il fuoco e il disarmo come unico inizio per l’avvio di un percorso di pace.
La folla accorsa a piazza San Pietro dopo la notizia della sua morte è ancora una volta la
testimonianza della stima e dell’amore di un popolo per un Papa che non ha mai smesso di sognare
la possibilità che gli esseri umani possano redimersi dal male che ci circonda per incamminarsi sulle
vie del bene.
Ora dopo questa morte sicuramente i popoli afflitti dalle guerre, i poveri, gli emarginati, gli
esclusi, quelli che lui chiamava “gli scartati”, saranno sicuramente tutti un po’ più soli!
Siena, la protagonista dell’agroalimentare italiano
Tutto parte nel 1933 con la Mostra mercato dei Vini tipici d’Italia, prima e unica mostra nazionale, una biennale con 4 edizioni prima della guerra e tre nel dopoguerra con la denominazione Mostra mercato dei vini tipici e pregiati. Nel 1949 la costituzione dell’Ente omonimo su iniziativa degli senesi e, in contemporanea, la nascita, sempre a Siena, dell’Accademia italiana della vite e del vino con l’intento di dar vita a una realtà atta a promuovere il progresso vitivinicolo italiano. Nel 1950 il riconoscimento dell’Ente con DPR 296 e l’apertura, nel Bastione S. Filippo della Fortezza medicea, dell’Enoteca Italica Permanente di Siena, la prima, in Italia e nel mondo, a carattere pubblico. Pensata come Mostra permanente dei vini tipici e pregiati italiani, che, qualche anno dopo, con l’approvazione del Dpr 930 del 1963, diventeranno le eccellenze Doc e, dal 1980, anche Docg e Igt, a rappresentare l’origine della qualità, il territorio. Le eccellenze primarie dell’agroalimentare i...
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