La Consulta si esprime sull’autonomia differenziata
di Umberto Berardo
Per chi come me si è battuto tanto contro l’idea leghista di una secessione dei ricchi venduta da
una propaganda subdola come un’autonomia differenziata è del tutto evidente che la recente
decisione della Corte Costituzionale in merito al ricorso di alcune regioni sulla legge Calderoli
riporta il Paese a una riflessione sull’approssimazione con cui l’attuale governo scrive i
provvedimenti legislativi.
Ricordo che già il “Porcellum” dello stesso ministro venne dichiarato parzialmente
incostituzionale nel gennaio 2014.
Sulla legge 86/24 siamo al momento davanti a un comunicato stampa e dovremo attendere alcuni
giorni per poter leggere la sentenza nella sua interezza.
Sebbene la Consulta non abbia ritenuto incostituzionale l’intero provvedimento, dichiarandone
tuttavia illegittime sette disposizioni su undici e rimandando la loro correzione al Parlamento in
pratica ha affossato l’intero progetto del Governo per le ragioni che cercherò di chiarire.
Viene anzitutto dichiarata illegittima la possibilità che si possano determinare e aggiornare i
Livelli Essenziali delle Prestazioni con un decreto del Presidente del Consiglio limitando se non
estromettendo il Parlamento da ogni decisione al riguardo.
Inammissibile anche che si possano modificare le aliquote della compartecipazione al gettito dei
tributi erariali con un semplice decreto interministeriale.
Incostituzionale la pretesa di blindare le intese tra Governo e Regioni imponendo al Parlamento
di prenderne unicamente atto.
In pratica la Consulta restituisce centralità al potere legislativo.
Si precisa ancora che la devoluzione, pure prevista dall’art. 117 della Carta Costituzionale, non
può avvenire sulle intere 23 materie, ma solo su specifiche funzioni legislative e amministrative che
devono avere una precisa giustificazione e rispettare gli articoli della Costituzione sui principi di
eguaglianza dei diritti in tutto il territorio della Repubblica ponendo al centro di ogni decisione il
principio di sussidiarietà.
Nel comunicato c’è poi una precisazione fondamentale che riporto integralmente e che, dopo aver
richiamato il ruolo fondamentale delle due Camere in una democrazia parlamentare, fissa anche
l’importante funzione della Corte Costituzionale.
“La Corte resta competente a vagliare la costituzionalità delle singole leggi di differenziazione,
qualora venissero censurate con ricorso in via principale da altre regioni o in via incidentale”.
Si tratta di un chiaro ammonimento al rispetto della divisione dei poteri in una democrazia nella
quale non si può accettare il domino della maggioranza soprattutto nelle decisioni che riguardano
l’assetto dello Stato e la garanzia dei diritti che deve sempre seguire il principio di eguaglianza.
È per questo che risulta davvero rilevante un altro passaggio del comunicato in cui si afferma che
i trasferimenti di competenza anche su materie che non necessitano la definizione dei LEP “non
potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.
In buona sostanza dal comunicato della Consulta si desume che il principio di autonomia resta
chiaramente salvo, ma va applicato in maniera costituzionalmente orientata in tutte le disposizioni
di una legge applicativa.
Ho più volte scritto che quello sull’autonomia differenziata è uno dei provvedimenti più
disastrosi che siano mai stati scritti nella storia politica del nostro Paese e la sua attuazione
costituirebbe lo smembramento dell’unità dell’Italia e la completa negazione dell’uguaglianza dei
diritti per i cittadini che non possono essere posti in relazione al territorio di residenza.
Qualche giorno fa in un confronto con studenti italiani Sergio Mattarella ha ammesso di aver
promulgato leggi che non condivideva.
Questa sull’autonomia differenziata aveva profili di incostituzionalità palesi, rimarcati oggi dalla
Corte Costituzionale e sottolineati in una lettera al Presidente datata 8 marzo 2024 dal Comitato
Spontaneo “Autonomia Differenziata, l’Italia che non vogliamo” costituito a Campobasso subito
dopo l’approvazione della L. 86/24 in Senato.
Mi chiedo come mai dopo il varo della stessa anche alla Camera Mattarella non abbia esercitato
al riguardo la sua facoltà di rinviarla alle Camere per una nuova deliberazione prevista in
Costituzione nell’articolo 74.
Calderoli e in generale il Governo cercano ora di arrampicarsi sugli specchi, ma le decisioni della
Consulta affossano il provvedimento che dovrebbe rappresentare per la Lega il nuovo escamotage
per una forma mascherata di secessione voluta da una borghesia davvero miope ed egoistica.
Grave che in un’intervista al Corriere della Sera alla domanda se il Parlamento è tenuto a
conformarsi alle decisioni della Corte Calderoli risponda che in linea di principio ciò è dovuto, ma
“finché non si interviene, si procede a legislazione vigente” perché a suo avviso la legge sarebbe
stata giudicata costituzionale nella sua interezza.
Il ministro non solo ha fatto orecchie da mercante rispetto alle dissuasioni giunte dalla CEI, dalla
Banca d’Italia e soprattutto dalla richiesta di referendum di oltre un milione di cittadini, ma persiste
nella sua saccenteria anche di fronte alle decisioni della Consulta che con le sette bocciature lascia
una legge praticamente azzoppata che ha necessità di una riscrittura e di un nuovo passaggio
parlamentare.
Nonostante i tanti rilievi di incostituzionalità, Calderoli e Zaia continuano a sostenere che
possono andare avanti le intese su materie che non prevedono i LEP e il presidente del Veneto
aggiunge che per arrivare all’autonomia differenziata i veneti sono pronti anche a modificare la
Costituzione.
Il ministro addirittura è giunto a dichiarare che “una volta fatto tesoro degli indirizzi della
sentenza, le opposizioni taceranno e mi auguro che taceranno per sempre”.
Oltre tali gravi e irricevibili dichiarazioni penso che chi crede nei principi che lo Stato si è dato
democraticamente con una grande maggioranza allargata debba operare perché nell’attuale Governo
si pongano le basi per una maggiore assunzione di responsabilità politica capace di portare tutti
fuori dagli egoismi di parte.
Abbiamo già sperimentato il decentramento caotico di funzioni a livello regionale come ad
esempio sulla sanità e sappiamo bene sulla nostra pelle come è stato ridotto un tale servizio
soprattutto in alcune aree geografiche.
Al di là di qualsiasi posizione ideologica pregiudiziale io credo che certe prestazioni
fondamentali debbano essere di competenza statale proprio per mantenerle eguali ed efficienti su
tutto il territorio nazionale.
Sulle funzioni amministrative degli stessi poi si può e si deve discutere su come attuarli
razionalmente a livello locale salvaguardandone comunque dappertutto i livelli di adeguatezza.
Il problema che si pone ora è se sullo scheletro che rimane della legge sia ancora possibile
celebrare il referendum richiesto dai cittadini.
In proposito il tema è stato discusso in un convegno tenuto nei giorni scorsi all’Università La
Sapienza di Roma con la presenza di un nutrito numero di costituzionalisti.
Ribadisco quanto da me già scritto all’epoca.
La richiesta da parte delle cinque regioni di un’abrogazione parziale oltre a quella totale della
legge sull’autonomia differenziata ha rappresentato un colossale autogol che ora crea appunto
problemi.
La decisione in merito passa ora alla Cassazione che dovrà dire se su ciò che resta della legge
Calderoli possa essere celebrato ancora il referendum.
Il Governo ovviamente confuta tale possibilità sostenendo da sempre che ciò è negato dal fatto
che la legge è collegata alla finanziaria e il referendum poi non avrebbe più senso dopo la sentenza
della Corte Costituzionale.
Nordio aggiunge in merito “A spanne, con prudenza, direi che questa sentenza dovrebbe
eliminare almeno per ora la possibilità del referendum”
In realtà il legame con la legge di Bilancio nel caso specifico è solo formale poiché il
provvedimento sull’autonomia differenziata prevede l’invarianza finanziaria.
Al convegno di Roma sono prevalse le ragioni dell’ammissibilità del referendum sostenute
soprattutto da Massimo Villone e Gaetano Azzariti secondo i quali i cittadini continuerebbero anche
dopo le eventuali modifiche del Parlamento ad avere il diritto di esprimersi sulle parti residue della
legge Calderoli sia pure con un’eventuale riformulazione del quesito referendario.
Anche il costituzionalista Michele Ainis è convinto che la possibilità del referendum ci sia ancora
tutta.
Ottimisti in proposito anche i sindacati.
Gli scenari politici che si prospettano sono complessi.
Non sappiamo quali saranno e se il Parlamento potrà o vorrà in tempi brevi modificare
correttamente la legge seguendo le indicazioni che la Consulta esprimerà in maniera analitica nella
sentenza che dovrebbe essere resa pubblica quanto prima.
In ogni caso, dopo l’elenco impietoso su ben sette profili di incostituzionalità su undici che tra
l’altro riguardano il fulcro del provvedimento, è chiaro che esso rimane un guscio vuoto sul quale
proprio per questo mi auguro che la Cassazione consenta di celebrare il referendum chiesto dai
cittadini.
Ciò non potrà e non dovrà impedire di uscire dalle posizioni egocentriche e preconcette per
orientare le decisioni politiche verso sintesi capaci di far prevalere le logiche della solidarietà su
quelle della competizione.
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